CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 38130 depositata il 30 dicembre 2022
Tributi – Avviso di accertamento – IVA – Aliquota IRES applicabile – Principio della “sopravvivenza fiscale” della società cancellata – Notifica presso la sede della società cancellata – Deducibilità delle perdite su crediti – Accoglimento – La legittimazione dei soci di società estinta non viene meno per effetto dell’applicazione dell’art. 28, co. 4, d.lgs. 21.11.2014, n.175, entrato in vigore il 13.12.201 che ha inteso favorire l’adempimento dell’obbligazione tributaria verso le società cancellate entro il quinquennio dalla richiesta di cancellazione dal registro delle imprese, senza che abbia rilievo il fatto che i soci abbiano riscosso o meno somme in conseguenza del bilancio finale di liquidazione
Fatti di causa
1. Con sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania, sez. staccata di Salerno, veniva rigettato sia l’appello principale proposto dalla società V. S.p.a., sia l’appello incidentale proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza n.352/1/2013 emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale di Avellino, la quale aveva parzialmente accolto il ricorso della società avente ad oggetto l’avviso di accertamento relativo ad II.DD. e IVA 2005.
2. In particolare, l’atto impositivo veniva emesso in via di autotutela sostitutiva previo annullamento di precedente avviso adottato sul presupposto dell’indebita deduzione di componenti negativi e positivi di reddito, in ragione della mancata corretta indicazione dell’aliquota IRES applicabile. Il giudice di prime cure riteneva fondate le deduzioni di perdite su crediti esteri, nei confronti della C.I. S.r.l. e della C.G. S.r.l., mentre riteneva illegittima la deduzione della perdita sul credito vantato nei confronti di P.S. e confermava le riprese anche circa le sopravvenienze attive, decisione interamente confermata dal giudice d’appello.
3. Avverso la decisione l’Agenzia delle Entrate propone ricorso, affidato a tre motivi, notificato alla società in liquidazione e ai soci T.V., M.E., T.A.M., T.R.; resistono con due distinti controricorsi da un lato T.V. e M.E. e, dall’altro, T.A.M. e T.R..
4. La Corte ha in precedente adunanza camerale posto in evidenza l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dai controricorrenti, per essere il ricorso per Cassazione stato indirizzato e notificato ai soci di una società estinta per cancellazione dal Registro delle imprese in data 30.9.2015 senza che alcuna somma fosse stata riscossa dai soci, sulla base del bilancio di liquidazione.
5. In presenza di un mutato quadro normativa, che tiene sia conto dell’art.28 del d.lgs. n.175 del 21 novembre 2014 applicabile ratione temporis, il quale ha introdotto il principio della “sopravvivenza fiscale” della società cancellata, sia della pronuncia della Corte costituzionale n. 142 del 2020 con riferimento alla «possibilità di notificare validamente gli atti intestati ad un soggetto non più esistente», la Corte ha rimesso la controversia alla pubblica udienza, per la rilevanza sistematica della questione.
L’Agenzia ha depositato memorie illustrative.
Ragioni della decisione
6. In via preliminare, dev’essere verificata la ritualità della notifica del ricorso. La Corte osserva che è trascorso l’anno dalla cancellazione della società dal registro delle imprese, avvenuta il 30.9.2015 come dichiarato da T.V. all’ufficiale giudiziario e da questi verbalizzato nella relata di notifica e, dunque, questa si colloca oltre il termine entro il quale l’art. 2495, secondo comma, cod. civ. ammette la notifica presso la sede della società cancellata, e correttamente la notifica è stata diretta ai soci.
Orbene, in tema di avviso di accertamento, l’art. 60 del d.P.R. n. 600 del 1973, pur rinviando alla disciplina del codice di procedura civile, richiede, a differenza di quanto disposto dall’art. 139, comma 2, cod. proc. civ., anche ove l’atto sia consegnato nelle mani di persona di famiglia, l’invio della raccomandata informativa quale adempimento essenziale della notifica che sia eseguita dai messi comunali o dai messi speciali autorizzati dall’ufficio delle imposte (Cass. Sez. 5 – , Sentenza n. 2868 del 03/02/2017, Rv. 642888- 01).
