CORTE di CASSAZIONE, sezione tributaria, ordinanza n. 8729 depositata il 3 aprile 2024
Tributi – Debito IVA – Quadro RK dichiarazione dei redditi – Quote societarie – Accoglimento parziale
Rilevato che
– La CTP di Caserta dichiarava cessata la materia del contendere con compensazione delle spese di lite, a seguito dello sgravio disposto dall’Agenzia delle entrate nei confronti di M. che aveva proposto ricorso avverso la comunicazione preventiva di iscrizione ipotecaria, dovuta al mancato pagamento di un debito tributario per IVA e altro, anno 2007, riferibile alla società G. Sas, di cui il M. era stato socio dal 22.10.2002 al 12.05.2004;
– con la sentenza indicata in epigrafe, la Commissione tributaria regionale della Campania accoglieva parzialmente l’appello proposto dal M., rilevando che:
– il primo giudice aveva compensato le spese ritenendo che la cessazione della carica di socio non fosse stata pubblicizzata in modo idoneo e che l’Ufficio si fosse prontamente attivato nel riconoscere l’estraneità del M., non appena ne era venuto a conoscenza;
– l’appello riguardava solo l’Agenzia delle entrate, non avendo il contribuente chiesto la condanna al pagamento delle spese anche dell’agente della riscossione, sebbene un ulteriore motivo di illegittimità dell’iscrizione ipotecaria, per la cui responsabilità era coinvolta anche Equitalia Sud, riguardasse la mancata produzione della prova dell’avvenuta notificazione al M. della cartella di pagamento che costituiva il presupposto per l’iscrizione ipotecaria;
– la responsabilità dell’Agenzia delle entrate era evidente, non solo perché non aveva dimostrato la rituale notificazione dell’atto presupposto per la successiva comunicazione di iscrizione ipotecaria da parte dell’agente della riscossione e aveva emesso il provvedimento di sgravio solo dopo due mesi dalla notificazione del ricorso introduttivo, ma soprattutto perché era stata negligente nel non verificare preventivamente che il M. non poteva essere chiamato a rispondere del debito tributario della società, della cui compagine non faceva più parte da tempo, avendo ricoperto, peraltro, nell’ultimo periodo la qualità di socio accomandante, come si poteva verificare mediante una visura camerale;
– benché tale comportamento non fosse sufficiente per applicare l’art. 96 cod. proc. civ., lo era per porre le spese di entrambi i gradi di giudizio a carico dell’Ufficio, liquidate in complessivi euro 9.100,00 (di cui euro 4.300,00 per il primo grado ed euro 4.800,00 per il secondo grado di giudizio), oltre al rimborso delle spese generali nella misura del 12,5% e del contributo unificato;
– l’Agenzia delle entrate impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo;
– M. resisteva con controricorso e proponeva ricorso incidentale, affidato a tre motivi.
Considerato che
– Con l’unico motivo, la ricorrente principale denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 15 e 46, comma 3, del d.lgs. n. 546 del 1992, nonché dell’art. 96, comma 2, cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., sostenendo che la CTR non ha rilevato che: l’Ufficio aveva iscritto nei ruoli il M. quale coobbligato solidale, dopo avere preventivamente verificato la sua qualifica all’interno della società, accertando che dal quadro RK della dichiarazione dei redditi, evidentemente errata, il contribuente deteneva ancora, per l’anno 2007, il 25% delle quote societarie; la qualifica di socio accomandante, ove ancora esistente, avrebbe rilevato solo sull’importo del debito a lui riferibile, ma non avrebbe fatto venire meno la sua responsabilità; il provvedimento di sgravio era stato adottato nella stessa data in cui era pervenuto il parere della Direzione Regionale;
– il motivo è infondato;
– l’art. 46 del d.lgs. n. 546 del 1992, che contempla l’ipotesi dell’estinzione (parziale o totale) del giudizio nei casi di definizione delle pendenze tributarie previsti dalla legge e in ogni altro caso di cessazione della materia del contendere, prevede, al comma 3, che le spese del giudizio estinto a norma del comma 1 restano a carico della parte che le ha anticipate, salvo diversa disposizione di legge; detta ipotesi di “compensazione ope legis” è venuta meno a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 274 del 2005, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale del predetto comma 3 nelle ipotesi in cui si riferisce alla cessazione della materia del contendere diverse dai casi di definizione delle pendenze tributarie previste dalla legge;
