CORTE di CASSAZIONE, sezione tributaria, ordinanza n. 8399 depositata il 28 marzo 2024
Tributi – Cartella di pagamento – Sentenza passata in giudicato – Agenzia delle entrate – Deduzione di una questione processuale – Tempestività della notifica della cartella – Inammissibilità
Rilevato che
nella controversia originata dall’impugnazione da parte di C. di cartella di pagamento, emessa a seguito di sentenza passata in cosa giudicata, la Commissione tributaria regionale del Lazio, con la sentenza indicata in epigrafe, accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la prima decisione che, a sua volta, aveva accolto il ricorso proposto dal contribuente, annullando la cartella per avvenuta decadenza dalla potestà impositiva.
In particolare, il Giudice di appello riteneva che la disposta chiamata in causa dell’Agenzia delle entrate fosse stata ultronea onde ne dichiarava il difetto di legittimazione passiva. Nel merito, confermava la prima decisione rilevando di non potere prendere in esame le doglianze mosse, in proposito, da Equitalia Sud-Riscossione per carenza di idonea impugnativa, comportante nei suoi confronti il passaggio in giudicato della sentenza.
Avverso questa sentenza Equitalia Sud Spa ha proposto ricorso, su due motivi, cui resiste con controricorso C.
L’Agenzia delle entrate ha depositato atto al solo fine dell’eventuale partecipazione alla pubblica udienza.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione, ex art.380 bis.1 cod. proc. civ., in camera di consiglio in prossimità della quale la ricorrente ha depositato memoria.
Considerato che
la ricorrente, premesso che l’appello era stato proposto, chiedendo la riforma, anche nel merito, della sentenza di primo grado dall’Agenzia delle entrate e che Equitalia Sud Spa nel giudizio di appello si era costituita con controdeduzioni, chiedendo accogliersi l’impugnazione proposta dall’ente impositore, con il primo motivo di ricorso deduce, ai sensi dell’art.360, primo comma, num. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art.10 del D.Lgs. n.546 del 1992.
Secondo la prospettazione difensiva aveva errato il Giudice di appello a estromettere dal giudizio l’ente impositore, unico soggetto passivo qualora si deduca, come nel caso in esame, la tardiva notificazione dell’atto impositivo.
Conseguentemente, il Giudice di appello aveva errato a non esaminare l’ulteriore motivo di appello svolto dall’Agenzia delle entrate e relativo alla tempestività della notifica della cartella.
2. Con il secondo motivo di ricorso si deduce, ai sensi dell’art.360, primo comma, num. 5 cod. proc. civ., l’omesso esame da parte della C.T.R. del fatto decisivo costituito dalla circostanza della impugnativa della Agenzia delle entrate in ordine alla affermata decadenza.
3 Il ricorso è inammissibile. Va, invero, da subito, affermata l’inammissibilità del secondo motivo laddove con il mezzo non si deduce l’omesso esame di un fatto, nella sua accezione fenomenica, ma di una questione processuale.
3.1 È, pure, inammissibile il primo motivo di ricorso per difetto di interesse, dolendosi la parte, non tanto della disposta estromissione dal giudizio dell’Ente impositore quanto della mancata pronuncia, da parte della C.T.R., sul motivo di appello concernente la validità della notificazione della cartella avanzato da altra parte del giudizio ossia dall’Agenzia delle entrate dichiarata carente di legittimazione passiva. Ancor prima il mezzo è inammissibile in quanto non si confronta con il capo di sentenza, rimasto esente da censura, con la quale la C.T.R. ha ritenuto che non potessero essere accolte le richieste formulate da Equitalia Sud per una più favorevole valutazione della vicenda per carenza di idonea impugnativa comportante nei suoi confronti il passaggio in giudicato della sentenza.
4 Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile con condanna della ricorrente alle spese, liquidate come in dispositivo, da distrarre in favore del difensore del controricorrente.
5 Non vi è pronuncia sulle spese nei confronti dell’Agenzia delle entrate che non ha svolto attività difensiva.
La Corte
P.Q.M.
Dichiara il ricorso inammissibile.
Condanna la ricorrente alle spese, liquidate in complessivi per Euro 2.300 per compensi, oltre Euro 200 per esborsi, rimborso spese forfetario nella misura del 15% e accessori di legge, con distrazione in favore del difensore del controricorrente per dichiarato anticipo fattone.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del citato art.13, comma 1 bis, se dovuto.
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