CORTE di CASSAZIONE, sezione tributaria, sentenza n. 8462 depositata il 28 marzo 2024
Tributi – Cartella di pagamento – Maggiore IRPEG – Ritenute d’acconto subite su interessi bancari e crediti – Aliquota agevolata – Notifica tardiva accertamento – Rigetto
Fatti di causa
1. L’Agenzia delle entrate ricorre nei confronti dell’Autorità Portuale di Messina, che resiste con controricorso, avverso la sentenza in epigrafe. Con quest’ultima la C.t.r. – pronunciandosi quale giudice di rinvio a seguito della ordinanza n. 20446 del 2013 di questa Corte – ha rigettato l’appello dell’Ufficio avverso la sentenza della C.t.p. di Messina che aveva accolto il ricorso della contribuente avverso la cartella di pagamento emessa ai sensi dell’art. 36-bis d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 ed avente ad oggetto la maggiore Irpeg dovuta per l’anno di imposta 1997.
2. L’Ufficio, a seguito di controllo automatizzato, recuperava a tassazione l’importo di Lire 189.569.000 (pari ad Euro 97.904,22). In particolare, non riconosceva l’importo di Lire 108.128.000 pari a ritenute d’acconto subite su interessi bancari e crediti dell’anno 1997 e recuperava l’importo di Lire 81.441.000 assumendo che la contribuente aveva indebitamente corrisposto l’Irpeg facendo applicazione dell’aliquota ridotta alla metà prevista dagli artt. 6 e 11 d.P.R. n. 601 del 1973, pur non avendo i requisiti ivi previsti.
3. Proponeva ricorso l’Autorità portuale assumendo che l’Ufficio non poteva ricorrere alla procedura di cui all’art. 36 – bis d.P.R. n. 600 del 1973 per disconoscere l’aliquota agevolata applicata né per disconoscere ritenute e crediti esposti in dichiarazione. Eccepiva, altresì, la decadenza dall’azione di riscossione stante la tardività della notifica. Nel merito, affermava il diritto a beneficiare dell’aliquota agevolata essendo Azienda di Stato ex art. 6 d.P.R. n. 601 del 1973 e l’illegittimità dell’ulteriore recupero in ragione di ritenute e crediti inspiegabilmente disconosciuti dall’Ufficio.
La C.t.p. accoglieva il ricorso affermando che l’Ufficio non avrebbe potuto emettere cartella ex art. 36 – bis d.P.R. n. 600 del 1973, ma avrebbe dovuto emettere avviso di rettifica motivato; che l’Autorità Portuale rientrava tra le Aziende di Stato ed aveva diritto all’applicazione dell’aliquota ridotta alla metà. Rigettava, invece, il motivo con il quale la contribuente aveva eccepito la notifica della cartella oltre il termine di decadenza di cui all’art. 36 – bis cit., ritenendolo termine ordinatorio.
4. Avverso detta sentenza spiegava appello l’Ufficio ribadendo che l’Autorità portuale non rientrava tra i soggetti che potevano beneficiare dell’aliquota ridotta e che quanto alla seconda ripresa la decisione dei giudici non era supportata da documentazione probatoria idonea a suffragare l’illegittimità dell’operato dell’Ufficio. L’autorità portuale resisteva con controdeduzioni nelle quali ribadiva l’illegittimità di entrambe le riprese.
La C.t.r., con la prima pronuncia, accoglieva l’appello dell’Ufficio evidenziando che la contribuente non rientrava tra i soggetti beneficiari della riduzione di imposta di cui all’art. 6 d.P.R. n. 601 del 1973.
5. Detta sentenza veniva annullata con rinvio da questa Corte la quale riteneva fondato il motivo di ricorso con il quale l’Autorità portuale aveva contestato la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. ed evidenziava che la C.t.r. non aveva esaminato l’eccezione relativa all’illegittimo ricorso alla procedura automatizzata di cui all’art. 36 – bis cit. sollevata dalla contribuente in entrambi i gradi del giudizio ed oggetto di espressa pronuncia da parte della C.t.p.
