CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 7260 depositata il 18 febbraio 2019
Reati tributari – Dichiarazione infedene e occultamento o distruzione di documenti contabili – Responsabilità penale del legale rappresentante e del liquidatore
Ritenuto in fatto
La Corte di appello di Ancona ha riformato, relativamente alla avvenuta prescrizione di uno dei reati contestati al primo degli imputati, la sentenza con la quale il Tribunale di Pesaro aveva dichiarato la penale responsabilità per quanto ora interessa, di D.S. e di C.M. in relazione ai reati di cui agli artt. 4 e 10 del d.lgs. n. 74 del 2000 per avere costoro, in concorso fra loro e con altro soggetto giudicato separatamente, omesso di indicare nella dichiarazione dei redditi sottoscritta nella qualità, il primo, di legale rappresentante e, successivamente, amministratore di fatto della E.F.& F. Scarl, il secondo quale liquidatore della medesima società componenti attive di reddito, relative all’anno di imposta 2009, per un importo di poco inferiore ad euro 17.000.000,00 e per avere, nelle medesime qualità, distrutto o comunque occultato, in modo tale da non permettere la ricostruzione della situazione economica della predetta impresa, le scritture contabili di cui è obbligatoria la conservazione, e li aveva, pertanto, condannati alla pena allora ritenuta di giustizia.
Avverso la sentenza del giudice del gravame ha interposto ricorso per cassazione il D., lamentando il fatto che la Corte territoriale, pur avendo dichiarato nei suoi confronti la avvenuta prescrizione del reato di cui all’art. 4 del d.lgs. n. 74 del 2000, ha, tuttavia confermato la confisca disposta sui beni in sequestro a lui appartenenti, e dolendosi, altresì, del fatto che i giudici del merito, ritenendo flagrante sino al momento dell’avvenuto accertamento tributario a carico dell’imputato il reato di cui all’art. 10 del medesimo d.lgs. n. 74 del 2000, non ne ha dichiarato la avvenuta estinzione per prescrizione.
Il ricorrente ha, infatti, ricordato, anche sulla base della giurisprudenza in materia, che, stante la natura sanzionatoria della confisca per equivalente, la stessa non poteva essere confermata una volta che era stata esclusa la rilevanza penale del fatto in base al quale la stessa era stata disposta da parte del giudice di primo grado.
Quanto al secondo aspetto della impugnazione il ricorrente ha lamentato che, pur ritenuta la natura di reato permanente del reato contestato, la permanenza di esso doveva intendersi cessata una volta iniziate le operazioni di controllo fiscale a carico della società da lui amministrata ed era stata richiesta ai legali rappresentanti di quella la esibizione della documentazione contabile ad essa riferibile.
Avverso la sentenza della Corte territoriale ha interposto ricorso per cassazione anche il C., dolendosi del fatto che la Corte anconetana con la citata sentenza ha confermato la sentenza con la quale il Tribunale di Pesaro aveva inflitto allo stesso, in relazione alle medesime contestazioni mosse al D., concesse al medesimo le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla contestata recidiva e ritenuta la continuazione fra i reati, la pena di anni 1 e mesi 4 di reclusione, oltre alle pene accessorie.
La Corte territoriale, dato atto che il C. nel proprio ricorso aveva contestato la riferibilità a lui della dichiarazioni fiscale di cui al capo di imputazione; la mancanza del dolo in ordine al reato di cui al capo d) della rubrica, cioè la violazione dell’art. 4 del d.lgs. n. 74 del 2000; la mancanza della prova in ordine alla sussistenza della documentazione contabile di cui al capo e) della rubrica; la mancanza della prova in ordine alla sussistenza del dolo previsto per il reato di cui all’art. 10 del d.lgs. n. 74 del 2000 ed infine la insussistenza dei presupposti per la confisca dei beni in capo al prevenuto, ha rigettato i motivi di impugnazione, osservando che le ragioni di gravame erano ai limiti della inammissibilità.
Come detto il C. ha interposto ricorso per cassazione avverso la sentenza impugnata, articolando 6 motivi di ricorso.
