Corte di Cassazione, sezione tributaria, ordinanza m. 5996 depositata il 6 marzo 2024
accertamento – conseguenze del mancato rispetto di una previa richiesta di chiarimenti al contribuente
FATTI DI CAUSA
1. L’Agenzia delle Entrate, previa individuazione della dissimulazione di un contratto verbale di cessione di azienda nella sequenza di atti societari realizzati, ha applicato l’imposta di registro con aliquota al 3% e la sanzione per omessa registrazione. Più precisamente tra l’aprile del 2014 e l’aprile del 2016 sono stati posti in essere i seguenti atti: costituzione del Centro R.T. s.r.l., con socio di maggioranza S. s.r.l. e di minoranza Centro C.T. s.r.l.; deliberazione aumento di capitale da parte del Centro R.T. s.r.l., realizzato con conferimento di un ramo di azienda; mutamento del consiglio di amministrazione del Centro R.T. s.r.l. (presidente D.M.) e contestuale mutamento della denominazione in Laboratorio di Analisi cliniche S. s.r.l.; cessione al Laboratorio analisi cliniche G. s.r.l. (presidente D.M.) delle partecipazioni societarie di S. sanità s.r.l., S. s.r.l. e Centro C.T. s.r.l. nel Laboratorio analisi Cliniche S. s.r.l.
2. L. s.r.l. (prima denominata Laboratorio analisi cliniche G. s.r.l.) ha impugnato l’atto impositivo con ricorso rigettato in primo e secondo grado.
3. Nella sentenza di appello si legge «a norma dell’art. 15 d.P.R. n. 131 del 1986 l’Ufficio impositore può presumere l’esistenza di un contratto verbale di cui deve essere effettuata la registrazione d’ufficio. Devono sussistere elementi gravi, precisi e concordanti e gli atti, conclusi in un lasso di tempo così breve da società già connesse per rapporti esistenti, come risultano chiaramente dalla lettura degli atti medesimi, danno ampia ragione all’Ufficio di presumere l’esistenza, a monte, di un preciso disegno volto all’elusione fiscale. Non si tratta, quindi, di una violazione del rinnovato art. 20 d.P.R. n. 131 del 1986, in quanto l’Ufficio non ha diversamente interpretato un atto registrato, ma ha individuato un contratto verbale, che, come è detto, è soggetto a tassazione e giustamente lo ha assoggettato all’imposta di registro e conseguentemente applicato le penali previste ex art. 69 d.P.R. n. 131 del 1986».
4. Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale ha proposto ricorso per cassazione la contribuente.
5. L’Agenzia delle Entrate non si è tempestivamente costituita, ma ha depositato memoria per l’eventuale partecipazione alla discussione.
6. La causa è stata trattata e decisa all’adunanza camerale del 16 febbraio 2024.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. La ricorrente ha dedotto: 1) la violazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., dell’art. 10-bis della legge n. 212 del 2000 e dell’art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986 con riguardo al mancato espletamento del contraddittorio, che sussiste, nel caso di specie, in virtù della specifica previsione di legge, pur trattandosi di accertamento a tavolino; 2), 3) e 4) la violazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 4, cod. proc. civ., degli artt. 7 della legge n. 212 del 2000 e 52, comma 2-bis, del d.P.R. n. 131 del 1986, stante la contraddittorietà della motivazione dell’avviso di accertamento, fondato su disposizioni tra di loro inconciliabili (e, cioè, sugli art. 15 e 20 del d.P.R. n. 131 del 1986 e sull’art. 10-bis della legge n. 212 del 2000), oltre alla mancata corrispondenza tra chiesto e pronunciato per omessa pronuncia su tale doglianza e motivazione solo apparente sul punto; 5) la violazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., degli artt. 15 e 20 del d.P.R. n. 131 del 1986 e 10-bis della legge n. 212 del 2000, anche in base a quanto disposto dalla legge n. 205 del 2017 e 145 del 2018, essendo stata erroneamente sussunta la fattispecie nell’art. 15 del d.P.R. n. 131 del 1986 e, cioè, nell’accertamento presuntivo di un contratto verbale, nonostante la conclusione di contratti e negozi diversi riqualificati, senza le dovute garanzie procedimentali ed in contrasto con la nuova formulazione dell’art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986; 6), 7), 8) difetto assoluto di motivazione, violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato ed apparenza di motivazione sulla fondatezza della pretesa tributaria, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.; 9) la violazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., dell’art. 69 del d.P.R. n. 131 del 1986 con riguardo alle sanzioni, di cui era stata lamentata l’inapplicabilità per obiettiva incertezza normativa ed il difetto di proporzionalità, essendo stata irrogata la sanzione per omessa registrazione, nonostante l’avvenuta registrazione di una serie di atti diversi, riqualificati dall’Amministrazione finanziaria (violazione desunta anche da un diverso avviso relativo a fattispecie identica in cui non è stata applicata alcuna sanzione).
