CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 37589 depositata il 29 dicembre 2020
Reati tributari – Frode fiscale – Infedele dichiarazione – Elementi passivi fittizi – Utilizzo di fatture per operazioni inesistenti – Reato ex art. 3, d.lgs n. 74/2000 – Esclusione – Riqualificazione reato ex art. 2, d.lgs n. 74/2000
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 10/05/2018, la Corte di appello di Venezia, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Venezia in data 02/02/2017 – con la quale, all’esito di giudizio abbreviato, B.G. era stato dichiarato responsabile del reato di cui all’art. 3 d.lgs n. 74/2000 (perché, nella qualità di legale rappresentante della M.A.F. s.r.l e sottoscrittore della dichiarazione dei redditi presentata tardivamente per l’anno 2010, al fine di evadere l’imposta sul valore aggiunto, sulla base di una falsa rappresentazione delle scritture contabili ed avvalendosi di mezzi fraudolenti, indicava nella dichiarazione per l’anno 2010, mediante l’utilizzo della fattura n. 1 del 1 gennaio 2010 emessa da M.I. s.r.l. – da ritenersi relativa ad operazioni inesistenti – elementi passivi fittizi per l’ammontare di euro 2.500.000,00 con conseguente indebita detrazione di Iva pari a euro 500.000,00) e condannato alla pena ritenuta di giustizia- previa concessione all’imputato delle circostanze attenuanti generiche, riduceva la pena inflitta a mesi otto di reclusione ed applicava allo stesso le pene accessorie di cui all’art. 12 d.lgs.74/2000, determinando nel minimo la durata di quelle temporanee.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione B.G., a mezzo del difensore di fiducia, articolando quattro motivi di seguito enunciati.
Con il primo motivo deduce vizio di motivazione in relazione alla mancata riqualificazione del fatto contestato nella previsione di cui all’art. 2 d.lgs 74/2000.
Lamenta che la ritenuta inesistenza delle operazioni oggetto della fattura di cui alla contestazione era basata su motivazioni contraddittorie: la Corte territoriale aveva riconosciuto che la difesa aveva provato due elementi sostanziali che collidevano con l’elemento oggettivo del reato (presenza di merce compatibile per valore con l’importo indicato in fattura, erogazione di numerosi prestiti di rilevante importo dalla M.A.F. srl alla M.I. srl negli anni tra il 2005 ed 2010), ma aveva confermato l’affermazione di responsabilità valutando in maniera erronea, non condivisibile e con argomentazioni illogiche le ulteriori risultanze istruttorie, elementi di mera rilevanza formale.
Con il secondo motivo deduce vizio di motivazione in relazione alla sussistenza dell’elemento oggettivo del reato di cui all’art. 3 d.lgs.74/2000.
Lamenta che la Corte territoriale non aveva argomentato in ordine alla sussistenza della frode contabile, elemento necessario per concretizzare l’elemento oggettivo del reato previsto dall’art. 3 d.lgs.74/2000.
Con il terzo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità per il reato contestato.
Espone che l’integrazione probatoria ritenuta necessaria dal Giudice dell’udienza preliminare al fine del decidere aveva portato un contributo alle tesi difensive tale da espandere, quanto meno, il dubbio prò reo, in quanto l’imputato, a seguito delle dichiarazioni rese dai testi escussi, aveva fornito una plausibile spiegazione alternativa alla ricostruzione accusatoria.
Con il quarto motivo deduce vizio di motivazione in relazione alla sussistenza del dolo specifico di evasione, lamentando che sul punto la Corte territoriale aveva fornito una motivazione apparente e senza prendere in considerazione le risultanze istruttorie che comprovano non solo l’assenza di dolo ma addirittura la buona fede del ricorrente.
Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è parzialmente fondato in relazione al primo ed al secondo motivo, secondo le argomentazioni che seguono.
