CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 3841 depositata l’ 8 febbraio 2023
Tributi – Avviso di liquidazione dell’imposta di registro – Conferimenti in conto capitale – Finanziamenti – Imponibilità del finanziamento soci – Accoglimento
Svolgimento del processo
1. La Commissione Tributaria Regionale del Lazio, in accoglimento dell’appello dell’Agenzia delle Entrate, ha confermato l’avviso di liquidazione dell’imposta di registro, in misura proporzionale, adottato ai sensi dell’art. 22 del d.P.R. n. 131 del 1986, sul finanziamento dell’importo di euro 6.100.000,00, erogato dalla socia V. s.p.a. alla società P.I. s.r.l. ed enunciato nella delibera dell’assemblea della P.I. s.r.l. di aumento di capitale. Il giudice di appello ha ritenuto inidonea la documentazione prodotta (bilanci e note integrative della socia V. s.p.a. per gli anni 2020 e 2011) a dimostrare inequivocabilmente che i versamenti precedenti della socia V. s.p.a. fossero stati effettuati in conto futuro aumento del capitale sociale della P.I. s.r.l., esponendo la voce “Altre immobilizzazioni” un insieme di dati insufficiente all’individuazione degli eventi economico contabili che hanno determinato il valore esposto ed essendo inadeguata, oltre che successiva, la dichiarazione del notaio, contenuta nell’atto di rettifica del verbale di aumento del capitale (in cui si è precisato che il termine credito è stato usato in modo a-tecnico e che l’aumento di capitale è stato realizzato mediante imputazione in conto capitale dei versamenti effettuati nelle casse sociali a fondo perduto da V. s.p.a.).
2. Avverso tale sentenza la P.I. s.r.l. ha proposto tempestivo ricorso per cassazione.
3. L’Agenzia delle Entrate ha resistito, depositando controricorso.
4. La causa, originariamente fissata in adunanza camerale, è stata rinviata all’udienza pubblica del 12 gennaio 2023.
5. Nonostante la proroga (di cui all’art. 8 del d.l. n. n. 198 del 2022) della disciplina dettata dagli artt. 23, comma 8-bis, del d.l. n. 137 del 2020, conv. in l. n. 176 del 2020, e 16, comma 1, del d.l. 30 dicembre 2021, n. 228, l’udienza pubblica del 12 gennaio 2023 è stata celebrata secondo il regime ordinario, in considerazione dell’impossibilità delle parti di fruire del termine per la formulazione dell’istanza di trattazione orale.
6. Risultano depositate due memorie di parte ricorrente in data 14 gennaio 2022 e 5 gennaio 2023.
7. La Procura Generale presso la Corte di cassazione ha concluso per il rigetto del ricorso, riportandosi alle precedenti conclusioni scritte già depositate.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo si è denunciato, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod.proc.civ., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, consistente nelle risultanze ed acquisizioni emergenti dai bilanci, completi delle note integrative, e nella dichiarazione notarile integrativa dell’originario verbale societario, da cui emerge la natura a fondo perduto dei versamenti effettuati dalla socia V. s.p.a. e, poi, successivamente utilizzati per realizzare l’aumento di capitale (in particolare nella nota integrativa del bilancio 2010 di V. s.p.a., a p. 7, vi è il riferimento esplicito all’importo di euro 5.826.742,00 quale versamento in conto capitale a copertura di perdite; la rettifica notarile, che integra un atto di accertamento/interpretazione delle risultanze contabili, precisa che il termine credito è stato usato in senso a-tecnico e che i versamenti nelle casse sociali erano stati effettuati da V. s.p.a. a fondo perduto sin dall’inizio).
La censura deve essere rigettata, non essendo ravvisabile l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti. La sentenza impugnata si è, difatti, soffermata su tutte le circostanze di fatto e su tutte le prove indicate dalla società contribuente, dimostrando di aver valutato i bilanci, le note integrative e la rettifica dell’atto notarile, sebbene sia pervenuta ad una ricostruzione diversa da quella proposta dalla ricorrente, qualificando in termini di finanziamenti – e non di conferimenti in conto capitale – i precedenti versamenti effettuati dalla socia V. s.p.a. alla società P.I. s.r.l. A ciò si aggiunga che neppure sussiste alcuna violazione dei criteri di valutazione della prova (relativamente all’efficacia probatoria dei bilanci alla luce delle note integrative ed alla piena prova, fino a querela di falso, della dichiarazione notarile contenente la certificazione attestante la ricorrenza nella contabilità della società di poste qualificate come versamenti a fondo perduto in conto aumento di capitale). Del resto, l’efficacia probatoria dell’atto pubblico, nella parte in cui fa fede fino a querela di falso, non opera relativamente alle valutazioni o qualificazioni in esso contenute, sia pure effettuate dal pubblico ufficiale, in quanto è limitata agli elementi estrinseci dell’atto, indicati all’art. 2700 c.c., e non si estende al contenuto intrinseco del medesimo, che può anche non essere veritiero e del quale è ammessa qualsiasi prova contraria, nei limiti consentiti dalla legge, in ordine alla veridicità e all’esattezza delle dichiarazioni rese nel menzionato atto dalle parti (Sez.6 – 1, n. 20214 del 25/07/2019, Rv. 654964 – 01).