– occorre rilevare, peraltro, che, poiché la sentenza impugnata è stata pronunciata in data 15.01.2015 e pubblicata il successivo 16.01.2015, deve farsi applicazione dell’art. 15 del d.lgs. n. 546 del 1992 nella versione antecedente alla modifica apportata dall’art. 9, comma 1, del d.lgs. n. 156 del 2015, in vigore dal 1.01.2016, per cui “La commissione tributaria può dichiarare compensate in tutto o in parte le spese, a norma dell’art. 92, secondo comma, del codice di procedura civile”, che a sua volta prevedeva, nella versione vigente ratione temporis, che “Se vi è soccombenza reciproca ovvero nel caso di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti, il giudice può compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero”;
– quest’ultima disposizione, introdotta dall’art. 13, comma 1, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, nella legge 10 novembre 2014, n. 162, è stata dichiarata costituzionalmente illegittima, con sentenza della Corte costituzionale n. 77 del 2018, nella parte in cui non prevede che il giudice possa compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, anche qualora sussistano altre analoghe “gravi ed eccezionali ragioni”;
– le “gravi ed eccezionali ragioni” devono essere esplicitamente indicate nella motivazione (Cass. n. 16470/2018; n. 1950/2022) e devono trovare puntuale riferimento in specifiche circostanze o aspetti della controversia decisa (Cass. n. 26987/2011), non potendo essere espresse con una formula generica in quanto inidonea a consentire il necessario controllo» (Cass. n. 16518 del 2019; n. 25594 del 2018);
– con riferimento specifico alla compensazione delle spese processuali susseguenti all’annullamento in autotutela dell’atto impositivo, poi, costituisce orientamento consolidato di questa Corte quello secondo cui “In tema di processo tributario, nell’ipotesi di estinzione del giudizio ex art. 46, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992, per cessazione della materia del contendere, determinata dall’annullamento in autotutela dell’atto impugnato, può essere disposta la compensazione delle spese di lite ai sensi dell’art. 15, comma 1, del medesimo d.lgs., purchè intervenuta all’esito di una valutazione complessiva della lite da parte del giudice tributario, trattandosi di una ipotesi diversa dalla compensazione “ope legis” prevista dal comma 3 dell’articolo citato, quale conseguenza automatica di qualsiasi estinzione del giudizio, dichiarata costituzionalmente illegittima dalla pronuncia della Corte costituzionale n. 274 del 2005” (Cass. n. 3950 del 2017; Cass. n. 19947 del 2010 e Cass, n. 9174 del 2011);
– a tale proposito è stato precisato che “Nel processo tributario, alla cessazione della materia del contendere per annullamento dell’atto in sede di autotutela non si correla necessariamente la condanna alle spese secondo la regola della soccombenza virtuale, qualora tale annullamento non consegua ad una manifesta illegittimità del provvedimento impugnato sussistente sin dal momento della sua emanazione, stante, invece, l’obiettiva complessità della materia chiarita da apposita norma interpretativa, costituendo in tal caso detto annullamento un comportamento processuale conforme al principio di lealtà, ai sensi dell’art. 88 cod. proc. civ., che può essere premiato con la compensazione delle spese” (Cass. n. 22231 del 2011; n. 7273 del 2016; n. 19947 del 2010; n. 3950 del 2017);
– orbene, è pacifico che il provvedimento annullato nel caso in esame era manifestamente illegittimo “sin dal momento della sua emanazione”, in quanto emesso nei confronti di un soggetto non legittimato, non avendo avuto il M. più alcun ruolo nella G. all’epoca in cui era sorta la pretesa fiscale nei confronti della predetta società;
– ciò era sufficiente, per il principio della soccombenza virtuale e in mancanza di oggettive incertezze sulle questioni di fatto o di diritto rilevanti nel caso specifico, per condannare l’Amministrazione finanziaria al pagamento delle spese in favore del contribuente, non avendo il giudice di appello individuato “gravi ed eccezionali ragioni”, che potessero giustificare la loro compensazione, essendo stata esclusa espressamente, con accertamento di fatto insindacabile in questa sede, la tempestività dello sgravio;