2. La fattispecie deve essere riqualificata ex art. 2 del d.lgs. n. 74 del 2000, con rigetto del ricorso nel resto.
La predetta disposizione prevede che «1. È punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi passivi fittizi. 2. Il fatto si considera commesso avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti quando tali fatture o documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie, o sono detenuti a fine di prova nei confronti dell’amministrazione finanziaria». Un comma 3, abrogato dal decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011, prevedeva un’ipotesi attenuata, per cui, se l’ammontare degli elementi passivi fittizi era inferiore a euro 154.937,07, si applicava la reclusione da sei mesi a due anni. Il successivo art. 3 prevede anch’esso la pena della reclusione da un anno e sei mesi a sei anni, il requisito del dolo specifico di evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, e punisce la condotta di chi, sulla base di una falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie e con l’utilizzazione di mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l’accertamento, l’indichi nella dichiarazione annuale elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo o elementi passivi fittizi, alla duplice condizione che l’imposta evasa sia superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro 30.000,00 e che l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, sia superiore al 5% dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o, comunque, superiore a un milione di euro. Tale duplice condizione è il frutto della modifica della disposizione ad opera del decreto-legge n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011. Vi è, inoltre, la previsione espressa di una clausola di riserva («fuori dei casi previsti dall’articolo 2»).
E’ condivisibile affermazione di questa Corte, quella secondo cui il reato di frode fiscale ex art. 2 del d. lgs. n. 74 del 2000 è configurabile ogniqualvolta il contribuente, per effettuare una dichiarazione fraudolenta, si avvalga di fatture o altri documenti che attestino operazioni non realmente effettuate, non rilevando la circostanza che la falsità sia ideologica o materiale, distinguendosi la frode sanzionata dall’art. 2 da quella di cui al successivo art. 3 non per la natura del falso, ma per il rapporto di specialità reciproca esistente tra le condotte previste dagli art. 2 e 3, nel senso che a un nucleo comune, costituito dalla presentazione di una dichiarazione infedele, si aggiungono in chiave specializzante, da un lato (art. 2), l’utilizzazione di fatture e documenti analoghi relativi a operazioni inesistenti e, dall’altro (art. 3), una falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie congiunta con l’utilizzo di mezzi fraudolenti idonei a ostacolare l’accertamento, nonché la previsione di una soglia minima di punibilità (cfr. in termini, Sez. 3, n.6360 del 25/10/2018, dep.11/02/2019, Rv.275698 – 01; Sez. 3, n. 9673 del 09/02/2011 Rv. 249613, Sez. 3, n. 2156 del 18/10/2011, dep. 2012, Rv. 251877 e Sez. 3, n. 46785 del 10/11/2011, Rv. 251621).
Si è, in particolare, evidenziato che la condotta di dichiarazione fraudolenta mediante fatture o documenti per operazioni inesistenti presenta una struttura bifasica, in cui la dichiarazione, quale momento conclusivo, dà vita a un falso contenutistico, mentre la condotta preparatoria, cioè la registrazione o detenzione a fini di prova dei documenti che costituiranno il supporto della dichiarazione, può avere ad oggetto sia documenti contenutisticamente falsi emessi da altri in favore dell’utilizzatore sia documenti materialmente falsi, cioè contraffatti o alterati.
Per contro, la dichiarazione fraudolenta sanzionata dal successivo art. 3 del d.lgs. n. 74 del 2000 è costruita dal legislatore come frode contabile alla quale deve associarsi un quidpluris non tipizzato ma necessariamente diverso dall’uso di fatture o altri documenti falsi, anche in senso materiale, e comunque caratterizzato dalla idoneità ad indurre in errore e a impedire il corretto accertamento della realtà contabile del soggetto che presenta la dichiarazione d’imposta.
La distinzione appena delineata trova applicazione anche in caso di specie, in cui l’imputato ha formato una fattura materialmente falsa, attribuendone la provenienza ad un soggetto non più esistente, ha registrato la fattura in questione nel registro acquisti della M.A.F. s.r.l. e l’ha comunque detenuta al fine di prova nei confronti dell’amministrazione finanziaria; né emerge dalla motivazione la sussistenza del quid pluris, necessariamente diverso dall’uso di fatture o altri documenti falsi, caratterizzato dalla idoneità ad indurre in errore e a impedire il corretto accertamento della realtà contabile del dichiarante.
