Corte di Cassazione sentenza n. 5937 depositata il 12 marzo 2018
FALLIMENTO – LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA – IMPRESA IN LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA IN CORSO DI GIUDIZIO – DOMANDA CREDITORIA – IMPROPONIBILITÀ – RICONVENZIONALE IN COMPENSAZIONE – DEROGA – ESCLUSIONE – FONDAMENTO
FATTI DI CAUSA
Il Presidente del Tribunale di Catanzaro, a seguito di ricorso -accolto solo in parte – della Euro-Americana di Assicurazioni S.p.a. in Amministrazione Straordinaria, emetteva D.I. n. 3395/1992 di pagamento a carico della O. s.n.c. di V. e C., nonche’ dei singoli soci di essa in atti specificamente indicati, di Euro 83.878,38 (oltre interessi, rivalutazione e spese) quale somma dovuta per essere stata indebitamente trattenuta nell’ambito del rapporto inter partes di mandato di agenzia speciale.
Sia la O. che i singoli soci proponevano opposizione avverso il suddetto decreto, svolgendo altre domande nei confronti della parte ingiungente.
La societa’ di assicurazioni in regime di amministrazione straordinaria resisteva all’opposizione, di cui chiedeva il rigetto.
Interrotto il processo per la messa in liquidaizone della medesima suddetta societa’, la Euro-Americana di Assicurazioni S.p.a. in liquidazione si costituiva reiterando la domanda di rigetto dell’avversa opposizione.
Il Tribunale di prima istanza, con sentenza del 10.3/24.4/2008 revocava l’opposto D.I., condannava gli opponenti, in solido, al pagamento in favore della anzidetta societa’ di assicurazioni della somma di Euro 68.387,77, oltre interessi legali dalla domanda, dichiarando l’improponibilita’ delle altre svolte domande per effetto della intervenuta messa in liquidazione e compensava integralmente le spese del giudizio.
Avverso la suddetta decisione del Tribunale di prima istanza interponevano appello, in via principale, i soci della O. e tale ultima stessa societa’.
Resisteva ai proposti gravami, di cui chiedeva il rigetto, la societa’ di assicurazione, la quale – a sua volta – interponeva appello incidentale per la riforma della sentenza di primo grado nella parte in cui aveva posto in compensazione l’importo di Euro 15.490,62, contrastando tale capo della decisione con la pur ritenuta anzidetta improcedibilita’.
L’adita Corte di Appello di Catanzaro, con sentenza n. 765/2012, rigettava l’appello principale ed, in accoglimento dell’appello incidentale e d in riforma della gravata decisione del primo Giudice, condannava gli appellanti al pagamento in favore della societa’ di assicurazione della somma di Euro 83.878,39, nonche’ alla refusione delle spese del doppio grado del giudizio.
Per la cassazione della suddetta decisione della Corte territoriale ricorrono con atto fondato su tre ordini di motivi le parti gia’ appellanti principali e di cui in epigrafe, con l’eccezione della O. s.n.c., nonche’ G.A..
Resiste con controricorso la intimata societa’ di assicurazione, la quale ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Con il primo motivo del ricorso si censura il vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione fra le parti ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5.
L’essenza della doglianza attiene alla pretesa che sarebbe stato commesso errore nel “non aver considerato il primo motivo di gravame”, reputato dalla Corte distrettuale – per espressa ammissione delle stesse parti odierne ricorrenti-assorbito da quello attinente alla sussistenza o meno della contestazione”.
Il motivo e’ dei tutto inammissibile in quanto censura, sotto l’errato profilo di una pretesa omessa valutazione di un fatto l’essenza stessa della valutazione e l’oggetto della decisione della Corte territoriale.
Al riguardo va ribadito il principio per cui ” e’ inammissibile il motivo del ricorso che, pur se formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (come novellato ex D.L. n. 83 del 2012, conv. in L. n. 134 del 2012 ed applicabile ratione temporis), svolge, nella sostanza, una questione di valutazione in fatto attraverso il generico ricorso ad una “omessa valutazione (senza cioe’ specifica indicazione del “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, del “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, dei “come” e del “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e della sua “decisivita’”)” (Cass. S.U. 7 aprile 2014, n. 8053, nonche’ Cass. n. 13928/2015), cosi’ riducendosi “in una censura che presuppone come tuttora vigente, nel suo vecchio testo, l’art. 360 c.p.c., n. 5”.