2. Con il secondo motivo si è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 20 e 22 del d.P.R. n. 131 del 1986, 88 del d.P.R. n. 917 del 1986, 116 e 221 cod.proc.civ., 2700 cod.civ., in quanto, da un lato, non sono assoggettabili a tassazione le operazioni di aumento di capitale realizzate mediante utilizzo di risorse iscritte in bilanci, derivanti da apporti di soci versati in conto aumento di capitale, senza diritto alla restituzione, e, dall’altro lato, il vincolo di destinazione delle somme è un elemento che è stato validamente acquisito, risultando dalle note integrative dei bilanci e dall’atto di rettifica notarile, non impugnato con querela di falso.
2.1. Con tale censura si sono, invero, denunciate una pluralità di violazioni di leggi, tra cui quella dell’art. 22 del d.P.R. n. 131 del 1986. Occorre, pertanto, verificare l’ambito applicativo di tale disposizione per stabilire se l’operazione in esame – ricostruita e qualificata, come fatto dal giudice di appello, nei termini proposti dall’Agenzia delle Entrate – possa esservi inclusa.
2.2. In proposito deve ribadirsi che la Corte di cassazione può accogliere il ricorso per una ragione di diritto anche diversa da quella prospettata dal ricorrente, sempre che essa sia fondata sui fatti come prospettati dalle parti, fermo restando che l’esercizio del potere di qualificazione non può comportare la modifica officiosa della domanda per come definita nelle fasi di merito o l’introduzione nel giudizio d’una eccezione in senso stretto (Sez. 3, n. 18775 del 2017, Rv. 645168 – 01).
Nel caso di specie, a prescindere dalla qualificazione giuridica dell’operazione, il nucleo centrale dei fatti storici prospettati da entrambe le parti è il seguente: datio di una somma di danaro da parte del socio alla società; successiva utilizzazione di questa somma di danaro ai fini dell’aumento di capitale.
Le impostazioni difensive, così come le ricostruzioni dei giudici di merito, divergono relativamente alla qualificazione giuridica dell’operazione – versamenti a fondo perduto, poi utilizzati per realizzare l’aumento di capitale, secondo il ricorrente ed il giudice di primo grado; originario finanziamento da parte del socio nei confronti della società e successiva rinuncia del socio al credito restitutorio, secondo l’Agenzia delle Entrate ed il giudice di secondo grado.
Tuttavia, la diversa qualificazione dell’operazione non incide sulla individuazione del contenuto e dell’ambito applicativo dell’art. 22 del d.P.R. n. 131 del 1986, che devono essere preliminarmente verificati al fine di stabilire se, nella presente fattispecie, ne sussista la violazione, denunciata dalla ricorrente, sia pure in termini eventualmente diversi da quelli prospettati.
2.3. L’art. 22 del d.P.R. 16 aprile 1986, n. 131 dispone, per quanto di rilievo ai fini della presente fattispecie, che:
«1. Se in un atto sono enunciate disposizioni contenute in atti scritti o contratti verbali non registrati e posti in essere fra le stesse parti intervenute nell’atto che contiene la enunciazione, l’imposta si applica anche alle disposizioni enunciate. Se l’atto enunciato era soggetto a registrazione in termine fisso è dovuta anche la pena pecuniaria di cui all’art. 69.
2. L’enunciazione di contratti verbali non soggetti a registrazione in termine fisso non dà luogo all’applicazione dell’imposta quando gli effetti delle disposizioni enunciate sono già cessati o cessano in virtù dell’atto che contiene l’enunciazione».