7. Benché sia nulla la notifica nei confronti della persona fisica T.R., in quanto ricevuta dal figlio qualificatosi convivente senza emissione della comunicazione di avvenuta notifica, con indicazione del numero relativo, essendo inadeguata la generica espressione “osservate le formalità di legge” a dimostrare il compimento dell’adempimento suddetto da parte dell’ufficiale postale, nondimeno la tempestiva costituzione in giudizio attraverso controricorso è idonea a sanare il vizio per pieno raggiungimento dell’effetto.
8. Va poi scrutinata secondo ordine logico l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dai controricorrenti per essere il ricorso per Cassazione stato proposto e notificato ai soci di una società estinta per cancellazione dal Registro delle imprese in data 30.9.2015 senza che alcuna somma fosse stata riscossa dai soci, sulla base del bilancio di liquidazione.
9. Per decidere sulla questione è necessario fare riferimento all’art.28 del d.lgs. n.175 del 21 novembre 2014, rilevante ratione temporis, in quanto pubblicato in G.U. n. 277 del 28 novembre 2014 e, dunque, applicabile alla presente fattispecie dal momento che la cancellazione della società è avvenuta il 30.9.2015, il quale dispone: «Ai soli fini della validità e dell’efficacia degli atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi, l’estinzione della società di cui all’articolo 2495 del codice civile ha effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione del Registro delle imprese.».
10. Siffatta previsione di legge è stata interpretata dalla giurisprudenza della Sezione nel senso che «L’art. 28, comma 4, del d.lgs. 21 novembre 2014, n. 175, recante disposizioni di natura sostanziale sulla capacità delle società cancellate dal registro delle imprese, non ha valenza interpretativa, neppure implicita, e non ha, quindi, alcuna efficacia retroattiva. Ne consegue che il differimento quinquennale (operante nei confronti soltanto dell’amministrazione finanziaria e degli altri enti creditori o di riscossione indicati nello stesso comma, con riguardo a tributi o contributi) degli effetti dell’estinzione della società derivanti dall’art. 2495, secondo comma, cod. civ., si applica esclusivamente ai casi in cui la richiesta di cancellazione della società dal registro delle imprese (che costituisce il presupposto di tale differimento) sia presentata nella vigenza della nuova disciplina di detto d.lgs., ossia il 13 dicembre 2014, o successivamente.» (Cass. Sez. 5 , Sentenza n. 6743 del 02/04/2015, Rv. 635140- 01; conformi Cass. Sez. 6-5, Ordinanza n.15648 del 28/07/2015, Rv. 636038- 01; Cass. Sez. 6-5, Ordinanza n.4536 del 21/02/2020, Rv. 657323 – 01).
11. La costituzionalità della richiamata previsione di legge è stata confermata dalla sentenza della Consulta n .142 del 2020, la quale ha espressamente preso in considerazione anche profili non sostanziali, nei seguenti termini: «Occorre considerare, poi, che la possibilità di notificare validamente gli atti intestati ad un soggetto non più esistente si presenta coerente con il sistema tributario complessivamente considerato, in quanto l’art. 65, quarto comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), permette, con riguardo alle persone fisiche, che “la notifica degli atti intestati al dante causa [possa] essere effettuata agli eredi impersonalmente e collettivamente nell’ultimo domicilio dello stesso ed è efficace nei confronti degli eredi che, almeno trenta giorni prima, non abbiano effettuato la comunicazione di cui al secondo comma”».
12. Ad avviso del Collegio tale pronuncia non si pone in contrasto con la giurisprudenza della Sezione sull’applicabilità delle nuove disposizioni di cui all’art. 28, comma 4 cit. collegate alla “sopravvivenza fiscale” della società alle sole cancellazioni eseguite dal 13.12.2014 in poi, ritenuta per consolidata interpretazione normativa di carattere sostanziale: «La norma, pertanto (contrariamente a quanto talora sostenuto dall’amministrazione finanziaria nelle sue circolari), opera su un piano sostanziale e non “procedurale”», cfr. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 6743 del 02/04/2015.