In buona sostanza viene dedotta non la omessa valutazione di un fatto in senso ontologico, ma l’essenza stessa del decisum e, quindi, l’apprezzamento in fatto del giudice merito che e’ elemento oggettivo del giudizio e non costituisce quel “fatto in senso ontologico” che e’ l’unico denunciabile ai sensi della suddetta norma processuale.
Inoltre l’eventuale omessa pronuncia non vi e’ stata poiche’, dando la prevalenza nell’ordine logico delle questioni trattate alla decisiva “mancata contestazione delle ragione creditoria fatta valere”, l’assorbimento di un motivo di appello e’ essa stessa pronuncia e non omissione di decisione (rimanendo eventualmente censurabile tale omissione – se ricorrente – sotto il profilo dell’art. 360 c.p.c., n. 4 e non certo col parametro normativo cui erroneamente si e’ fatto ricorso).
Per di piu’, ancora, va ribadito – infine – il principio che questa Corte ha gia’ avuto modo di affermare per cui il Giudice, conformemente al principio della c.d. “ragione piu’ liquida” ben puo’ decidere sulla base della soluzione data alla questione assorbente della controversia senza che sia necessario esaminare ogni altra e tutte le altre non piu’ rilevanti questioni (Cass. civ., Sez. Terza. Sent. 16 maggio 2006, n. 11356).
Il motivo e’, quindi, inammissibile.
2.- Con il secondo motivo del ricorso si deduce promiscuamente il vizio di all’art. 360 c.p.c., n. 5 per omesso esame di altro fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti, nonche’ la violazione e falsa applicazione dell’art. 1241 c.c. ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3.
La doglianza di omessa valutazione inerisce il (preteso) non compiuto esame della contestazione del credito vantato dalla societa’ di assicurazione da parte degli opponenti-odierni ricorrenti. Essi ritengono la detta contestazione implicita nella domanda di un controcredito da compensare. La doglianza stessa svolta ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 e’ inammissibile per lo stesso ordine di ragioni innanzi gia’ esposte sub 1. in relazione all’altra analoga doglianza.
Anche con la censura del motivo qui in esame il preteso omesso esame consta non nella mancata valutazione di un fatto, ma nell’essenza stessa della decisione.
Tale aspetto appare viepiu’ evidente ove si ponga poi mente alla seconda doglianza di cui al motivo in esame concernente la pretesa violazione dell’art. 1241 c.c., in relazione alla quale deve osservarsi quanto segue.
Non vi e’ stato errore da parte della Corte territoriale (e neppure omessa valutazione di un fatto) perche’ l’eventuale credito da compensare non era liquido, non era certo e – soprattutto – ineriva l’oggetto di domanda improponibile. La censura e’, percio’, infondata.
Il motivo va, dunque, respinto nel suo complesso.
3.- Con il terzo motivo del ricorso si prospetta il vizio di violazione e falsa applicazione del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 56 e degli artt. 1241 c.c. e ss. ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3.
Il motivo verte sulla contestazione della affermazione della Corte territoriale relativa alla improcedibilita’ della domanda di credito da porre in contestazione.
Il motivo e’ del tutto infondato.
L’improcedibilita’ nell’ipotesi deve ritenersi del tutto pacifica anche alla stregua della giurisprudenza (Cass. n.ri 5699/2004 e 13944/1999) seguita dalla stessa Corte distrettuale, che -uniformandosi- ha correttamente statuito come, anche per una domanda riconvenzionale di compensazione, vige l’assoggettamento al regime di improponibilita’ per effetto della messa in liquidazione coatta amministrativa della societa’ nei cui confronti la medesima domanda e’ svolta.
In ricorso, fra l’altro, non vengono addotti motivi idonei a giustificare un cambiamento del suddetto e consolidato orientamento giurisprudenziale.
Il motivo e’, quindi, infondato e va respinto.
4.- Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato.
5.- Le spese seguono la soccombenza e si determinano cosi’ come in dispositivo.
6.- Sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.
P.Q.M.
LA CORTE
rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento in favore della parte controricorrente delle spese del giudizio, determinate in Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori come per legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
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