6. La C.t.r., pronunciandosi quale giudice del rinvio, con la sentenza in epigrafe, rigettava l’appello dell’Ufficio e confermava l’annullamento della cartella, stante l’irregolarità della procedura di contestazione e, dunque, prescindendo dalla sussistenza, nel merito, dei presupposti per beneficiare dell’aliquota agevolata. Affermava sul punto che le questioni sottese alla somma pretesa a titolo di Irpeg non erano limitata alla rettifica del calcolo dell’imposta ma implicavano la valutazione dei presupposti di fatto e di diritto i quali dovevano essere contestati formalmente e sottoposti al contraddittorio sicché l’Ufficio avrebbe dovuto procedere all’accertamento “con i canoni ordinari”. Aggiungeva che era fondato anche l’ulteriore “elemento” rilevato dalla contribuente sulla tardività della “notifica dell’accertamento” in quanto avvenuta oltre il termine di cinque anni previsto dalla legge.
7. Avverso detta pronuncia ricorre l’Agenzia delle entrate proponendo tre motivi e l’Autorità portuale resiste con controricorso.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo l’Ufficio denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 36 – bis d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600.
L’Ufficio muove con l’unico motivo due diverse censure.
1.1. Con la prima critica la sentenza impugnata per aver ritenuto che, al fine di recuperare la maggiore imposta dovuta dall’Autorità portuale – in quanto non rientrante tra i soggetti legittimati a beneficiare dell’aliquota agevolata di cui all’art. 6 d.P.R. n. 601 del 1973 – non fosse possibile emettere cartella ex art. 36 – bis d.P.R. n. 600 del 1973, bensì motivato avviso di accertamento nel termine di decadenza.
1.2. Con la seconda, relativa alla ripresa derivante dalle ritenute d’acconto non riconosciute, evidenzia che non si poneva alcuna questione relativa alla legittimità della procedura automatizzata essendo emerso l’omesso versamento delle ritenute subite dall’Autorità su interessi lordi attivi bancari.
2. Con il secondo motivo denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ.
Censura la sentenza impugnata per aver ritenuto tardiva la notifica dell’accertamento in quanto avvenuta oltre il termine di cinque anni previsto dalla legge. Osserva che la contribuente aveva censurato la tardività della notifica della cartella e non di un ipotetico avviso di accertamento; che, pertanto, la sentenza era sul punto viziata da extra – petizione.
3. Con il terzo motivo denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112 e 329 cod. proc. civ. e dell’art. 54 D.Lgs. 31 dicembre 1992 n. 546.
In via subordinata, rileva che la C.t.p. aveva espressamente rigettato il motivo del ricorso con il quale la contribuente aveva eccepito la tardività della notifica e che la contribuente, soccombente sul punto, a fronte dell’appello principale dell’Ufficio, non aveva proposto appello incidentale, sicché sulla questione si era formato il giudicato interno.
4. La prima censura di cui al primo motivo – relativa al recupero di una maggiore Irpeg a seguito del disconoscimento del diritto a beneficiare dell’aliquota agevolata ex art. 6 d.P.R. n. 601 del 1973 – è infondata.
4.1. L’art. 36 – bis, comma 2, d.P.R. n. 600 del 1973 (come l’omologa disposizione di cui all’art. 54 – bis d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633) attribuisce all’Amministrazione finanziaria il potere di provvedere, tra l’altro, a correggere gli errori materiali e di calcolo commessi dai contribuenti nella determinazione degli imponibili, delle imposte, dei contributi, dei premi (lett. a). Si tratta, non diversamente dalle altre ipotesi indicate nelle successive lettere da b) a f) dello stesso comma 2, di un controllo formale, che viene effettuato, mediante procedure automatizzate (comma 1 dell’art. 36 – bis), sulla base dei dati e degli elementi direttamente desumibili dalle dichiarazioni presentate e di quelli in possesso dell’anagrafe tributaria.
Nel delineare il perimetro entro il quale l’Amministrazione può ricorrere al procedimento di controllo automatizzato e, di conseguenza, i poteri spettanti in seno ed in esito a questo, le Sezioni Unite della Corte hanno chiarito, affermando un principio di diritto costantemente seguito nella successiva giurisprudenza di legittimità, che il Fisco può operare, con procedure automatizzate, un controllo formale che non tocchi la posizione sostanziale della parte contribuente e sia scevro da profili valutativi e/o estimativi e da atti d’indagine diversi da mero raffronto con dati ed elementi in possesso dell’anagrafe tributaria (Cass., Sez. U., 08/09/2016, n. 17758, in relazione all’omologo art. 54-bis d.P.R. n. 633 del 1972).