Il primo motivo ha ad oggetto la violazione di legge e la assenza di motivazione in ordine al motivo di ricorso riguardante la riferibilità al C. della presentazione delle dichiarazioni fiscali di cui al capo di imputazione a lui contestato; in particolare il ricorrente ha contestato sia il fatto che delle dichiarazioni in questione non vi sia traccia nell’incarto processuale, sia che non vi siano elementi per ritenere che le stesse siano materialmente attribuibili al C., anche tenuto conto del fatto che il vero dominus della società fiscalmente tenuta alla presentazione della dichiarazione era il D..
Il secondo motivo di impugnazione concerne il vizio di violazione di legge e di motivazione in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato contestato sub d) della rubrica, non sussistendo elementi per affermare che il C. fosse stato, prima di diventarne commissario liquidatore, dipendente della predetta società, elemento questo sulla base del quale in sede di merito è stata considerata la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, dovendo, stante la pregressa veste, il C. essere consapevole della condizione fiscale della società stessa.
Il terzo motivo ha ad oggetto la ritenuta non corrispondenza fra il fatto contestato sub d) ed il fatto per il quale è intervenuta la sentenza di condanna, essendo stato implicitamente contestato al C. un comportamento di omesso controllo ai sensi dell’art. 2392 cod. civ. e 40 cod. pen., che non avevano formato oggetto di contestazione.
Il quarto motivo attiene al vizio di motivazione in ordine al reato di cui al capo e), in quanto non sarebbe stato chiarito dalla sentenza in che termini fosse risultato che, durante la fase di gestione liquidatoria della società svolta da parte del C., la documentazione di cui al capo di imputazione fosse tuttora esistente e non fosse già stata distrutta.
Con il quinto motivo il ricorrente ha lamentato l’avvenuta sua condanna sebbene la prova della sua colpevolezza non potesse dirsi essere stata raggiunta al di là di ogni ragionevole dubbio, essendo l’intero impianto accusatorio a suo carico fondato esclusivamente su base indiziaria, priva peraltro dei requisiti della gravità, precisione e concordanza.
Infine, con il sesto motivo il ricorrente ha lamentato la violazione di legge ed il vizio di motivazione sia in punto di determinazione della pena sia in punto di giudizio di valenza fra le circostanze attenuanti generiche e la contestata recidiva ed ancora in relazione alla mancata concessione della sospensione condizionale della pena.
Considerato in diritto
Mentre il ricorso proposto dal D. è risultato parzialmente fondato, nei limiti di cui alla motivazione che segue, il ricorso del C. è, invece, risultato infondato e pertanto lo stesso deve essere rigettato.
Partendo proprio dalla impugnazione del D., rileva il Collegio che certamente fondato è il primo motivo di impugnazione proposto dal ricorrente.
Deve preliminarmente premettersi che con la sentenza emessa dal giudice di primo grado a carico del D., a carico di questo, in quanto riconosciuto colpevole del reato di cui al capo d) della rubrica, per avere, in qualità di legale rappresentante e poi di amministratore di fatto della E.F.& F. Scarl, omesso di indicare nelle dichiarazioni fiscali relative all’anno di imposta 2009, al fine di evadere le imposte, componenti attive di reddito per poco meno di 17.000.000,00 di euro, era stata disposta, oltre alla condanna alla espiazione della pena ritenuta di giustizia, anche la confisca per equivalente dei beni di sua proprietà sottoposti a sequestro preventivo.
Deve precisarsi che per quanto emerge inequivocabilmente dal tenore testuale della sentenza emessa dal giudice di primo grado, in tale senso si veda sia quanto riportato a pag. 29 della sentenza del Tribunale di Pesaro del 16 maggio 2017, in cui si richiama esclusivamente la data di consumazione del reato di cui al capo d) della rubrica, nonché quanto riportato nella successiva pag. 30, ove si precisa che il sequestro preventivo dei beni del D. fu disposto, con provvedimento del Gip del Tribunale di Pesaro del 22 ottobre 2014m “in relazione al reato di cui all’attuale capo D)”, la confisca era esclusivamente connessa al reato attribuito al D. concernente la omessa dichiarazione delle componenti attive di reddito.
