Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Calabria, sezione n. 1, sentenza n. 2324 depositata il 14 settembre 2023
IRPEF – dichiarazione integrativa – termine – art. 2, co. 8, del DPR n. 322/1998 – portata retroattiva – esclusione
Massima:
In tema di dichiarazione integrativa, la modifica dell’art. 2, co. 8, del DPR n. 322/1998, in virtù della quale la stessa può essere presentata entro il termine di decadenza dell’amministrazione dal proprio potere di accertamento, non ha efficacia retroattiva, non trattandosi di norma di interpretazione autentica.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto del 5/1/2023, la sig.ra S G ha promosso appello al fine di ottenere la riforma della sentenza n. 2737 /2022, del 5/5/2023, depositata il 6/6/2022, con la quale la Commissione Provinciale di Cosenza ha rigettato il ricorso avanzato dall’odierna appellante avverso la cartella di pagamento avente ad oggetto IRPEF per l’anno 2015.
Tale cartella scaturiva dalla liquidazione automatizzata di cui all’art. 36 bis del D.P.R. n. 600/73 con la quale l’Ufficio disconosceva le perdite (non compensate negli anni precedenti) indicate al rigo RS012 del modello Unico PF 2016 e, conseguentemente, quella esposta al rigo RH12.
Il primo giudice, valutata la legittimità dell’operato dell’Ufficio alla luce delle prescrizioni normative applicabili e, in particolare, dell’art. 36 bis del DPR n. 600 del 1973 e dell’art. 6, co. 5, della L. 212/2000, ha rigettato le censure mosse dalla contribuente rilevando che gli importi avrebbero dovuto essere riportati in compensazione nelle dichiarazioni integrative a favore per l’anno successivo a quelle in cui erano maturati, rispettivamente 2011 e 2012, in base alla disciplina ratione temporis applicabile.
In questa sede parte appellante lamenta l’erroneità della pronuncia in esame, richiamando, di fatto, le censure già mosse alla cartella impugnata, con il ricorso in primo grado e, specificamente: nullità per violazione dell’art. 12 del DPR n. 602/73 e dell’art. 7 della L. n. 212/2000; violazione e falsa applicazione dell’art. 36 bis del DPR n. 600/73; nullità per violazione dell’art. 1 co. 5 bis lett. a) della L. n. 156/2005; nullità per violazione dell’art. 6 della L. n. 388/2000; nullità per manifesta mancanza dei presupposti normativi e fenomenici e per eccesso di potere sotto il profilo della violazione di risoluzione.
Si rileva, poi, nullità della sentenza che sarebbe viziata sotto il profilo della omessa (in quanto solo apparente) motivazione, per violazione degli artt. 113 e 115 c.p.c.
L’ Agenza delle Entrate ha resistito.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Ritiene la Corte che l’appello non sia meritevole di accoglimento.
Occorre, innanzitutto, premettere che si condividono pienamente le conclusioni cui è giunto il primo giudice, il cui iter argomentativo appare del tutto corretto, conforme alla normativa dettata sul punto e, quindi, niente affatto meritevole di riforma.
Si reputa, inoltre, necessario precisare che non può dirsi configurabile il lamentato vizio di difetto di motivazione o di motivazione apparente che, come noto, attiene all’esistenza della motivazione, trattandosi di un’anomalia che si esaurisce nella sua mancanza assoluta sotto l’aspetto materiale e grafico o nel contrasto irriducibile tra le affermazioni inconciliabili o in una motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile.
Ebbene nel caso che ci occupa il primo giudice ha adeguatamente motivato le ragioni a supporto della decisione assunta che, peraltro, si condividono, e che certamente non possono ricondursi ad alcuna delle circostanze sopra esposte.
Nel merito, si evidenzia come la procedura seguita dall’Ufficio sia legittima, atteso che l’attività dell’Ufficio accertatore correlata alla contestazione di detrazioni e crediti indicati dal contribuente, laddove scaturente dalla verifica dei dati da quest’ultimo indicati, non implica valutazioni, sicché è legittima l’iscrizione a ruolo della maggiore imposta, non essendo necessario un previo avviso di recupero (in tal senso si è espresso il Supremo Collegio, tra le ultime, con le pronunce nn. 35505/2022 e 39331/2021).
E, ugualmente, deve ritenersi essere stato assolto l’obbligo di motivazione mediante il richiamo alla dichiarazione, perché, essendo il contribuente già a conoscenza delle sottese motivazioni non è necessario che siano indicati ulteriori presupposti di fatto e ragioni giuridiche.
Peraltro, detta considerazione appare tautologica anche in considerazione della comunicazione dell’avviso bonario che ha preceduta la cartella e che ha consentito alla contribuente di comprendere le ragioni sottese alla pretesa tributaria.
Un aspetto che merita di essere considerato con particolare attenzione è, invece, quello della disciplina applicabile in tema di dichiarazione integrativa.
Sul punto, si condividono le argomentazioni proposte dal primo giudice e accolte anche dalla giurisprudenza constante di questa Corte, secondo cui la modifica dell’art. 2, co. 8, del DPR n. 322/1998, in virtù della quale la richiamata dichiarazione può essere presentata entro il termine di decadenza dell’amministrazione dal proprio potere di accertamento, non ha efficacia retroattiva, non trattandosi di norma di interpretazione autentica.
Logica conseguenza è che, per le fattispecie quali quella in esame, verificatesi anteriormente, tale termine si applica solo se la dichiarazione integrativa è volta ad evitare un danno per la Pubblica Amministrazione, diversamente deve essere presentata entro il termine della dichiarazione per il periodo di imposta successivo, ferma la facoltà per il contribuente di richiedere il rimborso entro il diverso termine previsto dalla legge.
Tanto precisato, la dichiarazione integrativa presentata dalla contribuente è stata correttamente ritenuta tardiva e non considerata.
Per tale ragione, assorbite le ulteriori questioni, si ritiene che l’operato dell’Ufficio appaia del tutto legittimo e l’appello non debba essere accolto.
Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate in conformità ai parametri di cui al D.M. 55/2014.
P.Q.M.
La Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Calabria, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone:
1) rigetta l’appello;
2) condanna parte appellante al pagamento delle spese del giudizio di appello, che liquida complessivamente in ? 1.800,00, oltre accessori di legge.
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