2. Il primo ed il quinto motivo, che sono connessi e risultano fondati, vanno esaminati prioritariamente, con assorbimento di tutte le altre censure, in ossequio al principio della ragione più liquida (v. Cass., Sez. 6-3, 26 novembre 2019, n. 30745, secondo cui l’ordine di trattazione delle questioni, imposto dall’art. 276, secondo comma, cod.proc.civ., lascia libero il giudice di scegliere, tra varie questioni di merito, quella che ritiene «più liquida»).
2.1. Nella sentenza impugnata si legge «a norma dell’art. 15 d.P.R. n. 131 del 1986 l’Ufficio impositore può presumere l’esistenza di un contratto verbale di cui deve essere effettuata la registrazione d’ufficio. Devono sussistere elementi gravi, precisi e concordanti e gli atti, conclusi in un lasso di tempo così breve da società già connesse per rapporti esistenti, come risultano chiaramente dalla lettura degli atti medesimi, danno ampia ragione all’Ufficio di presumere l’esistenza, a monte, di un preciso disegno volto all’elusione fiscale. Non si tratta, quindi, di una violazione del rinnovato art. 20 d.P.R. n. 131 del 1986, in quanto l’Ufficio non ha diversamente interpretato un atto registrato, ma ha individuato un contratto verbale, che, come è detto, è soggetto a tassazione e giustamente lo ha assoggettato all’imposta di registro e conseguentemente applicato le penali previste ex art. 69 d.P.R. n. 131 del 1986».
2.2. Come prospettato con il quinto motivo, il giudice di merito (così come l’Amministrazione finanziaria) ha erroneamente applicato l’art. 15, lett. c, del d.P.R. n. 131 del 1986, ai sensi del quale, in mancanza di richiesta da parte dei soggetti tenuti, la registrazione è eseguita d’ufficio, previa riscossione dell’imposta dovuta, per i contratti verbali di cui alla lettera a) dell’art. 3 e per le operazioni di cui all’art. 4 quando, in difetto di prova diretta, risultino da presunzioni gravi, precise e concordanti.
La disposizione de qua mira a contrastare forme di evasione d’imposta vere e proprie e non di mera elusione (asserita o effettiva), consentendo l’accertamento, sulla base di presunzioni gravi, precisi e concordanti, e la conseguente registrazione di un contratto verbale che non è stato affatto sottoposto a tale adempimento, mentre l’art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986 (non invocato dall’Amministrazione finanziaria nel caso di specie) comporta una diversa interpretazione (e conseguentemente l’applicazione di un diverso regime tributario) di un atto, che è stato già sottoposto a registrazione dalle parti.
Nella fattispecie in esame, l’art. 15, lett c, del d.P.R. n. 131 del 1986 è stato erroneamente applicato, in quanto le parti coinvolte non hanno concluso una cessione di azienda (sia pure verbale), ma piuttosto sono ricorse ad una sequenza negoziale diversa dalla cessione di azienda (consistente in un una pluralità di operazioni negoziali, tutte regolarmente registrate, culminate nella cessione, da parte di S. sanità s.r.l., S. s.r.l. e Centro C.T. s.r.l. al Laboratorio analisi cliniche G. s.r.l., delle partecipazioni societarie nel Laboratorio analisi Cliniche S. s.r.l.), proprio per realizzare effetti economici e giuridici analoghi a quelli della cessione di azienda, come risulta dall’accertamento di fatto contenuto in sentenza, dove vi è, peraltro, un chiaro riferimento ad un «disegno volto alla elusione fiscale». In tali ipotesi l’Amministrazione finanziaria deve necessariamente usare l’art. 10-bis della legge n. 212 del 2000 (ratione temporis applicabile all’avviso in esame), che consente di disconoscere i vantaggi fiscali indebiti derivanti da una o più operazioni abusive, in quanto prive di sostanza economica e poste in essere solo per conseguire l’indebito vantaggio fiscale, e conseguentemente di terminare i tributi sulla base delle norme e dei principi elusi e tenuto conto di quanto versato dal contribuente per effetto di dette operazioni, fermo restando, però, la libertà di scelta del contribuente tra regimi opzionali diversi offerti dalla legge e tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale.