Infatti, la sentenza della Consulta n .142/2020 non ha espressamente qualificato la natura della norma bensì, affrontando il tema della delega legislativa in attuazione della l. 11.3.2014, n.23, artt.1 e 7 e del rispetto del diritto di uguaglianza di cui all’art.3 Cost., ha rigettato le doglianze prospettate attraverso argomentazioni che investono l’obbligazione tributaria e che presuppongono una qualificazione sostanziale della previsione suddetta, in linea con la giurisprudenza di legittimità. La citata sentenza della Corte costituzionale afferma in particolare che «tale disposizione, anche a fronte dell’estinzione della società di capitali (e di persone, come ha avuto modo di chiarire la Corte di cassazione, sezione quinta civile, sentenza 24 aprile 2015, n. 6743), consente la stabilizzazione degli atti dell’amministrazione finanziaria, potendo, infatti, quest’ultima effettuare le attività di controllo e di accertamento negli ordinari termini previsti dalla disciplina tributaria, nonché notificare i relativi atti direttamente all’originario debitore».
13. Del resto, l’art.28 cit. è stato delibato e applicato, sia pure ai fini della giurisdizione, anche dalle Sezioni Unite della Corte, nella sentenza n. 619/21 e anche in quel processo l’oggetto dell’azione promossa è stata la postulata illegittimità o inesistenza della pretesa azionata nei confronti degli ex soci della società cancellata, correlata vuoi alla carenza di legittimazione passiva del rapporto – in ragione dell’operatività del meccanismo introdotto dall’art. 28, comma 4 d.lgs. n. 174/2014 – vuoi dalla mancata distribuzione di utili ai soci in fase di liquidazione alla stregua dell’art. 2495 cod. civ. (cfr. premessa in fatto e punto 2.1. della sentenza ult. cit.). Le Sezioni Unite in sede di regolamento di giurisdizione hanno così statuito: «2.2. Si tratta, evidentemente, di controversia che rimane attratta alla giurisdizione del giudice tributario, attenendo a pretese relative alla non debenza dei tributi oggetto dell’avviso di accertamento impugnato dai soggetti ai quali lo stesso è stato notificato. E ciò vale tanto sotto il profilo della rilevanza dell’art. 28, comma 4, d.lgs. n. 174/2014 -sul quale, v., di recente, Corte cost. n.142/2020 – circa il differimento dell’effetto estintivo della società cancellata (di persone o di capitali), per cinque anni limitato al settore tributario e contributivo, evocata dagli ex soci della società destinatari dell’avviso di accertamento, involgendo il tema della responsabilità del socio per i debiti della società cancellata dal registro delle imprese, più volte esaminato dalla sezione tributaria di questa Corte in esito alle pronunzie rese da queste Sezioni unite – sentenze 12 marzo 2013, n. 6070, n. 6071 e n. 6072- e degli effetti della normativa sopravvenuta.
2.3. Ma vale anche con riguardo alla questione della mancata distribuzione di utili ai soci in sede di liquidazione, dalla quale le ricorrenti vorrebbero fare derivare l’illegittimità dell’accertamento emesso nei loro confronti, sostenendo di non avere alcuna diretta responsabilità rispetto alla pretesa nei medesimi azionata.
2.4. Tema, quest’ultimo, che ancora una volta ruota attorno alla legittimità della pretesa azionata dall’ufficio fiscale nei confronti degli ex soci della società cancellata e che deve essere oggetto di disamina da parte del giudice naturale di quel rapporto, per l’appunto costituito dal giudice tributario.
2.5. In questa direzione milita, per l’un verso, l’art.36 ult. c. dPR n. 602/1973 che, in termini generali, radica innanzi alla giurisdizione tributaria anche le controversie relative alle pretese fiscali azionate dall’ufficio nei confronti dei soci della società estinta.
