Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 47912 depositata il 1° dicembre 2023
in tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente del profitto del reato, è illegittimo il provvedimento di applicazione della misura che non contenga una, sia pur concisa, motivazione circa la ritenuta sussistenza del “periculum in mora”, anche nel caso in cui il patrimonio del soggetto passibile di ablazione sia di consistenza inferiore alla somma sino alla cui concorrenza questa dovrebbe operare, non coincidendo il suo presupposto applicativo con quello della mancanza/insufficienza della garanzia patrimoniale, previsto per il sequestro conservativo
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 22/3/2023, il Tribunale del riesame di Roma annullava – nei confronti di D.A. – il decreto di sequestro preventivo emesso il 20/10/2022 (e corretto il 23/11/2022) dal Giudice per le indagini preliminari del locale Tribunale, limitatamente ai reati di cui all’art. 10-bis, d. lgs. 10 marzo 2000, n. 74, confermandolo con riguardo alle contestazioni di cui all’art. 5, stesso decreto (capi 20, 21, 23 e 25).
2. Propone ricorso per cassazione il D.A., a mezzo del proprio difensore, deducendo i seguenti motivi:
– violazione dell’art. 292, comma 2, lett. e-bis, cod. proc. pen. L’ordinanza non avrebbe valutato una sentenza prodotta dalla difesa all’udienza camerale, con la quale il coindagato G.A. sarebbe stato prosciolto dal G.u.p. di Roma con riguardo ad una “imputazione gemella”, riguardante la società A. e l’Hotel C., nella quale gli era contestato il ruolo di amministratore di fatto, come nella vicenda qui trattata; l’omesso esame di questo elemento imporrebbe, dunque, di annullare l’ordinanza. Analogamente, il Tribunale non avrebbe motivato quanto ai documenti depositati con riguardo a tale G.L. (nelle more deceduto) ed al suo ruolo nella vicenda. Ancora, l’ordinanza avrebbe confermato la misura senza riscontrare che il provvedimento genetico costituirebbe null’altro che il mero ed acritico recepimento della richiesta avanzata dal Pubblico Ministero, ancora in violazione dell’art. 292 cod. proc. pen.;
– la stessa violazione di legge è poi dedotta quanto al periculum in mora, dato che il Tribunale avrebbe inteso integrare una motivazione, in realtà, inesistente nel decreto del G.i.p., in evidente contrasto con la costante giurisprudenza di legittimità. Nel merito, poi, il provvedimento non darebbe conto di come il periculum stesso possa essere riconosciuto a distanza di tre anni dai fatti contestati ed in mancanza di prova di dispersione patrimoniale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso risulta fondato limitatamente al motivo sul periculum in mora.
4. Con riguardo, innanzitutto, all’omesso esame della sentenza di proscioglimento pronunciata dal G.u.p. del Tribunale di Roma il 17/2/2023 nei confronti del coindagato A.G., e prodotta al Riesame, il Collegio osserva che la censura, seppur apparentemente fondata (nessun richiamo, in effetti, si riscontra nel provvedimento), appare tuttavia inammissibile. La sentenza in questione, infatti, concerne due società estranee alla presente vicenda cautelare e nient’affatto menzionate nel provvedimento genetico, contrariamente a quanto affermato nel ricorso: se la Hotel C. non compare mai nel decreto di sequestro preventivo, così la A.S. Società Cooperativa, citata nella sentenza del G.i.p. (codice fiscale xxxxxx), è soggetto diverso dalla A. Società cooperativa (codice fiscale xxxx) di cui al decreto medesimo.
4.1. A ciò si aggiunga, poi, che l’ordinanza impugnata ha adeguatamente riscontrato il ruolo del ricorrente quale concorrente del G.A. in numerose condotte illecite ai sensi dell’art. 5, d. lgs. n. 74 del 2000, almeno in questa fase cautelare: in particolare, il Tribunale ha evidenziato non solo che la “B.T.”, la “G.” e la “F.” avevano omesso la presentazione della dichiarazione IVA negli anni in contestazione, ma anche che le stesse cooperative erano risultate società di comodo, meri “contenitori di personale” impiegati per indebita somministrazione di mano d’opera, generando ingenti evasioni d’IVA.
4.2. Una motivazione, dunque, che conferma in modo del tutto adeguato il ruolo effettivamente coperto dal G.A. nelle varie società coinvolte (comprese “La B.T.”, “G.” e “F.”, di cui il D.A. era il formale presidente del consiglio di amministrazione), presupposto per la contestazione di cui all’art. 5, d. lgs. n. 74 del 2000, peraltro in sé estranea al ricorso.
5. Il primo motivo di impugnazione, poi, è manifestamente infondato anche nelle due censure successive.
5.1. Risulta privo di ogni specificità, in primo luogo, il richiamo agli “elementi” e ai “documenti” che la difesa avrebbe prodotto (ed il Tribunale non avrebbe esaminato) in ordine a tale G.L., indicato solo come “figura dominante e centrale per la costituzione di tutte le società”, senza precisazioni ulteriori. Negli stessi termini, poi, è il riferimento alla mancanza di una valutazione autonoma degli atti da parte del G.i.p., che si sarebbe limitato ad un “recepimento acritico” della richiesta del Pubblico Ministero, ancora senza alcuna indicazione specifica di elementi o circostanze.
La motivazione dell’ordinanza in tema di fumus commissi delicti, dunque, merita conferma, e le relative censure debbono essere dichiarate inammissibili.