Il quinto motivo è, quindi, fondato, in applicazione del seguente principio di diritto: in tema di imposta di registro, l’Amministrazione finanziaria può applicare l’art. 15, lett c, del d.P.R. n. 131 del 1986 solo per accertare la conclusione di un contratto verbale che non è stato oggetto di registrazione, ma non anche per contestare gli atti o negozi che sono stati regolarmente sottoposti a registrazione, attribuendovi un diverso significato o negandone la sostanza economica, dovendo, in tali diverse ipotesi, procedere o ai sensi dell’art. 20 del d.P.R. n. 131 de 1986, fermo il divieto di usare elementi extra-testuali, o in base all’art. 1O-bis della legge n. 212 del 2000.
2.3. Posto, pertanto, che nel caso di specie, l’Amministrazione finanziaria avrebbe dovuto procedere ai sensi dell’art. 10-bis della I. n. 212 del 2000, anche il primo motivo è fondato, in quanto il comma 6 dell’art. 10-bis della legge n. 212 del 2000 esige sempre, a pena di nullità, una previa richiesta di chiarimenti al contribuente, a prescindere dalle modalità dell’accertamento (che può avvenire anche «a tavolino»), come confermato dalla necessità, in base al successivo comma 8, che la motivazione dell’avviso impositivo contenga uno specifico riferimento ai chiarimenti forniti dal contribuente, a cui deve essere data la possibilità di spiegare le ragioni extra-fiscali delle operazioni posti in essere.
Del resto, analogamente a quanto ritenuto per il termine di cui all’art. 12 della legge n. 212 del 2000, il termine dilatorio di cui all’art. 10-bis della legge n. 212 del 2000 è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva, sicché la sua mancata attribuzione determina di per sé l’illegittimità dell’atto impositivo. Né può farsi applicazione dell’art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990, ai sensi del quale non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato, in quanto, nell’ipotesi di abuso del diritto il disconoscimento degli effetti di negozi effettivamente posti in essere e l’applicazione di un regime tributario più oneroso in luogo di un altro più vantaggioso esige un accertamento di fatto complesso, in cui è necessario il coinvolgimento del contribuente (l’unico in grado di spiegare eventuali ragioni extra-fiscali non immediatamente percepibili da parte dell’Amministrazione), per cui non è affatto palese che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso. Del resto, questa Corte ha già chiarito che, in tema di contraddittorio procedimentale, il mancato rispetto da parte dell’Amministrazione finanziaria del termine di 60 giorni concesso al contribuente ex art. 37 bis, comma 4, del d.P.R. n. 600 del 1973, per presentare chiarimenti, determina la nullità dell’avviso di accertamento emesso anteriormente alla sua scadenza, traducendosi in una violazione del diritto di difesa, non emendabile attraverso la “prova di resistenza”, fondata sulla mancata dimostrazione in concreto dell’effettivo pregiudizio per il destinatario, attesa l’inapplicabilità dell’art. 21 octies, comma 2, della legge n.241 del 1990 agli atti impositivi, che non sono vincolati nel “quid” (Cass., Sez. 5, 11 novembre 2015, n. 23050).
In conclusione, il primo motivo deve essere accolto in applicazione dei seguenti principio di diritto: in materia tributaria, l’art. 10-bis, comma 6, della legge n. 212 del 2000, a prescindere dalle modalità dell’accertamento (che può avvenire anche «a tavolino>>), esige sempre, a pena di nullità, una previa richiesta di chiarimenti al contribuente, il cui coinvolgimento è necessario, in un’ottica di collaborazione e buona fede, in quanto è l’unico in grado di spiegare eventuali ragioni extra-fiscali non immediatamente percepibili da parte dell’Amministrazione: ciò è confermato dalla necessità, in base al successivo comma 8, che la motivazione dell’avviso impositivo contenga uno specifico riferimento ai chiarimenti forniti dal contribuente.
3. In conclusione, in accoglimento del primo e del quinto motivo, assorbiti gli altri, la sentenza impugnata deve essere cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, il ricorso originario accolto, con compensazione integrale delle spese di lite, stante i mutamenti legislativi e giurisprudenziali intervenuti in corso di causa.
P.Q.M.
La Corte:
accoglie il primo ed il quinto motivo di ricorso, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso, annullando l’atto impugnato;
dichiara integralmente compensate le spese di lite.
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