La tassazione, nel caso di enunciazione di un contratto verbale di finanziamento-soci contenuta in un verbale assembleare, è, dunque, condizionata dalla ricorrenza di tre elementi, costituiti dall’esistenza di una compiuta enunciazione, dalla identità di parti tra l’atto enunciante e l’atto enunciato (nel caso di specie, verbale di assemblea e finanziamento) e dalla cd. permanenza degli effetti dell’atto enunciato. Solo per completezza si precisa che il primo requisito, oggetto di accertamento di fatto dai giudici di merito, è estraneo al thema decidendum.
3. In applicazione della disciplina in esame si è sviluppato un orientamento della giurisprudenza di legittimità, che ha affermato l’imponibilità del finanziamento soci enunciato negli atti di ripianamento delle perdite del capitale sociale e sua ricostituzione mediante rinuncia dei soci ai finanziamenti in precedenza effettuati nei confronti della società, a prescindere dall’effettivo uso del finanziamento medesimo, trattandosi di atto avente ad oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale, finalizzato a determinare una modificazione della sfera patrimoniale e suscettibile di valutazione economica (v., tra le tante, Sez. 5, n. 15585 del 30/06/2010, Rv. 613766 – 01; Sez. 5, n. 11756 del 12/05/2008, Rv. 603133 – 01; da ultimo Sez. 6-5, n. 32516 del 12/12/2019, Rv. 656035 – 01).
3.1. Tale orientamento va, tuttavia, sviluppato ed approfondito alla luce di una serie di problematiche.
In primo luogo occorre chiedersi se l’art. 22 del d.P.R. n. 131 del 1986, laddove stabilisce che “se in un atto sono enunciate disposizioni contenute in atti scritti o contratti verbali non registrati e posti in essere fra le stesse parti intervenute nell’atto che contiene la enunciazione, l’imposta si applica anche alle disposizioni enunciate”, preveda l’applicazione dell’imposta di registro solo ad atti che vi sono già sottoposti in base ad altre norme oppure estenda il presupposto impositivo del tributo in esame anche ad atti che, di per sé, non vi sono sottoposti, ma lo divengono in virtù dell’enunciazione. Il problema si pone in particolare per i contratti verbali (come, nella fattispecie, in cui non vi è alcun riferimento alla stipula di un contratto scritto) o per quelli scritti, ma soggetti all’imposta solo in caso di uso (come nella ipotesi, spesso ricorrente nella prassi societaria, del mutuo del socio alla società, stipulato per corrispondenza e soggetto a registrazione solo in caso di uso ai sensi dell’art. 1 della seconda parte della tariffa allegata al d.P.R. n. 131 del 1986).
Nel caso di specie, si versa nell’ipotesi di un contratto verbale (non essendovi alcun riferimento nella sentenza e negli atti di parte ad un atto scritto), sicché ci si soffermerà solo su tale ipotesi, in cui, peraltro, è necessario confrontarsi anche con il secondo comma dell’art. 22 del d.P.R. n. 131 del 1986, ai sensi del quale l’enunciazione di contratti verbali non soggetti a registrazione in termine fisso non dà luogo all’applicazione dell’imposta quando gli effetti delle disposizioni enunciate sono già cessati o cessano in virtù dell’atto che contiene l’enunciazione.
Infine, bisogna stabilire se sussista il presupposto dell’identità delle parti tra atto enunciante (verbale dell’assemblea societaria) ed enunciato (finanziamento tra società e socio).
3.2. Per quanto concerne, la prima problematica, alla luce del dato testuale dell’art. 22 del d.P.R. n. 131 del 1986 (in particolare della limitazione dell’applicazione della sanzione, in base all’ultimo periodo del primo comma, alla sola ipotesi in cui l’atto enunciato fosse originariamente soggetto a registrazione in termine fisso e della specifica ipotesi dell’esenzione dall’imposta, conseguente all’enunciazione, nell’ipotesi di contratti verbali non soggetti originariamente a registrazione in termine fisso laddove i loro effetti siano già cessati o cessino in virtù dell’atto che contiene l’enunciazione), deve ritenersi che l’enunciazione di un contratto verbale lo renda soggetto all’imposta di registro, anche laddove non vi ricadesse in base agli artt. 1 e 2 del d.P.R. n. 131 del 1986. La lettera della legge non consente altra interpretazione.