Ciò posto osserva il Collegio come erroneamente la Corte territoriale – nel riformare la sentenza del giudice di primo grado proprio con riferimento alla affermazione della penale responsabilità del prevenuto D. quanto al reato in questione, dichiarando il proscioglimento di questo stante l’intervenuta estinzione per prescrizione del reato da questi commesso e rubricato sub d) della articolata contestazione, non abbia provveduto – oltre a rideterminare la pena da irrogare a carico del D., anche a revocare l’avvenuta confisca del compendio dei beni in sequestro a lui riconducibili.
Infatti, come questa Corte ha affermato, nella sua massima espressione nomofilattica, il giudice, nel dichiarare la estinzione del reato per intervenuta prescrizione, non può disporre, atteso il suo carattere afflittivo e sanzionatorio, la confisca per equivalente delle cose che hanno costituito il prezzo od il profitto del reato (Corte di cassazione, Sezioni unite penali, 21 luglio 2015, n. 31617); ineludibile corollario di tale condiviso orientamento giurisprudenziale è che, ove il giudice del gravame riformi la sentenza di condanna emessa in primo grado, dichiarando l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione, egli debba, contestualmente, revocare, se disposta in primo grado in danno del condannato, la confisca per equivalente disponendo, di conseguenza, essendo venuto meno il sequestro cautelare per effetto della decisione di merito, la restituzione all’avente diritto dei beni erroneamente ablati.
Provvedimento questo di restituzione che deve essere, in una con l’annullamento sul punto della sentenza impugnata, emesso anche con la presente sentenza.
Infondato è, viceversa, il secondo motivo di impugnazione, riferito al momento di cessazione della permanenza del reato di cui all’art. 10 del dPR n. 74 del 2000.
Ad avviso del ricorrente, in sostanza, il reato a lui contestato, accolta la tesi della sua natura di reato permanente, cesserebbe, in ogni caso, dallo stato di flagranza – iniziando, pertanto, a decorrere da tale momento il termine prescrizionale dello stesso (ed è poi in definitiva questo il tema reale su cui è incentrato il motivo di impugnazione formulato dal ricorrente) – al momento in cui, iniziata la verifica fiscale a carico dell’agente questi, richiesto di produrre le scritture contabili di cui deve essere conservata la traccia, non ottempera a tale invito.
Se cosi fosse, precisa il ricorrente, essendo iniziata la verifica fiscale da cui è scaturita la notizia di reato a lui contestata in data 4 novembre 2010, il termine prescrizionale del reato di cui al capo e) della rubrica si sarebbe consumato in data 4 maggio 2018 e, pertanto, anteriormente alla data in cui è stata emessa la sentenza impugnata (la quale è del 18 giugno 2018).
L’assunto ricostruttivo su cui si basa la tesi del ricorrente è fallace.
Come è noto il reato ora in discorso può presentarsi sotto due forme di manifestazione, potendo esso consistere sia nella distruzione che nell’occultamento delle scritture contabili o dei documenti di cui è obbligatoria la conservazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume di affari.
Tale sua diversità fenomenica determina conseguenze diverse rispetto al suo momento consumativo, giacché, mentre la distruzione della documentazione in questione realizza un’ipotesi di reato istantaneo, che si consuma con la soppressione della detta documentazione, l’occultamento – consistente nella temporanea o definitiva indisponibilità della documentazione da parte degli organi verificatori – costituisce invece un reato permanente, la cui flagranza si protrae sino al momento della emissione dell’accertamento tributario scaturito dalla verifica fiscale, essendo questo il momento in cui gli effetti del reato, cioè l’ostacolo allo svolgimento della attività di controllo fiscale, si cristallizzano definitivamente; ed è solo da tale momento che inizia a decorre il termine di prescrizione (Corte di cassazione, Sezione III penale, 24 marzo 2017, n. 14461).
