CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, ordinanza n. 4903 depositata il 23 febbraio 2024
Lavoro – Infortunio – Caduta dall’alto – Domanda di manleva – Acquisizione della documentazione relativa al procedimento penale pendente – Accertamento della responsabilità risarcitoria – Rigetto
Fatti di causa
1. La Corte d’appello di Roma, in riforma della sentenza di primo grado ha accertato la responsabilità di T.P. s.r.l. nell’infortunio lavorativo occorso il 19 marzo 2011 a F.R., precipitato dall’altezza di circa tre metri mentre, posizionato su un trabattello, era intento a svolgere le riprese di un evento sportivo; la caduta era stata determinata dal distacco del corrimano della torretta sulla quale era posizionata la telecamera. In base a tale ricostruzione fattuale il giudice di appello ha condannato la società datrice a corrispondere al R., a titolo di risarcimento del danno differenziale, la complessiva somma di euro 69.590,54, oltre euro 3.949,00 a titolo di spese mediche. La Corte distrettuale ha inoltre dichiarato inammissibile, in quanto tardiva, la domanda di manleva proposta da T.P. s.r.l. nei confronti di A.I. s.p.a..
2. Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso T.P. s.r.l. sulla base di tre motivi; l’intimato F.R. non ha svolto attività difensiva; A.I. s.p.a. ha depositato controricorso.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce, ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione di norma di diritto con riferimento agli artt. 436 e 416 c.p.c., censurando la statuizione di inammissibilità, in quanto tardiva, della domanda di manleva proposta da T.P. s.r.l. nei confronti di A.I. s.p.a.; in particolare, premesso che l’esame di tale domanda, già avanzata in prime cure, era rimasto assorbito dal rigetto in quella sede della domanda del R., di talché la relativa reiterazione in appello non richiedeva la proposizione di impugnazione incidentale, sostiene che alcuna preclusione a riguardo era maturata per il fatto che la memoria di costituzione in appello era stata depositata dalla società senza il rispetto del termine di dieci giorni prima dell’udienza di discussione di cui all’art. 436, comma 1 c.p.c.; evidenzia, inoltre, che A.I. s.p.a. non solo era stata chiamata in garanzia da essa T.P. s.r.l. ma anche convenuta in primo grado dall’originario ricorrente.
2. Con il secondo motivo deduce, ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione di norme di diritto con riferimento all’art. 437, comma 2, c.p.c. in relazione all’ammissibilità di nuove prove in appello; si duole, in sintesi, che la Corte distrettuale, operando un’integrazione istruttoria ai sensi dell’art. 437, comma 2, c.p.c., aveva ammesso il deposito in appello del fascicolo penale. Richiama a sostegno i principi in tema di inammissibilità dell’utilizzo dei poteri officiosi del giudice per ovviare alle carenti richieste istruttorie contenute nel ricorso introduttivo, atteso che l’esperibilità dei poteri istruttori è subordinata alla richiesta svolta in primo grado di attivazione di tale potere e che l’atto introduttivo deve contenere, a pena di decadenza tutte le allegazioni e indicazioni necessarie per l’esperibilità della prova non potendovi poi più sopperire in alcun modo; rileva che, diversamente, sarebbe risultata una ingiustificata compressione del diritto di difesa della parte convenuta.
3. Con il terzo motivo di ricorso deduce, ex art. 360, comma 3 e 5 c.p.c., violazione e falsa applicazione di norma di diritto nonché omesso esame di un fatto rilevante ai fini del giudizio, oggetto di discussione tra le parti, censurando il valore probatorio attribuito dal giudice di secondo grado alle risultanze, che assume parziali, di cui al fascicolo penale acquisito. Contesta, in sintesi, gli elementi considerati a tal fine, quali la ricostruzione dell’accaduto operata dal personale AUSL intervenuto nell’occasione; rappresenta inoltre che il giudizio relativo alla responsabilità penale era ancora pendente e che la responsabilità risarcitoria risultava comunque elisa dal comportamento abnorme del lavoratore.
4. Il primo motivo di ricorso risulta infondato alla luce della giurisprudenza di questa Corte, che viene richiamata anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c., secondo la quale nel procedimento soggetto al rito del lavoro opera la presunzione di rinuncia da parte del soggetto vittorioso in prime cure alle domande ed eccezioni non accolte, sicché vi è la necessità per la medesima, con riferimento alle questioni non esaminate dal primo giudice, di dedurle nuovamente nella memoria di costituzione entro il termine prescritto dall’art. 436 c.p.c. (v. Cass. n. 19571/2020, ed inoltre, sempre in tema di tempestiva riproposizione dell’eccezione o domanda assorbita dalla decisione di primo grado, tra le altre: Cass. n. 18901/2007).