– del tutto generica e non autosufficiente è l’ulteriore circostanza dedotta dalla ricorrente principale, secondo la quale l’asserito errore dell’Ufficio nell’individuare il M. quale coobbligato solidale era dovuto all’indicazione, nella dichiarazione dei redditi presentata dalla società per l’anno 2007, che il M. era ancora socio della G.;
– si trattava comunque di un aspetto che, come ha puntualizzato correttamente la CTR, necessitava di un approfondimento, con l’acquisizione di una visura camerale, che l’Agenzia non aveva effettuato;
– passando all’esame del ricorso incidentale, con il primo motivo, il contribuente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.M. n. 55 del 2014, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., non avendo la CTR applicato i parametri in vigore all’epoca del deposito della sentenza, la nullità della sentenza, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., e la violazione e falsa applicazione dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per carenza assoluta di motivazione in ordine al criterio adottato per la liquidazione delle spese in relazione al giudizio di primo grado;
– con il secondo motivo, il contribuente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 96 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per non avere la CTR condannato l’Ufficio al pagamento delle ulteriori somme richieste ex art. 96 cod. proc. civ., la nullità della sentenza, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., e la violazione e falsa applicazione dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per carenza assoluta di motivazione in ordine alla mancata condanna ex art. 96 cod. proc. civ.;
– con il terzo motivo, deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 93 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per non avere la CTR disposto la distrazione delle spese in favore del procuratore, avvocato M.C.C., che ne aveva fatto espressa richiesta, dichiarandosi anticipatario, in entrambi i gradi del giudizio di merito;
– il primo motivo è complessivamente fondato;
– questa Corte ha precisato che, in tema di liquidazione di spese processuali, il giudice, in presenza di una specifica richiesta, non può limitarsi ad una globale determinazione del compenso professionale in una misura inferiore a quella richiesta, ma ha l’onere di dare adeguata motivazione dell’eventuale eliminazione e della riduzione di voci da lui operata, allo scopo di consentire, attraverso il sindacato di legittimità, l’accertamento della conformità della liquidazione a quanto risulta dagli atti ed alle tariffe (Cass. n. 44040/2009, Cass. n. 20604/2015, Cass. n. 12537/2019 e Cass. 25788/2020);
– sebbene il giudice non sia vincolato alla determinazione del compenso secondo i valori medi indicati nella tariffa, dovendo solo quantificare il compenso tra il minimo ed il massimo, la motivazione è doverosa allorquando si decida di aumentare o diminuire ulteriormente gli importi affinché siano controllabili le ragioni che giustificano lo scostamento e la misura di questo (ex multis, Cass. n. 89 del 2021; n. 19989 del 2021);
– dalla sentenza impugnata non si evince quali siano i parametri in base ai quali la CTR ha quantificato il compenso professionale per il primo grado del giudizio, in considerazione della data di ultimazione del mandato difensivo (cfr. Cass. n. 31884/2018) e non viene spiegato per quale motivo si è ritenuto di liquidarlo al di sotto dei valori tariffari minimi stabiliti in relazione al valore della controversia;
– l’esame del terzo motivo del ricorso incidentale rimane assorbito dall’accoglimento del primo motivo, essendo demandata al giudice di rinvio la valutazione in ordine alla richiesta di distrazione delle spese in favore del difensore;
– il secondo motivo del ricorso incidentale è inammissibile per difetto di specificità, non avendo il ricorrente nemmeno indicato quale fosse il danno (ulteriore rispetto al rimborso delle spese di lite) subito a seguito dell’iniziativa dell’Amministrazione finanziaria;
– in conclusione, va rigettato il ricorso principale, mentre va accolto il primo motivo del ricorso incidentale, rigettato il secondo e assorbito il terzo; la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto e rinviata alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione, per nuovo esame e per le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale, accoglie il primo motivo del ricorso incidentale, rigettato il secondo e assorbito il terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.
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