CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 38128 depositata il 30 dicembre 2022
Tributi – Avviso di pagamento – Accisa su prodotti alcolici – Contratto di affitto di azienda – Regime di esenzione di cui all’art. 27, D.Lgs. n. 504/1995 – Cessione di prodotti – Titolare di deposito fiscale – Affitto di azienda – Accoglimento
Fatti di causa
Dalla esposizione in fatto della sentenza impugnata si evince che: l’Agenzia delle dogane aveva notificato alla società (…) s.r.l. (di seguito IPA s.r.I.) un avviso di pagamento con il quale aveva richiesto il pagamento dell’accisa sui prodotti alcolici dalla stessa ceduti negli anni 2009 e 2010 alla ditta A.C. s.r.I., soggetto che, in forza del contratto di affitto di azienda stipulato con la medesima società, aveva acquistato l’alcol etilico giacente presso l’azienda, in quanto non correttamente era stato ritenuto che la cessione fosse esente da accisa; avverso l’atto impositivo la società aveva proposto ricorso che era stato rigettato dalla Commissione tributaria provinciale di Napoli; la società aveva quindi proposto appello.
La Commissione tributaria regionale della Campania ha accolto l’appello, in particolare ha ritenuto che: a seguito del contratto di affitto di azienda, la ditta A.C. s.r.l. aveva utilizzato ai fini della produzione l’alcol giacente presso l’azienda, regolarmente autorizzato alla IPA s.r.l. e solo nelle more del rilascio della licenzia di esercizio da parte della ditta affittuaria, al solo fine di assicurare la continuità della lavorazione, aveva continuato a rifornire l’affittuaria; in sostanza, vi era stata una continuità di destinazione del prodotto etilico rilevante ai fini dell’applicazione dell’esenzione, sicchè non poteva ritenersi che vi fosse stata una immissione in consumo.
Avverso la suddetta pronuncia ha quindi proposto ricorso l’Agenzia delle dogane affidato ad un unico motivo di ricorso, cui ha resistito la contribuente depositando controricorso, illustrato con successiva memoria.
Il Pubblico Ministero in persona del Sostituto procuratore generale Dott. M.V. ha depositato le proprie conclusioni con le quali ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
Ragioni della decisione
Con l’unico motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per violazione degli artt. 2, 3, 5, 27, 47 e 63, d.lgs. n. 504/1995. In particolare, si evidenzia che non correttamente il giudice del gravame ha ritenuto che la cessione di alcol etilico in favore della società A.C. s.r.l. fosse soggetto al regime di esenzione di cui all’art. 27, d.lgs. n. 504/1995, posto che era comunque necessario che quest’ultima società, al fine del corretto esercizio del deposito fiscale, facesse idonea richiesta di licenza, secondo quanto previsto dall’art. 63 e, in caso di variazione della titolarità dell’impianto, al fine di potere continuare a godere del regime sospensivo ed operare in esenzione di imposta, facesse richiesta di voltura della licenza di esercizio. Nella fattispecie, secondo parte ricorrente, sarebbe venuto a mancare, al fine della corretta applicazione del regime di esenzione, la condizione soggettiva per potere godere della suddetta esenzione.
Il motivo è fondato.
Va disattesa l’eccezione di inammissibilità del motivo prospettata dalla controricorrente in memoria per difetto di autosufficienza, essendo lo stesso carente della esposizione dei fatti di causa, non avendo l’Agenzia delle dogane riprodotto, anche solamente per stralci o per riassunto, il contenuto dell’avviso di pagamento impugnato dal contribuente in primo grado.
In realtà, sia in sede di illustrazione del fatto che nell’articolazione del motivo è chiaramente evidenziato quale fosse l’oggetto del giudizio e quale era stata la statuizione sul punto del giudice di primo grado, consentendo a questa Corte di potere apprezzare la ragione della doglianza proposta.
La questione di fondo della presente controversia ha riguardo alla sussistenza di un diritto di esenzione dall’accisa per i prodotti di alcol etilico ceduti dalla ricorrente, già titolare di un deposito fiscale, nei confronti della società A.C. s.r.I., la quale, a sua volta, era affittuaria del ramo di azienda della società ricorrente.
Il ragionamento sul quale si fonda, in sostanza, la decisione del giudice del gravame è che vi è stata una continuità nell’utilizzo del prodotto di alcol etilico, sicchè non vi sarebbe stata alcuna cessione in consumo, avendo la società cessionaria continuato ad utilizzare il suddetto prodotto per finalità di produzione.