5. Il secondo motivo di ricorso deve essere respinto. La sentenza della Corte d’appello ha premesso che il ricorrente in primo grado aveva spiegato con sufficiente dettaglio lo svolgersi degli eventi e aveva altresì richiesto in via istruttoria l’acquisizione della documentazione relativa al fascicolo delle indagini preliminari iscritto presso la competente Procura della Repubblica; secondo la Corte di merito, la tempestiva richiesta di acquisizione della documentazione relativa al procedimento penale pendente legittimava l’esercizio d’ufficio dei poteri istruttori perché rilevanti ai fini della decisione. Richiamati i principi in tema di ricerca della verità materiale e della necessità della esistenza di una “pista probatoria” al fine del legittimo esercizio di tali poteri, il giudice d’appello ha ritenuto che tale pista probatoria fosse stata offerta dal ricorrente il quale aveva provato con il deposito del contratto la esistenza di un rapporto lavorativo e con la certificazione Inail l’infortunio sofferto nonché con varia documentazione sanitaria le conseguenze dell’infortunio ed allegato la violazione degli obblighi di sicurezza da parte della società datrice di lavoro.
5.1. Le ragioni che sorreggono l’acquisizione del fascicolo della indagine penale da parte del giudice di appello rendono la sentenza impugnata conforme ai criteri che secondo il giudice di legittimità giustificano l’esercizio dei poteri istruttorii d’ufficio (v. tra le altre, Cass. 26597/2020, n. 11845/2018, Cass. 7694/2018, 6753/2012, 12856/2010), avendo la Corte distrettuale espressamente dato atto della puntuale allegazione da parte dell’originario ricorrente dei fatti oggetto di accertamento, dell’esistenza di una concreta “pista probatoria” rappresentata dalle acquisizioni documentali versate in atti dal lavoratore, della indispensabilità dell’acquisizione degli atti del fascicolo penale, valutazione quest’ultima insindacabile in sede di legittimità, anche sotto il profilo del difetto di motivazione, trattandosi di uno strumento istruttorio residuale, utilizzabile soltanto quando la prova dei fatti non possa in alcun modo essere acquisita con altri mezzi e l’iniziativa della parte instante non abbia finalità esplorativa (Cass. n. 27412/2021, Cass. n. 9020/2019, Cass. n. 4504/2017). Ciò posto, il motivo in esame risulta inammissibile per genericità in quanto si limita ad astratte enunciazioni di principio, senza confrontarsi con le argomentazioni del giudice di appello, ed in particolare con gli specifici, concreti elementi da questo addotti come giustificativi del ricorso ai poteri istruttori di ufficio; parte ricorrente trascura, inoltre, in particolare la circostanza, della quale ha dato espressamente atto il giudice di appello, che in primo grado il lavoratore aveva formulato espressa acquisizione degli atti contenuti nel fascicolo penale.
6. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile in quanto non si confronta con il concreto ragionamento decisorio svolto dalla Corte di merito; invero, dalla motivazione della sentenza impugnata non emerge in alcun modo che le conclusioni attinte in punto di ricostruzione delle modalità dell’infortunio e di accertamento della responsabilità risarcitoria in capo all’odierna ricorrente sia frutto dell’attribuzione di valenza probatoria privilegiata attribuita ai verbali dei funzionari AUSL accorsi nell’occasione; tale ricostruzione è infatti frutto di complessiva valutazione di una pluralità di elementi e, soprattutto, considera l’assenza da parte della società datrice di una contestazione specifica ed adeguata delle allegazioni di controparte. Il complessivo accertamento del giudice di secondo grado non è sindacabile in questa sede di legittimità, essendo consolidato il principio, ripetutamente affermato da questa Corte, secondo il quale, con la proposizione del ricorso per Cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente; l’apprezzamento dei fatti e delle prove, infatti, è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che nell’ambito di detto sindacato, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (cfr, tra le tante, Cass. n. 35205/2023, Cass. n. 9097/2017, Cass. n. 7921/ 2011, Cass. n. 15693/2004). Per poter incrinare la ricostruzione fattuale alla base della decisione era necessaria la deduzione del vizio di omesso esame di fatto decisivo ex art. 360, comma 1 n. 5 c.p.c., la quale, seppure formalmente formulata, non è stata sviluppata in coerenza con l’attuale configurazione del vizio di motivazione, il quale esige che la deduzione di omesso esame sia riferita ad un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti, oltre ad avere carattere decisivo ( v. tra le altre, Cass. Sez. Un. n. 8053/2014), laddove l’odierna parte ricorrente si limita a contrapporre alla valutazione della Corte di merito un diverso apprezzamento probatorio degli elementi in atti;
analogamente inammissibile la censura intesa a criticare la ritenuta non contestazione delle allegazioni attoree da parte della società; ciò per la dirimente considerazione che parte ricorrente omette, in violazione del precetto di cui all’art. 366, comma 1 , n. 6 c.p.c., la trascrizione o la esposizione per riassunto delle parti dei propri scritti difensivi dai quali emergerebbe la puntuale contestazione delle circostanza allegate da controparte; deve comunque osservarsi che la Corte di merito ha espressamente risposto alle deduzioni di T.P. s.r.l. in ordine a possibili ed eventuali profili di negligenza, imprudenza ed imperizia nella condotta del R. che ha ritenuto comunque inidonei ad escludere la responsabilità datoriale per l’infortunio.
7. Al rigetto del ricorso consegue il regolamento secondo soccombenza delle spese di lite.
8. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato previsto dal d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013) pari a quello – ove dovuto – per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione a parte controricorrente delle spese di lite che liquida in Euro 5.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 20012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto
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