La disposizione non prevede, pertanto, che possa procedersi ad una diversa ricostruzione sostanziale dei dati esposti dal contribuente nella dichiarazione né una vera e propria valutazione o stima degli stessi né la risoluzione di questioni giuridiche.
Proprio con riferimento all’applicazione diretta e immediata di norme giuridiche in sede di controllo automatizzato, la Corte, con statuizione confermata successivamente dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 17758 del 2016, aveva già evidenziato che il recupero è consentito quando sia desumibile ictu oculi, dal controllo formale della dichiarazione e dell’allegata documentazione, che il titolo è diverso da quello previsto dalla lettera della legge, e non anche quando ciò derivi dall’interpretazione della norma giuridica (Cass. 29/02/2008, n. 5460 Cass., 15/06/2007, n. 14019). Dunque, solo se manca una diversa valutazione nell’an o nel quantum del presupposto impositivo ovvero una diversa valutazione della esistenza di crediti o oneri, l’amministrazione può liquidare quanto rilevato nel controllo formale ed effettuare l’iscrizione a ruolo e la notifica della cartella, senza necessariamente dover emettere un previo avviso di accertamento. In altri termini, il controllo automatizzato ben può comportare l’applicazione di norme giuridiche, purché essa sia diretta e immediata (Cass., Sez. U., n. 17758 del 2016 cit.).
Nello stesso senso si è pronunciata anche la Corte costituzionale nell’ordinanza del 7 aprile 1988, n. 430, laddove afferma che la liquidazione ex art. 36 – bis d.P.R. n. 660 del 1973 (ndr art. 36 – bis d.P.R. n. 600 del 1973) è operata sulla base delle dichiarazioni presentate mediante un mero riscontro cartolare, nei casi eccezionali e tassativamente indicati dalla legge, vertenti su errori materiali e di calcolo immediatamente rilevabili, senza la necessità quindi di alcuna istruttoria.
4.2. Invero, con specifico riferimento all’aliquota applicabile dall’Ufficio in difformità a quella applicata dal contribuente in dichiarazione questa Corte, in specifiche fattispecie, ha ritenuto legittimo il ricorso alla procedura automatizzata ed ha affermato che da un lato, tale attività si traduce nella correzione di un mero errore di calcolo e, dall’altro, non assume rilievo l’inconsapevolezza dell’errore del dichiarante (Cass. 31/01/2017, n. 2412). Si è precisato che il ricorso alla procedura automatizzata è legittimo in tali ipotesi perché si tratta della modifica di un dato numerico, riconducibile a diversa aliquota, che trova fonte in una regola normativa, ancorché poi sulla applicabilità e sulla tenuta di quella disciplina possano formularsi contestazioni dalle implicazioni giuridiche anche complesse, come per quella oggetto de caso di specie (Cass. 10/06/2021, n. 16479, Cass. 05/12/2018, n. 31415).
Tali successivi arresti, tuttavia, lungi da porsi in contrasto con il principio generale, vanno letti in linea con lo stesso ovvero come volti a ribadire che nel perimetro indicato dalle Sezioni Unite come quello nel cui ambito l’Ufficio può procedere al controllo automatizzato vi è anche la prerogativa di correggere l’aliquota applicata dal contribuente. Ciò, tuttavia, sempre a condizione che non vi sia una diversa valutazione nell’an o nel quantum del presupposto impositivo e che la correzione dell’aliquota derivi dall’applicazione diretta e immediata di norme giuridiche.
4.3. Va affermato, pertanto, il seguente principio di diritto “In tema di riscossione delle imposte, l’Amministrazione finanziaria può ricorrere alla procedura di cui all’art. 36 – bis d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600 (o a quella analoga di cui all’art. 54 – bis d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633) anche per rettificare l’imposta indicata in dichiarazione in base all’applicazione di una diversa aliquota rispetto a quella individuata dal contribuente qualora tale attività si traduca nella correzione di un mero errore o derivi dall’applicazione diretta e immediata di norme giuridiche e non nell’ipotesi in cui vengano in rilievo profili valutativi e/o estimativi diversi dal mero raffronto con dati ed elementi in possesso dell’anagrafe tributaria“.