2.6. Per altro verso e con specifico riferimento al tema della mancata distribuzione degli utili ai soci in sede di liquidazione giova osservare che, rimasta isolata l’affermazione espressa da Cass. n. 9672/2018, con la quale si era messa in discussione la possibilità di prospettare all’interno del giudizio tributario relativo alla legittimità dell’avviso di accertamento la questione relativa all’esistenza di utili al momento della liquidazione della società cancellata, questa Corte si è andata ormai consolidando nell’affermare che “i soci abbiano goduto, o no, di un qualche riparto in base al bilancio finale di liquidazione non è dirimente (. . .) ai fini dell’esclusione dell’interesse ad agire del Fisco creditore” – Cass. n. 9094/2017-. “».
14. L’art.28 comma 4 del d.lgs. n.175/2014 realizza dunque una fictio iuris e in questo è norma sostanziale, dal momento che considera la società estinta come ancora esistente al solo scopo di evitare la disgregazione del patrimonio a garanzia del fisco – secondo una logica non dissimile da quella perseguita dall’art.10 comma 1 Legge Fallimentare a garanzia dei creditori concorsuali -, per precisa scelta del legislatore. Questi ha in tal modo voluto evitare che la cancellazione dal registro delle imprese e l’estinzione della società determinasse effetti pregiudizievoli per l’Erario senza che il favorire l’adempimento dell’obbligazione tributaria verso le società cancellate determinasse alcuna ingiustificata disparità di trattamento (cfr. Corte cost. n. 142/2020, punto 4).
15. La «stabilizzazione degli atti dell’Amministrazione finanziaria» perseguita dalla norma attraverso la fictio iuris suddetta non mette in dubbio il fatto che la società sia estinta ma piuttosto estende il perimetro dell’opponibilità degli atti tributari ( «[a]i soli fini della validità e dell’efficacia»), fermo restando che i soci, secondo l’orami consolidato insegnamento della Sezione, rispondono all’Amministrazione finanziaria dei debiti sociali anche qualora non abbiano riscosso alcunché all’esito del bilancio finale di liquidazione, per effetto di un fenomeno successorio. Da ciò discende la loro legittimazione passiva ad causam indipendentemente dall’avvenuta riscossione delle quote o di parte di esse (Cass., 5 novembre 2021, n.31904; Cass.,4 ottobre 2021, n. 26910; Cass. 19 aprile 2018, n.9672).
16. Dev’essere conseguentemente affermato il seguente principio di diritto:
«La legittimazione dei soci di società estinta non viene meno per effetto dell’applicazione dell’art. 28, co. 4, d.lgs. 21.11.2014, n.175, entrato in vigore il 13.12.2014 emesso in attuazione della l. 11.3.2014, n.23, artt.1 e 7, trattandosi di fictio iuris introdotta per precisa scelta del legislatore, ritenuta legittima da Corte cost. n.142/2020 e che ha inteso favorire l’adempimento dell’obbligazione tributaria verso le società cancellate entro il quinquennio dalla richiesta di cancellazione dal registro delle imprese, senza che abbia rilievo il fatto che i soci abbiano riscosso o meno somme in conseguenza del bilancio finale di liquidazione.».
E’ conseguentemente infondata l’eccezione di inammissibilità del ricorso, con cui si contesta la legittimità della sua notifica a soci di società estinta per cancellazione dal registro delle imprese e che non hanno riscosso alcuna somma in conseguenza del bilancio finale di liquidazione.
17. Con il primo motivo di ricorso relativo alla indeducibilità di perdite su crediti per Euro 559.923,00 – ex art.360 primo comma n.4 cod. proc. civ. – si deduce la violazione e falsa applicazione da parte della CTR degli artt.112 e 132 cod. proc. civ., perché la motivazione del giudice d’appello sarebbe apodittica e non terrebbe conto delle deduzioni dell’Agenzia contenute nell’atto di appello.