6. A conclusioni diverse, invece, il Collegio giunge in punto di periculum in mora, che il Tribunale ha riconosciuto esclusivamente in ragione della incapienza del patrimonio sequestrato al ricorrente (una vettura del valore di 8.400 euro) in rapporto al profitto illecito indicato nel decreto di sequestro (circa 4,1 milioni di euro); senza alcuna valutazione, dunque, del tempo trascorso tra i fatti contestati e l’applicazione della misura (circa tre anni), oltre che di eventuali atti di dispersione patrimoniale compiuti nelle more, sebbene entrambi i profili fossero stati sollevati con la richiesta di riesame.
6.1. A tale riguardo, questa Corte ha affermato che in tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente del profitto del reato, è illegittimo il provvedimento di applicazione della misura che non contenga una, sia pur concisa, motivazione circa la ritenuta sussistenza del “periculum in mora”, anche nel caso in cui il patrimonio del soggetto passibile di ablazione sia di consistenza inferiore alla somma sino alla cui concorrenza questa dovrebbe operare, non coincidendo il suo presupposto applicativo con quello della mancanza/insufficienza della garanzia patrimoniale, previsto per il sequestro conservativo (tra le altre, Sez. 3, n. 31025 del 6/4/2023, Benzoni, Rv. 285042). In particolare, e in adesione a Sez. U, n. 36959 del 24/06/2021, Ellade, è stata innanzitutto ribadita la necessità che il provvedimento di sequestro preventivo finalizzato alla confisca contenga anche la concisa motivazione del “periculum in mora”, da rapportare – nel rispetto dei criteri di adeguatezza e proporzionalità della misura reale – alle ragioni che rendono necessaria l’anticipazione dell’effetto ablativo rispetto alla definizione del giudizio con sentenza, dovendosi escludere ogni automatismo decisorio che colleghi la pericolosità alla mera natura obbligatoria della confisca. Ancora sullo stesso solco, è stata poi ribadita la necessità che il provvedimento si soffermi sulle ragioni per le quali il bene potrebbe, nelle more del giudizio, essere modificato, disperso, deteriorato, utilizzato od alienato. Una esigenza, questa, rapportata appunto alla ratio della cautela, volta a preservare, anticipandone i tempi, gli effetti di una misura che, ove si attendesse l’esito del processo, potrebbero risultare vanificati.
6.2. Ed allora, se è vero che, quando si tratta di denaro, la maggiore o minore solidità patrimoniale del soggetto destinatario della misura è elemento da tenere in debita considerazione nel giudizio in esame, non può farsene tuttavia derivare alcun automatismo, né in un senso, né nell’altro, ciò che – soprattutto nella prospettiva affermata dal provvedimento qui impugnato – equivarrebbe a vanificare l’obbligo di motivazione che le Sezioni unite hanno inteso rafforzare. Se appare logicamente predicabile – anche qui, senza che se ne possa però trarre una regola assoluta – che la consistenza e solidità del patrimonio del soggetto passibile di confisca ragionevolmente riduce il pericolo di dispersione dei beni e valori confiscabili (si pensi a patrimoni e/o redditi in misura largamente superiore all’importo assoggettabile ad ablazione), non si può invece ritenere che, a fronte della titolarità di un patrimonio inferiore a quello suscettibile di confisca, il periculum in mora sia per ciò solo esistente, così da esonerare il giudice della cautela dall’obbligo di rendere la necessaria motivazione. Affermare questa conclusione significherebbe equiparare il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di una somma di denaro – e, in particolare, alla confisca per equivalente del profitto del reato – al sequestro conservativo di cui all’art. 316 cod. proc. pen., che, in alternativa al pericolo di dispersione della garanzia patrimoniale esistente al momento dell’adozione della misura, considera anche quello fondato sulla mera mancanza/insufficienza di detta garanzia, in tal caso non occorrendo, secondo la communis opinio, giustificata dalla lettera della legge (cfr. Sez. U, n. 51660 del 25/09/2014, Zambito, Rv. 261118; Sez. 2, n. 51576 del 04/12/2019, Cavacece, Rv. 277813), che sia simultaneamente configurabile un futuro depauperamento del debitore. Il sequestro conservativo, tuttavia, va disposto sulla base di un giudizio prognostico negativo in ordine alla conservazione delle garanzie patrimoniali del debitore, essendo irrilevante che le stesse possano essere disperse per effetto dell’attività di quest’ultimo o per ragioni indipendenti dalla sua condotta e dovendo essere valutate in senso negativo anche le operazioni che rendano semplicemente più difficile il recupero del credito (così, Sez. 4, n. 39524 del 21/06/2016, Tassielli, Rv. 268873).
6.3. In ragione della ben diversa disciplina – e ratio – del sequestro preventivo, nell’ambito della quale ha trovato collocazione anche la cautela reale finalizzata alla confisca di valore, non appare dunque consentito fondare il presupposto di quest’ultima sulla mera mancanza/insufficienza della garanzia patrimoniale. Il giudice chiamato ad applicare l’art. 321, comma 2, o comma 2-bis, cod. proc. pen. dovrà invece fondare il periculum, dandone adeguata motivazione, sulla valutazione prognostica concernente gli eventi suscettibili di verificarsi medio tempore e tali da poter pregiudicare l’esecuzione della confisca sul patrimonio di cui l’autore del reato dispone, quale che esso sia.
6.4. L’ordinanza impugnata, pertanto, deve essere annullata con rinvio limitatamente alle esigenze cautelari, con dichiarazione di inammissibilità del ricorso nel resto.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente alle esigenze cautelari e rinvia per nuovo giudizio sul punto al Tribunale di Roma competente ai sensi dell’art. 324, comma 5, cod. proc. pen. Dichiara inammissibile il ricorso nel resto.
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