D’altra parte è principio comune a tutti i reati permanenti il dato che la permanenza si protrae sin tanto che è nella possibilità dell’agente di realizzare la condotta che faccia cessare il predetto stato di perdurante illiceità penale; con riferimento al reato in questione tale condizione, ove non sia precedentemente interrotta per altra causa, cessa solamente al momento in cui, adottato l’atto di accertamento fiscale, l’eventuale condotta positiva dell’agente, il quale solo allora consegnasse agli organi verificatori la documentazione precedentemente occultata, non sarebbe più idonea a rimuovere gli effetti definitivi già prodottisi dell’illecito.
Applicando correttamente il principio al caso di specie la Corte territoriale ha considerato dies a quo ai fini del calcolo della prescrizione la data dell’accertamento fiscale dal quale ha tratto origine il presente processo (cioè il 17 maggio 2011), escludendo, pertanto, l’intervenuta prescrizione del reato contestato al D. sub e) della rubrica al momento in cui il suo gravame è stato solo in parte accolto dalla Corte di Ancona.
Da quanto sopra discende il rigetto del secondo motivo di ricorso del D..
Passando ai motivi di impugnazione presentati dall’altro ricorrente, C.M., ritiene la Corte che essi non siano meritevoli di accoglimento.
Quanto al primo di essi, con cui è dedotta la carenza motivazionale della sentenza impugnata in ordine al motivo di gravame con il quale era stata contestata la riferibilità al C. delle dichiarazioni fiscali mendaci presentate per conto delle E.F.& F. Scarl, va detto che la Corte territoriale ha desunto, in termini di sintetica ma logica plausibilità, la riferibilità al C. delle dichiarazioni in questione dal dato, incontroverso, che lo stesso rivestiva la qualifica di liquidatore della predetta società e, pertanto, era come tale preposto alla materiale redazione e sottoscrizione delle ricordate dichiarazioni fiscali; posto che della loro presentazione è data prova, per come emerge anche dal non contestato capo di imputazione in cui si rileva che le stesse sono state presentate in data 29 settembre 2010, non vi è motivo di dubitare che le stesse siano state sottoscritte da chi all’epoca aveva il potere di firma per conto della predetta società, cioè il C..
Con il secondo motivo di impugnazione è censurata la sentenza della Corte dorica per avere questa ritenuto la sussistenza in capo al C. dell’elemento soggettivo, si tratta di dolo specifico, del reato di cui al capo d) della imputazione a lui contestata; anche in questo caso la impugnazione è priva di pregio.
La Corte ha, infatti, desunto la specifica finalità della evasione fiscale nella condotta tenuta dal C., il quale ha, nella ricordata qualità, presentato una dichiarazione fiscale gravemente omissiva sotto il profilo della indicazione delle poste attive, sulla base del dato obbiettivo che, ove non si tratti di fattispecie di errore materiale nella compilazione della dichiarazione – ipotesi questa che, oltre a non essere stata neppure prospettata è logicamente da escludere atteso il considerevolissimo ammontare delle somme non dichiarate, fattore che di per sé appare in contraddizione con un’occasionale svista – non vi è altro valido motivo che possa avere indotto un soggetto a non indicare rilevanti elementi positivi di reddito nella dichiarazione dei redditi se non quello di autoliquidare in misura inferiore a quella effettivamente dovuta l’imposta derivante dalla percezione dei redditi reali.
La contestazione in ordine alla pregressa qualità del C. di dipendente della E. F.F., (qualità che non gli avrebbe permesso di ignorare la reale posizione tributaria della impresa in discorso) oltre ad essere generica, posto che la stessa è stata ritenuta dalla Corte di Ancona sulla base di alcune dichiarazioni testimoniali il cui contenuto non è stato contestato dal ricorrente, è in ogni caso irrilevante, posto che la conoscenza della reale posizione tributaria della Società in questione doveva derivare in capo al C., quale che sia stata la sua pregressa qualifica all’interno di essa, da fatto che egli ne era il liquidatore e, pertanto, doveva essere informato sia delle pendenze creditorie e debitorie, ivi comprese quelle fiscali, riferibili allo società stessa che delle sue entrate finanziarie aventi un rilevanza tributaria.