4.4. Nella fattispecie in esame il recupero a tassazione implicava accertamenti incompatibili con la procedura automatizzata. Infatti, il recupero a tassazione non poteva derivare dal mero riscontro formale della riconducibilità del contribuente ad una delle categorie di cui all’art. 6 d.P.R. n. 601 del 1973 vigente ratione temporis (disposizione che, per come sostituita dall’art. 66, comma 8, d.l. 30 agosto 1993 n. 331 convertito con modificazioni dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427 non conteneva più il riferimento alle aziende dello Stato di cui agli artt. 146 e 148 del regolamento sulla contabilità dello Stato). L’individuazione del regime fiscale cui sottoporre l’Autorità portuale involgeva l’individuazione della natura giuridica dell’Ente, dell’attività svolta in rapporto ai compiti istituzionalmente assegnati, del regime fiscale applicabile in ragione di quanto previsto dagli att. 72, 73 e 74 t.u.i.r. (Cfr., in ordine a ciascuno di detti profili, Cass. 15/03/2024, n. 6992, Cass. 18/03/2024, nn 7226, 7229, 7235, 7239, Cass. 19/03/2024, n. 7381, Cass. 20/3/2024, n. 7421, Cass. 21/03/2024, nn. 7688 e 7693 rese in materia da questa Corte alla medesima udienza pubblica cui è stata chiamata la odierna controversia).
4.5. La C.t.r. si è attenuta a questi principi. Infatti, dopo aver ribadito che il ricorso alla procedura automatizzata, che si svolge in assenza di contraddittorio, è consentito solo in presenza di errori e/o omissioni ricavabili dalla stessa dichiarazione del contribuente, e che, viceversa, se sono controversi i presupposti della tassazione deve procedersi con canoni ordinari, ne ha escluso, in concreto, la legittimità nella fattispecie in esame, a prescindere dall’effettività del diritto ad accedere all’agevolazione vantata.
5. La seconda censura di cui al primo motivo – relativa all’ulteriore recupero per il quale l’Amministrazione assume che non poteva porsi questione relativa alla procedura automatizzata essendo emerso l’omesso versamento delle ritenute subite dall’Autorità portuale su interesse lordi attivi bancari – è inammissibile.
5.1. Il giudizio d’appello, per come ricostruito nella sentenza impugnata, non risulta aver avuto ad oggetto la questione dedotta con il motivo in esame, ovvero il mancato versamento delle ritenute d’acconto sugli interessi attivi percepiti. La C.t.r. infatti, riferisce che la questione relativa al ricorso alla procedura automatizzata riguardava il diritto ad accedere ad aliquota ridotta in ragione della qualificazione soggettiva dell’Ente contribuente.
È noto, invece, che i motivi del ricorso per cassazione devono investire questioni che abbiano formato oggetto del thema decidendum del giudizio di secondo grado, come fissato dalle impugnazioni e dalle richieste delle parti: in particolare, non possono riguardare nuove questioni di diritto se esse postulano indagini ed accertamenti in fatto non compiuti dal giudice del merito ed esorbitanti dai limiti funzionali del giudizio di legittimità. Pertanto, secondo il costante insegnamento di questa Corte, qualora una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass. 24/01/2019, n. 2038).
Nel caso di specie ciò non è accaduto. Inoltre, dall’atto di appello riprodotto nel ricorso, risulta che l’Agenzia si era limitata ad affermare, articolando un motivo del tutto generico, che la decisione della C.t.p. – la quale a propria volta, per come riassunta in ricorso e controricorso non faceva cenno alcuno alla questione dell’omesso versamento delle ritenute – non era suffragata da documentazione idonea ad escludere la legittimità dell’operato dell’Ufficio nel rispetto delle sue prerogative riconosciute in sede di liquidazione del mod. 760 ai sensi e per gli effetti dell’art. 36 – bis d.P.R. n. 660 del 1973 (ndr art. 36 – bis d.P.R. n. 600 del 1973).
6. Stante l’infondatezza del primo motivo di appello sono inammissibili il secondo ed il terzo che attingono la sentenza nella parte in cui ha esposto una seconda ratio decidendi assumendo la “tardività della notifica dell’accertamento”.
6.1. Infatti, qualora la decisione impugnata si fondi su una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome, e singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una prima ragione di decisione, rende inammissibili per sopravvenuto difetto di interesse, la censura relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (tra le più recenti, Cass. 14/08/2020, n. 17182).
7. In conclusione, il ricorso va complessivamente rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13 comma 1 – quater, d.P.R., 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 6.000,00 per compensi, oltre il 15 per cento per rimborso forfetario spese generali, i.v.a. e c.p.a. come per legge.