Va quindi osservato che l’art. 27, comma 1, d.lgs. n. 504/1995, dispone, come regola generale, che: «Sono sottoposti ad accisa la birra, il vino, le bevande fermentate diverse dal vino e dalla birra, i prodotti alcolici intermedi e l’alcole etilico», mentre il successivo comma 3 prevede delle specifiche esenzioni, quali, ai nostri fini, quella di cui alla lett. g), secondo cui sono esenti, a determinate condizioni, l’alcole e le bevande alcoliche «impiegati direttamente o come componenti di prodotti semilavorati destinati alla fabbricazione di prodotti alimentari».
In questo ambito, l’art. 27, comma 1, d.lgs. cit., prevede che «I prodotti di cui al comma 1, fatto salvo quanto stabilito dall’art. 5, comma 1, e dall’art. 37, comma 1, sono ottenuti in impianti di lavorazione gestiti in regime di deposito fiscale».
In sostanza, la previsione normativa in esame prescrive espressamente che, potere applicare il regime di esenzione, è necessario che gli impianti di lavorazione siano gestiti in regime di deposito fiscale, alla cui specifica disciplina fa espresso richiamo.
Pertanto, per potere ritenere che la cessione dei prodotti di cui all’art. 27, comma 1, d.lgs. cit., siano esenti, è necessario che il soggetto cessionario sia, a sua volta, un depositario fiscale.
L’art. 5, comma 2, d.lgs. cit., prevede che «Il regime del deposito fiscale è autorizzato dall’Amministrazione finanziaria nei limiti e alle condizioni stabilite dall’autorizzazione»: pertanto, per potere ritenere che il cessionario sia, a sua volta, titolare di un deposito fiscale, con conseguente applicazione del regime di esenzione, è necessario che questi abbia richiesto una specifica autorizzazione.
Questa Corte ha precisato, sia pure con riferimento alla applicazione del regime di esenzione dell’alcol etilico non denaturato, che l’applicazione del regime di esenzione di cui all’art. 27, cit., presuppone, oltre all’iniziativa del contribuente, necessaria per l’avvio del procedimento amministrativo, lo svolgimento di una attività istruttoria da parte dell’Ufficio competente in relazione ai profili menzionati nella norma. In particolare, l’attività amministrativa risulta essere finalizzata alla tutela sia delle ragioni del fisco, sia delle ragioni di salute e sicurezza connesse alle lavorazioni e ai possibili impieghi dell’alcol (Cass. civ., 26 febbraio 2020, n. 5155; Cass. civ., 11 gennaio 2012, n. 255).
Le pronunce sopra indicate hanno precisato, inoltre, che, in considerazione della rilevanza degli interessi in rilievo e dell’assenza di specifiche previsioni sul punto, deve escludersi che il provvedimento con cui l’amministrazione riconosce l’esenzione richiesta abbia carattere retroattivo, avuto riguardo all’oggetto del provvedimento medesimo, con cui si consente la fabbricazione del prodotto in esenzione dell’accisa, e del contenuto della valutazione demandata all’autorità pubblica, non circoscritto alla verifica della sussistenza di determinati fatti, ma esteso all’apprezzamento di tali fatti in funzione delle esigenze di prevenzione di frodi fiscali.
Ne consegue che, al fine di potere applicare il regime di esenzione, è necessario che sussista la condizione soggettiva del cessionario di titolare del deposito fiscale, quindi che questi abbia regolarmente, al momento dell’acquisto, richiesto l’autorizzazione all’amministrazione.
La mancanza della suddetta autorizzazione, pertanto, esclude che il cessionario abbia acquistato il prodotto etilico quale titolare del deposito fiscale.
Trova, quindi, applicazione la previsione contenuta nell’art. 2, comma 2, cit. secondo cui: «Si considera immissione in consumo anche: a) lo svincolo, anche irregolare, di prodotti sottoposti ad accisa da un regime sospensivo».
Quel che rileva, dunque, è la circostanza che la cessione del prodotto alcolico, essendo avvenuta nei confronti di un soggetto che non era autorizzato quale titolare di deposito fiscale, ha comportato uno svincolo irregolare, con conseguente assimilazione, ai fini fiscali, della immissione in consumo e non applicabilità del regime di esenzione.
Non rileva, va evidenziato, la circostanza, valorizzata dal giudice del gravame, che la cessione era stata operata al fine di assicurare la continuità della produzione aziendale a seguito della stipula del contratto di affitto di azienda.
La specifica disciplina normativa sopra indicata richiede espressamente che, al fine del riconoscimento della titolarità del deposito fiscale presenti una domanda di autorizzazione.
La circostanza che questi ha ricevuto i beni per effetto dell’affitto di azienda non implica che possa essere riconosciuto nei suoi confronti la titolarità del deposito fiscale, in assenza di specifica autorizzazione.
In conclusione, il motivo di ricorso è fondato, con conseguente cassazione della sentenza censurata e rinvio alla Commissione tributaria regionale di secondo grado, anche ai fini della liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza censurata e rinvia alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione, anche ai fini della liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.
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