3.3. Per quanto concerne l’identità di parti tra atto enunciante ed enunciato, tale requisito è stato implicitamente o esplicitamente riconosciuto, nell’ipotesi in cui il verbale assembleare faccia riferimento al finanziamento concluso tra la società ed uno o più soci, in plurime pronunce di questa Corte (tra le tante, si rinvia a Sez. V n. 16539 dell’8/4/2021, in cui si legge che «dal verbale di assemblea soggetto ad imposizione è emersa l’esistenza di un finanziamento della società contribuente a favore della società partecipata – parti del verbale di aumento di capitale oggetto di registrazione utilizzato da quest’ultima, mediante rinuncia parziale del relativo credito, al fine di deliberare un aumento di capitale»; Sez. V, n. 21699 del 29/07/2021, che ha confermato la decisione del giudice di merito «laddove ha ritenuto che dovesse essere assoggettato all’imposta di registro un finanziamento sulla base della sua sola enunciazione nel verbale dì assemblea, atto che è comunque soggetto a registrazione …, ed al quale parteciparono gli stessi soggetti dell’atto enunciato»).
Tuttavia, recentemente questa Corte, con l’ordinanza interlocutoria n. 11118 del 2022 (che ha rimesso alle SS.UU. la questione circa la estensione della responsabilità del notaio, ex art. 57, comma 1, del d.P.R. 26 aprile 1986 n. 131, per il pagamento dell’imposta di registro sugli atti enunciati negli atti pubblici rogati o nelle scritture private autenticate), ha dubitato di tale assunto, osservando che «se il concetto di “parti” appare compatibile – secondo un orientamento costante – con il contratto di finanziamento soci, ove le stesse sono rappresentate dai soci finanziatori da un lato e dalla società finanziata dall’altro…., la stessa nozione risulta più difficilmente adattabile al verbale assembleare, che per propria natura, costituendo – secondo autorevole dottrina – un semplice resoconto degli accadimenti assembleari, è un atto “auto-riferito” e, dunque, senza parti». Invero, il verbale assembleare, diversamente dal contratto di finanziamento, non vede contraddistinti il socio finanziatore e la società: ad esso partecipano l’insieme dei soci, che difficilmente può essere ricondotto al concetto di «parte», proprio dei rapporti contrattuali. Tale rilievo è presente nella diffusa elaborazione dottrinale, che esclude vi sia identità di parti tra atto enunciato (finanziamento) ed atto enunciante (verbale di assemblea), sottolineando che il verbale assembleare è un resoconto degli accadimenti assembleari e che, quindi, tecnicamente è definibile in termini di atto senza parti, traducendosi nella mera constatazione degli eventi accaduti in sede assembleare ed integrando un atto unilaterale in cui interviene l’insieme dei soci, mentre il finanziamento enunciato è un contratto, di cui la società ed il socio/i soci sono parti.
In ordine a tale problematica, che esula da quella rimessa alle Sezioni Unite, il Collegio ritiene, tuttavia, di confermare l’orientamento consolidato della Corte.
L’art. 22 del d.P.R. 26 aprile 1986 n. 131 fa riferimento alle «parti intervenute nell’atto che contiene l’enunciazione».
Occorre partire da tale dato testuale, in ragion del criterio letterale che secondo le Sezioni Unite deve orientare l’interpretazione della norma tributaria (v. Cass., Sez. U., n. 23051 del 25/07/2022). Proprio il tenore letterale della disposizione in esame consente di ritenere che, ai fini fiscali dell’enunciazione, non rilevi la parte in senso contrattuale, ma piuttosto il soggetto che ha partecipato ai due atti (enunciante ed enunciato: nella specie, finanziamento e deliberazione assembleare). Sicuramente il verbale di assemblea integra il mero resoconto di quanto accaduto in assemblea, ma proprio per questo può registrare la partecipazione dei soci e della società e, cioè, di quegli stessi soggetti dell’operazione enunciata, oggetto di tassazione. In tale prospettiva, dunque, va ritenuto che il predetto verbale assembleare, constatando (funzione alla quale è deputato) la partecipazione dei soggetti intervenuti in assemblea (tra cui i soci e la società), che sono gli stessi soggetti che hanno concluso il finanziamento, valga – ai fini fiscali di cui all’art. 22 del d.P.R. n. 131 del 1986 – ad integrare il requisito soggettivo in esame. Tale conclusione risulta, del resto, coerente con la ratio della disposizione in esame, che richiede, ai fini dell’imposizione dell’atto enunciato l’identità di parti tra l’atto enunciante e quello enunciato, proprio al fine di evitare che un soggetto si ritrovi sottoposto al prelievo fiscale in conseguenza di comportamenti a lui non imputabili. Nel caso del verbale assembleare di società, sebbene non siano configurabili parti dal punto di vista contrattuale, risultano, comunque, coinvolti i soggetti che sono stati parti del precedente contratto, sicché il prelievo fiscale non può dirsi conseguente ad una condotta altrui. In conclusione, l’autonomia del diritto tributario rispetto a quello civile consente di interpretare il termine parti, di cui al primo comma dell’art. 22 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. n. 131, in senso a-tecnico e di ritenere, quindi, integrato il requisito dell’identità laddove nell’atto enunciante siano coinvolti o intervengano, anche con una veste diversa da quella di parte contrattuale, gli autori dell’atto enunciato.