Riguardo al terzo motivo di impugnazione, il fatto che il C. si sia difeso nelle sedi di merito rispetto alla contestazione a lui mossa e per la quale egli è stato riconosciuto penalmente responsabile, priva in ogni caso di rilevanza la pretesa mancata corrispondenza fra il fatto come contestato e quello accertato in sentenza.
Invero, poiché l’obbligo di correlazione fra accusa e sentenza è strumentale al concreto esercizio del diritto di difesa, essendo lo stesso finalizzato ad impedire che un soggetto, il quale abbia svolto le proprie difese in giudizio in relazione alla contestazione di un certo fatto costituente in ipotesi reato, sia poi giudicato in relazione ad un fatto diverso, rispetto al quale egli non ha svolto alcuna attività a propria tutela (Corte di cassazione, Sezione I penale, 27 agosto 2013, n. 35574), ove il soggetto si sia comunque difeso rispetto al fatto a lui ascritto in sentenza non è dato ravvisare, sul punto, alcuna illegittimità in quest’ultima.
Riguardo al quarto motivo di ricorso, afferente ad una certa vaghezza della contestazione del reato di cui al capo e), non essendo chiaro se la condotta era riferita alla distruzione della documentazione contabile ovvero al suo occultamento, va detto che in sentenza è ben chiarito che la condotta contestata non è quella di occultamento, atteso che la documentazione in questione è stata poi rinvenuta presso la abitazione del coimputato D..
Il quinto motivo è del tutto generico ed in fatto; diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente la prova della sua responsabilità è connessa alla non contestata sua qualità di liquidatore della più volte citata E.F.& F. Scarl, al rivestimento della quale consegue l’esistenza degli obblighi dichiarativi e di archiviazione documentale cui l’imputato si è sottratto o comunque non ha regolarmente adempiuto.
Infine il sesto motivo – relativo al trattamento sanzionatorio, al giudizio di valenza fra le attenuanti generiche e la contestata recidiva ed alla mancata concessione della sospensione condizionale della pena – è inammissibile.
Partendo, stante la priorità logica, dalla censura riguardante la ritenuta equivalenza fra le circostanze attenuanti generiche e la contestata recidiva, specifica reiterata ed infraquinquennale, rileva la Corte che il ricorrente, in sede di gravame, aveva contestato l’entità della pena base irrogata nei suoi confronti, ma non il risultato del giudizio di valenza fra le circostanze di segno opposto rilevate dal giudice di primo grado; è pertanto, evidente che, al di là della apparentemente già benevola concessione delle attenuanti generiche in suo favore, il C. non può ora lamentare, di fronte a questa Corte di legittimità, la ritenuta equivalenza fra queste e la recidiva, da lui non contestata di fronte al giudice dell’appello.
Riguardo alla misura della sanzione inflitta la Corte dorica ha congruamente tenuto conto, nel confermare la sua quantificazione in misura non particolarmente superiore al minimo edittale e nel dosare l’aumento ai sensi dell’art. 81 cpv cod.pen., della personalità del reo, già pregiudicato per reati anche specifici, e del rilevante valore economico del reato commesso.
Quanto, infine, alla mancata concessione della sospensione condizionale della pena, la prognosi infausta in ordine al successivo comportamento del ricorrente è stata legittimamente ricavata dai giudici del merito dal suo corredo penale, il quale evidenzia una personalità insofferente all’autonomo regolamento in ordine al necessario rispetto dei precetti presidiati dalla sanzione penale.
Conclusivamente, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, quanto alla posizione del D., con esclusivo riferimento alla confisca che era stata disposta nei suoi confronti, la quale deve essere esclusa, con la restituzione dei beni già oggetto di sequestro all’avente diritto, essendo rigettato l’ulteriore motivo di doglianza del D., mentre il ricorso del C. va rigettato nella sua integralità, con la derivante condanna di costui, visto l’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla disposta confisca nei confronti di D.S., disposizione che elimina, disponendo la restituzione dei beni in sequestro all’avente diritto.
Rigetta nel resto il ricorso del D..
Rigetta il ricorso di C.M. che condanna al pagamento delle spese processuali.
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