CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 5809 depositata il 6 febbraio 2019
Tibuti – Accise – Prodotti petroliferi – Riscossione – Estinzione – Regime di esenzione – Agevolazioni fiscali
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza 18.01.2018, la Corte d’appello di Genova, in riforma della sentenza 28.01.2015 del tribunale di Imperia, appellata dalla P., dichiarava non doversi procedere nei confronti della stessa imputata per essere il reato di sottrazione al pagamento delle accise estinto per prescrizione, in relazione a fatti contestati come commessi secondo le modalità esecutive e spazio – temporali meglio descritte nell’imputazione.
2. Contro la sentenza hanno proposto ricorso per cassazione i difensori di fiducia della ricorrente, iscritti all’Albo speciale ex art. 613, cod. proc. pen., prospettando un unico, articolato, motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Deducono, con tale unico motivo, la violazione di legge in relazione al d. lgs. n. 128 del 2015 e all’art. 129, c.p.p.
Premesso che l’imputata era stata assolta dal primo giudice per insussistenza del reato di cui all’art. 40, d. lgs. n. 504 del 1995, per aver destinato ad usi soggetti ad imposta prodotti petroliferi acquistati in regime di esenzione, avendo la società di cui la stessa era legale rappresentante effettivamente svolto attività imprenditoriale di noleggio, sia oppure in favore die propri soci e con indiretto beneficio fiscale in capo agli stessi utilizzatori dell’unità di diporto, con conseguente esclusione del reato per mancanza dell’elemento materiale, sostiene la ricorrente che la pronuncia dei giudici di appello – i quali hanno sostanzialmente accolto la tesi prospettata dal Pm che aveva interposto appello, censurando la sentenza di primo grado che aveva relegato la condotta elusiva al solo piano della responsabilità tributaria, privando l’art. 40 citato di portata applicativa – con cui la stessa è stata prosciolta per intervenuta estinzione per prescrizione del reato non sarebbe condivisibile, avendo i giudici commesso un errore in diritto; in particolare, si osserva, nel motivare tale approdo i giudici avrebbero affermato che, non potendosi escludere l’insussistenza evidente del fatto, non poteva nemmeno essere estesa analogicamente alla fattispecie in esame la previsione depenalizzata dal d. lgs. n. 8 del 2016 relativa alla previsione dell’ultimo comma dell’art. 40, d. lgs. n. 504 del 1995, trattandosi di norma speciale concernente l’impiego del gas naturale; in realtà la depenalizzazione della fattispecie in esame sarebbe conseguita, pur accogliendo la tesi accusatoria secondo cui l’imputata avrebbe posto in essere una condotta meramente elusiva dell’imposta, per effetto dell’entrata in vigore dell’art. 10 bis, Statuto contribuente, introdotto dal d. lgs. n. 128 del 2015, che ha eliminato la rilevanza penale delle operazioni elusive, decreto entrato in vigore dopo l’atto di appello del PM e che avrebbe dovuto quindi essere applicato dai giudici territoriali; l’intervenuta abolitio criminis, a più riprese confermata dalla Corte d’appello, deve infatti ritenersi applicabile anche alla disciplina penale in materia di accise, essendone esclusi solo i tributi doganali per espressa previsione normativa, con la conseguenza che i giudici di appello avrebbero dovuto assolvere l’imputata per non essere il fatto più previsto dalla legge come reato anziché proscioglierla per intervenuta estinzione per prescrizione.