3.4. Nel caso di specie, tuttavia, non sussiste il terzo requisito desumibile dall’art. 22, comma 2, del d.P.R. n. 131 del 1986.
Preliminarmente va ribadito che non è in discussione che il finanziamento in oggetto sia stato frutto di un accordo verbale, non essendovi alcun riferimento – né in sentenza né negli atti di parte – ad un precedente contratto scritto; parimenti è pacifico che tale contratto verbale non ricada nel perimetro applicativo di cui all’art. 3 del d.P.R. n. 131 del 1986. Tali caratteristiche (contratto verbale non soggetto a registrazione) rendono operativa la previsione dell’art. 22, comma 2, del d.P.R. n. 131 del 1986, che esclude l’imposta «quando gli effetti delle disposizioni enunciate sono già cessati o cessano in virtù dell’atto che contiene l’enunciazione».
Deve, quindi, rilevarsi che la convenzione enunciata (il finanziamento) ha cessato i suoi effetti a seguito della definitiva imputazione a capitale della somma già versata dal socio alla società, che ha mutato la causa della datio e che ha determinato l’estinzione (per rinuncia, ma prima ancora per compensazione: v. Cass., Sez. 1, 19 marzo 2009, n. 67011) dell’obbligo restitutorio della società nei confronti del socio, se non anteriormente, quantomeno contestualmente o in esecuzione dell’atto enunciante. In proposito occorre evidenziare che la consegna della somma di danaro non integra un effetto dell’originario contratto concluso tra la società ed il socio, ma piuttosto un elemento che attiene alla sua conclusione: difatti, il finanziamento va ricondotto al mutuo, che è, ai sensi dell’art. 1813 cod.civ., un contratto reale e si perfeziona proprio tramite la consegna della somma di danaro. Gli effetti del contratto, che vanno identificati fondamentalmente nell’obbligo di restituire la somma di danaro e, se il finanziamento è a titolo oneroso, in quello di corrispondere gli interessi, certamente vengono meno con l’imputazione della somma a capitale, divenendo il danaro un conferimento societario. La cessazione degli effetti del finanziamento è riconducibile all’atto enunciante, proprio come richiede l’art. 22 in esame, visto che la rinuncia del socio alla restituzione della somma ed all’eventuale corrispettivo pattuito deriva dal mutamento di causa della datio e, cioè, dall’operazione societaria posta in essere. In ordine a tale profilo questa Corte, con riferimento all’ammissibilità della compensazione tra i crediti vantati dai soci per finanziamenti ed i debiti di conferimento che il socio ha verso la società conferitaria, ha già chiarito che il finanziamento si estingue nel momento stesso in cui i crediti che ne derivano formano oggetto di compensazione (cfr. Cass., Sez, I, 24 aprile 1998, n. 4236 e Cass. Sez. 1, del 19 marzo 2009, n. 6711, citata), così affermando un principio rilevante anche in questa sede.
In conclusione, cessando il finanziamento i propri effetti in ragione del predetto utilizzo, deve ritenersi integrata la causa di non imponibilità individuata dal comma 2 dell’art. 22 del d.P.R. n. 131 del 1986. Ne deriva, pertanto, che la sentenza impugnata, nel ritenere applicabile, nella presente fattispecie, l’art. 22 del d.P.R. n. 131 del 1986, ne ha violato il secondo comma.
5. In conclusione, il secondo motivo di ricorso deve essere accolto, rigettato il primo, e la sentenza impugnata conseguentemente deve essere cassata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa deve essere decisa nel merito ed il ricorso della contribuente deve essere accolto. Le spese dell’intero giudizio devono essere compensate in considerazione dei nuovi profili della questione giuridica affrontata.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo, rigettato il primo; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso della contribuente;
dichiara integralmente compensate le spese dell’intero giudizio.
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