CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 33869 depositata il 01 dicembre 2020
Amministratore unico di società – Reato di lesioni personali colpose gravi – Violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro
Ritenuto in fatto
1. La Corte d’Appello di Brescia, con sentenza del 29/10/2019, in parziale riforma della pronuncia del Tribunale di Brescia, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di T.D.J. in ordine alle contravvenzioni a lui ascritte ai capi A) e B) della rubrica – riguardanti la violazione dell’art. 71, comma 1 e comma 1 lett. a), d.lgs. 81/08 – perché estinte per intervenuta prescrizione.
Ha rideterminato la pena allo stesso inflitta per il reato di lesioni personali colpose gravi, commesse con violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, in quella di mesi uno di reclusione.
Era contestato all’imputato di avere, in qualità di amministratore unico della società “S.B. s.r.l.”, datore di lavoro di S.M., per colpa generica e specifica, quest’ultima consistita nella violazione delle norme sopra richiamate, di avere cagionato l’amputazione della prima falange del dito medio della mano destra del dipendente. Si accertava, nel corso della istruttoria dibattimentale, che il S., addetto alla macchina “Staffatrice Automatica C.18E.”, intervenuto per disincagliare una staffa già lavorata, afferrava la staffa in prossimità del gruppo di taglio, rimanendo con il terzo dito della mano destra intrappolato nell’ingranaggio.
Nel corso del dibattimento il P.M. contestava all’imputato l’ulteriore violazione dell’art. 71, comma 2, d.lgs 81/08 per avere omesso di indicare, quale area inaccessibile al lavoro, l’area di funzionamento del gruppo piega e del gruppo taglio della staffatrice.
I giudici di merito, nelle due sentenze conformi, hanno ritenuto dimostrati tutti i profili di responsabilità contesati al ricorrente.
2. L’imputato ha proposto ricorso per cassazione a mezzo di difensore, formulando tre distinti motivi (in sintesi giusta il disposto di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.).
Con il primo motivo ha dedotto violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 519 e 522 cod. proc. pen.
Ritiene che debba essere annullata la sentenza impugnata avendo i giudici offerto una motivazione illogica e apparente in relazione al motivo di appello riguardante la violazione della correlazione tra imputazione e sentenza. Lamenta inoltre che, a seguito della modifica della imputazione operata dal P.M. in dibattimento, il quale aveva proceduto ad elevare una nuova contestazione, è stato violato l’art. 519 cod. proc. pen., che impone di concedere all’imputato un termine a difesa.
Con il secondo motivo ha dedotto carenza di motivazione in relazione all’art. 69 cod. pen.
Con il terzo motivo ha dedotto carenza di motivazione in relazione agli artt. 163 e 175 cod. proc. pen.
Considerato in diritto
1. Si osserva, con rilievo di ordine assorbente rispetto ad ogni altra questione posta dalla difesa, la fondatezza del primo motivo di ricorso in relazione alla violazione dell’art. 519 cod. proc. pen.
2. Risulta dalla lettura degli atti di causa che, all’udienza di 6/11/2017, il P.M. ha provveduto a contestare all’imputato, ai sensi dell’art. 516 cod. proc. pen., l’ulteriore violazione della disposizione di cui all’art. 71, comma 2, d.lgs. 81/08.
La difesa ha chiesto, subito dopo l’intervento del P.M., un termine a difesa ed il Giudice ha rigettato la richiesta sostenendo che la nuova contestazione non avesse comportato una immutatio della imputazione elevata a carico del T.
Investita della questione, la Corte di appello ha ribadito le ragioni espresse dal primo giudice ed ha altresi osservato come la richiesta difensiva fosse tardiva, tenuto conto che già all’udienza del 31/10/2016 era emersa, dalla deposizione del lavoratore infortunato, la circostanza contestata dal P.M.
Ebbene, la formale contestazione suppletiva avrebbe imposto al Tribunale, ai sensi dell’art. 519 cod. proc. pen., di avvisare l’imputato della facoltà di chiedere un termine a difesa e di concedere tale termine su sua richiesta anche ai fini dell’ammissione di nuove prove, come prospettato dalla difesa nel verbale di udienza.
La violazione della disposizione in parola integra una nullità a regime intermedio, in quanto attinente all’assistenza difensiva dell’imputato (cfr. Sez. n. 9876 del 23/05/2000, Rv. 218020 – 01: “In tema di integrazione dell’imputazione ai sensi dell’art. 516 cod. proc. pen., l’omesso avviso all’imputato della facoltà di chiedere un termine a difesa integra una nullità a regime intermedio che – in quanto tale – deve essere dedotta, quanto meno, con i motivi di appello ed, in mancanza di ciò, non può costituire oggetto di ricorso per cassazione“).
La richiesta di termine a difesa è stata ritualmente avanzata subito dopo la formalizzazione della nuova contestazione e la eccezione di nullità, per la sua mancata concessione, è stata dedotta anche in grado di appello.
Si sono quindi realizzate le condizioni per ritenere effettivamente integrata la violazione l’art. 519 cod. proc. pen., ritualmente e tempestivamente dedotta.
Ne consegue l’annullamento della sentenza di primo e secondo grado con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Brescia.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e la sentenza emessa a carico di T.D. dal Tribunale di Brescia in data 6/11/2017 (n. 3900/17) con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Brescia.
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