Considerato in diritto
3. Il ricorso è infondato e dev’essere rigettato per le ragioni di seguito esposte.
4. Ed invero, se è ormai pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che in tema di reati tributari, la disposizione transitoria di cui all’art. 1, comma quinto, D.lgs. 5 agosto 2015, n. 128, che prevede l’applicazione dell’art. 10-bis l. 27 luglio 2000, n. 212 anche alle condotte commesse anteriormente alla propria entrata in vigore solo se non sia ancora stato notificato un atto impositivo, non impedisce di ritenere non più penalmente rilevanti le condotte fiscalmente elusive integranti mero abuso del diritto, per effetto del comma 13 del medesimo art. 10-bis, in quanto tale comma, realizzando una sostanziale “abolitio criminis”, deve operare retroattivamente senza condizioni (Sez. 3, n. 40272 del 01/10/2015 – dep. 07/10/2015, Mocali, Rv. 264951), è tuttavia altrettanto pacifico, come successivamente specificato dalla giurisprudenza di legittimità, che l’istituto dell’abuso del diritto di cui all’art. 10-bis l. n. 212 del 2000 – che, per effetto della modifica introdotta dall’art. 1 del D.lgs. n. 128 del 2015, esclude ormai la rilevanza penale delle condotte ad esso riconducibili – ha applicazione solo residuale rispetto alle disposizioni concernenti comportamenti fraudolenti, simulatori o comunque finalizzati alla creazione e all’utilizzo di documentazione falsa di cui al D.lgs. n. 74 del 2000, cosicché esso non viene mai in rilievo quando i fatti in contestazione integrino le fattispecie penali connotate da tali elementi costitutivi (da ultimo: Sez. 3, n. 38016 del 21/04/2017 – dep. 31/07/2017, Ferrari, Rv. 270550).
5. Orbene, nel caso di specie, il reato contestato all’imputato consisteva nell’avere, quale legale rappresentante della società proprietaria di un’imbarcazione da diporto, facendo risultare al momento dei rifornimenti di carburante, contrariamente al vero, di avere adibito l’imbarcazione ad attività di noleggio anziché ad attività di locazione, dunque beneficiando dell’esenzione dal pagamento dell’accisa, destinato ad usi soggetti ad imposta notevoli quantitativi di gasolio acquistati in regime di esenzione, corrispondenti ai rifornimenti di carburante effettuati nel corso dell’attività di locazione, fatto aggravato in quanto relativo a quantitativi di prodotti energetici superiori a 2000 kg.
Orbene, dalla stessa descrizione della condotta contestata, che correttamente la Corte d’appello, su impugnazione del PM ha qualificato come sussistente a differenza del primo giudice, emerge come ai fini della consumazione del reato, fosse stata posta in essere una condotta fraudolenta, ossia, come si legge nell’imputazione e come emerso in atti, l’aver “fatto risultare al momento dei rifornimenti di carburante, contrariamente al vero, di avere adibito l’imbarcazione ad attività di noleggio anziché ad attività di locazione”.
Ora, osserva il Collegio, è ben vero che il reato di sottrazione all’accertamento o al pagamento dell’accisa sui prodotti energetici (nel caso in esame contestato sub lett. c), per aver destinato “ad usi soggetti ad imposta od a maggiore imposta prodotti esenti o ammessi ad aliquote agevolate”), è integrato da una condotta che – analogamente ad altre ipotesi contemplate dalla stessa disposizione (quale ad esempio, quella di cui alla lett. b), per la cui integrazione è sufficiente che la sottrazione si attui «con qualsiasi mezzo», non essendo necessario che la condotta sia realizzata mediante particolari artifizi, accorgimenti o macchinazioni: v., in termini, Sez. 3, n. 39090 del 19/07/2017 – dep. 10/08/2017, Liuzzi, Rv. 271783) – punisce la mera destinazione degli oli minerali ad un utilizzo diverso rispetto a quello per cui è concessa l’agevolazione di imposta, di talché tale diversa destinazione può riguardare anche carburanti conseguiti legittimamente in regime di agevolazione (v., Sez. 5, n. 44869 del 25/09/2013 – dep. 06/11/2013, Garofalo, Rv. 257132 che esclude per tale ragione che detto reato si ponga in rapporto di specialità con il reato di truffa, atteso che il ricorso alle modalità fraudolente che caratterizzano il reato codicistico non è elemento costitutivo della fattispecie disciplinata dalla disposizione in materia di accise), ma è tuttavia altrettanto indubbio che, per espressa affermazione di questa stessa Corte, l’istituto dell’abuso di diritto di cui all’art. 10 bis, legge 27 luglio 2000, n.212, non è configurabile in presenza di condotte che integrino una diretta violazione delle norme in materia, con la conseguenza che queste ultime vanno perseguite con gli strumenti che l’ordinamento mette a disposizione (Sez. 3, n. 35575 del 05/04/2016 – dep. 29/08/2016, P.C. in proc. Cimnnino e altri, Rv. 267678).
E non v’è dubbio che, nel caso di specie, si sia in presenza di condotte (quelle sub lett. c) dell’art. 40, d. lgs. n. 504 del 1995) che integrano una diretta violazione delle norme in materia, con conseguente inapplicabilità dell’art. 10 bis citato.
6. Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.