Con il secondo motivo, relativo alla indeducibilità di perdite su crediti per Euro 1.021.857,00 – ai sensi dell’art.360 primo comma n.4 cod. proc. civ. – l’Agenzia prospetta la violazione e falsa applicazione da parte della CTR degli artt.112 e 132 cod. proc. civ., nuovamente perché la motivazione del giudice d’appello è ritenuta apodittica e non terrebbe conto delle deduzioni dell’Agenzia contenute nell’atto di appello.
18. Le censure sono inammissibili. Quanto alla tecnica di formulazione delle due censure, è innanzitutto incoerente e inconciliabile il richiamo simultaneo all’interno di ciascuna doglianza all’art. 112 e all’art. 132 cod. proc. civ. e, comunque, non sussiste in radice la prospettata violazione del principio di corrispondenza tra chiesto pronunciato, perché quelle evidenziate nel motivo sono mere difese ed elementi presuntivi, non domande o eccezioni su cui la CTR possa essersi pronunciata o meno. La motivazione della CTR poi non è apparente, perché chiaramente riposa sull’accordo transattivo del 30.12.2005 e, dunque, valuta il compendio istruttorio ed esprime all’esito una ratio decidendi comprensibile, condivisibile o meno che sia.
19. Con il terzo motivo la ricorrente – ai fini dell’art.360 primo comma n.3 cod. proc. civ. – deduce la violazione e falsa applicazione da parte della CTR degli artt.101 comma 5 TUIR, nel testo vigente ratione temporis in relazione alle circostanze e riprese già evidenziate nei precedenti due motivi.
20. La censura è fondata. E’ stato più volte affermato dalla Corte (cfr. ad es. Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 10256 del 02/05/2013, Rv. 626266 – 01) che in tema di tassazione delle perdite su crediti, ai fini delle imposte sui redditi, la scelta imprenditoriale di transigere con un proprio cliente non rende indeducibile la perdita conseguente perchè il legislatore ha riguardo solo alla oggettività della perdita e non pone nessuna limitazione o differenziazione a seconda della causa di produzione della stessa, potendo legittimamente compiere operazioni antieconomiche in base a considerazioni di strategia generale ed in vista di benefici economici su altri fronti. Inoltre, la Sezione Tributaria (cfr. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 23750 del 21/10/2013, Rv. 628657 – 01) ha stabilito che in tema di deducibilità delle perdite su crediti quali componenti negative del reddito d’impresa, la definizione transattiva del giudizio operata con due dei tre istituti bancari, convenuti in giudizio per rispondere di asseriti danni, non costituisce “elemento certo e preciso”, ai sensi dell’art. 66 T.U.I.R. “ratione temporis” vigente, dal quale far discendere l’obiettiva irrecuperabilità, peraltro parziale, altresì del credito vantato nei confronti dell’altro istituto, anche se convenuto in giudizio, ma che non sia addivenuto a transazione, in quanto la parziale irrecuperabilità del credito non deriva dall’obiettiva certezza circa il suo mancato soddisfacimento, ma trae origine da mere valutazioni, relative ad altri e diversi crediti, prive di diretti riscontri oggettivi.
Non vi sono ragioni per discostarsi da tali pronunce nel caso di specie e, pertanto, la CTR sia circa la perdita di Euro 559.923,00 sia con riferimento a quella di Euro 1.021.857,00 ha ricavato gli elementi della certezza e della precisione della presunzione da dati inidonei, ossia dalle transazioni.
21. Accolto il terzo motivo, inammissibili i primi due, la decisione va conclusivamente cassata con rinvio alla Corte di Giustizia di secondo grado della Campania, in diversa composizione, per ulteriore esame in relazione al profilo e per la liquidazione delle spese di lite.
P.Q.M.
Accoglie il terzo motivo di ricorso, inammissibili i primi due, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione, per ulteriore esame in relazione al profilo e per la liquidazione delle spese di lite.
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