La fattispecie concreta deve, pertanto, essere riqualificata, ai sensi del richiamato art. 2, senza che tale riqualificazione abbia alcuna rilevanza per il trattamento sanzionatorio, perché lo stesso è fissato da tale disposizione e dal successivo art. 3 nell’identica misura della reclusione da un anno e sei mesi a sei anni.
Quanto all’interesse ad ottenere la riqualificazione della fattispecie ai sensi dell’art. 2 anziché ai sensi del successivo art. 3 del d.lgs 74/2000, va osservato, che, in tema di impugnazioni, la valutazione dell’interesse ad ottenere la riqualificazione della fattispecie – sussistente allorché il gravame sia in concreto idoneo a determinare per il ricorrente, con l’eliminazione del provvedimento impugnato, una situazione pratica più vantaggiosa di quella realizzata dal provvedimento impugnato – va operata con riferimento alla prospettazione contenuta nel ricorso e non alla effettiva fondatezza della pretesa del ricorrente (Sez.3, n. 38544 del 27/05/2015,Rv.264634 – 01).
Nella specie, la prospettazione contenuta nel ricorso, la quale – nel caso in esame – è diretta ad ottenere la riqualificazione del fatto ai sensi dell’art. 2 con il conseguente vizio motivazionale circa la sussistenza degli elementi costitutivi del predetto reato; pertanto, non può ritenersi in limine insussistente l’interesse alla riqualificazione in questione anche se dalla stessa riqualificazione, all’esito del giudizio, non derivano conseguenze pratiche vantaggiose per l’imputato.
4. Il terzo motivo è inammissibile.
Il ricorrente espone censure le quali si risolvono in una mera rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata, sulla base di diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, senza individuare vizi di logicità, ricostruzione e valutazione, quindi, precluse in sede di giudizio di cassazione (cfr. Sez. 1, 16.11.2006, n. 42369, De Vita, Rv. 235507; sez. 6, 3.10.2006, n. 36546, Bruzzese, Rv. 235510; Sez. 3, 27.9.2006, n. 37006, Piras, Rv. 235508).
Va ribadito, a tale proposito, che, anche a seguito delle modifiche dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. introdotte dalla L. n. 46 del 2006, art. 8 non è consentito dedurre il “travisamento del fatto”, stante la preclusione per il giudice di legittimità di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (Sez.6, n. 27429 del 04/07/2006, Rv.234559; Sez. 5, n. 39048/2007, Rv. 238215; Sez. 6, n. 25255 del 2012, Rv.253099) ed in particolare di operare la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (cfr. Sez. 6, 26.4.2006, n. 22256, Rv. 234148).
5. Il quarto motivo, riferito al dolo specifico di evasione dell’imposta, è manifestamente infondato.
I Giudici di merito hanno, infatti, correttamente evidenziato che il dolo specifico emerge dal falso materiale consistente nella redazione di documento contabile apparentemente proveniente da una società terza, formato fittiziamente in epoca successiva al passaggio di consegne tra l’originario amministratore della M.A.F. srl e l’imputato e dalla successiva registrazione in contabilità.
Va ricordato che l’accertamento del dolo, quale prova della coscienza e volontà del fatto, costituisce un accertamento di fatto volto a conoscere e ricostruire il fatto storico e deve fondarsi sulla considerazione di tutte le circostanze esteriori dello stesso.
Nella specie, la motivazione offerta dalla Corte territoriale a fondamento dell’accertamento dell’elemento psicologico ha tenuto conto di tutti gli elementi fattuali rilevanti, e si connota come adeguata e priva di vizi logici e, pertanto, si sottrae al sindacato di legittimità.
Il ricorrente, peraltro, attraverso una formale denuncia di vizi di motivazione, richiede sostanzialmente una rivisitazione, non consentita in questa sede, delle risultanze processuali.
P.Q.M.
Riqualificato il reato di cui all’imputazione in reato di cui all’art. 2 del d.lgs n. 74 del 2000, rigetta il ricorso nel resto.
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