CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, ordinanza n. 348 depositata il 9 gennaio 2020
Reati tributari – Emissione fatture per operazioni inesistenti – Finalità – Irrilevanza – Accertamento del dolo – Punibilità
Ritenuto in fatto
1. – La Corte d’appello ha parzialmente confermato la sentenza di primo grado, con la quale l’imputato era stato condannato, per il reato di cui agli artt. 81, secondo comma, cod. pen., e 8 del d.lgs. n. 74 del 2000, per avere emesso fatture per operazioni inesistenti, allo scopo di consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto. La Corte d’appello ha escluso la continuazione e ha eliminato il relativo aumento di pena.
2. – Avverso la sentenza, l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, deducendo: a) vizi della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza del dolo del reato, che sarebbe stato ritenuto compatibile con l’accertata finalità dell’agente di far fronte a una sua difficoltà economica; finalità che sarebbe incompatibile con quella di consentire a terzi l’evasione fiscale; b) la violazione dell’art. 131-bis cod. pen., per il mancato riconoscimento della particolare tenuità del fatto, visti gli importi delle fatture, per i quali è stata riconosciuta la sussistenza della fattispecie del comma 3 dell’art. 8 citato.
Considerato in diritto
3. – Il ricorso è inammissibile, perché basato su censure in fatto meramente riproduttive di rilievi già esaminati e motivatamente disattesi dai giudici di primo e secondo grado, con conforme valutazione.
Tali considerazioni valgono in relazione al primo motivo di ricorso, perché, dalla semplice lettura della sentenza di appello, emerge che l’imputato gestiva una mera “cartiera“, essendo privo della struttura necessaria per poter svolgere le prestazioni riportate nelle fatture; e da ciò si evince la sua coscienza e volontà di consentire l’altrui evasione. Del resto, il reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti è integrato anche quando la condotta è commessa non soltanto al fine esclusivo di favorire l’evasione fiscale di terzi attraverso l’utilizzo delle stesse, ma anche per trarne un profitto personale (ex plurimis, Sez. 3, n. 44449 del 17/09/2015, Rv. 265442); ciò che normalmente avviene da parte di soggetti che si prestano dietro corrispettivi occulti all’emissione di fatture per consentire una frode.
Del pare inammissibile è la seconda censura, riferita alla particolare eternità del fatto, perché la difesa non tiene conto, neanche a fini di critica, della motivazione della sentenza impugnata, la quale valorizza in senso negativo la rilevante consistenza degli importi fatturati (euro 28.000,00).
4. – Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in € 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
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