Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Toscana, sezione 6, sentenza n. 1126 depositata il 7 ottobre 2022
Ai fini della tempestiva notificazione del primo atto di esazione tributaria, i termini di decadenza, di cui all’art. 25 del D.p.r. 602/73, iniziano a decorrere da quando la pretesa tributaria è divenuta definitiva. Qualora, a seguito di pronuncia di Cassazione con rinvio, la definitività dell’accertamento fiscale dipenda dalla mancata riassunzione del giudizio ad opera delle parti, il termine di decadenza inizierà a decorrere da quando il giudizio si è estinto
In data 14 ottobre 2019 l’AGENZIA DELLE ENTRATE-RISCOSSIONE della provincia di Firenze ha notificato al sig. E. P. la cartella di pagamento n. 41201900XXX-0001 per importo complessivo di euro 5.048.868,73 composto da due distinti ruoli rappresentanti due distinte pretese tributarie, oltre euro 5,88 per diritto di notifica:
– ruolo n. 2019/000XX0, relativo a Imposta Sostitutiva IRPEF/ILOR plusvalenze, anno 1994, relative sanzioni ed interessi per complessivi euro. 5.047.711,31;
– ruolo n. 2019/000XX9, relativo a contributo unificato processo tributario art. 158 D.P.R. 115/2002 per euro 1.151,54.
Il ruolo n. 2019/000XX0, qui impugnato, riguarda le imposte dovute sull’avviso di accertamento MOD. 740 n. RH1100XX6 per l’anno d’imposta 1994, il quale veniva impugnato dal contribuente dinanzi la C.T.P. di COSENZA, che lo accoglieva.
Tale sentenza della C.T.P. di COSENZA veniva poi appellata dall’AGENZIA DELLE ENTRATE – D.P. di COSENZA dinanzi la C.T.R. CALABRIA-CATANZARO con atto di appello dichiarato inammissibile da quest’ultima C.T.R. con la sentenza n. 149/11/2006.
L’AGENZIA DELLE ENTRATE – D.P. di COSENZA, quindi, proponeva ricorso per cassazione, che veniva accolto con la sentenza n. 4587/2015 la quale cassava con rinvio innanzi alla C.T.R. CALABRIA in altra composizione.
Nessuna delle parti riassumeva la causa dinanzi la C.T.R. CALABRIA con la conseguenza che il processo si estingueva con conseguente riviviscenza dell’avviso di accertamento originariamente impugnato, sulla base del quale l’A.F. provvedeva ad iscrivere a ruolo il carico tributario comprensivo di imposte, interessi e sanzioni, portato dalla cartella di pagamento qui impugnata.
Contro quest’ultima cartella di pagamento, il sig. E. P. ha proposto ricorso dinanzi la C.T.P. di FIRENZE, deducendo la decadenza per la riscossione del tributo oggetto dall’avviso di accertamento divenuto definitivo e prestando acquiescenza al ruolo n. 2019/000XX9.
Si costituiva l’AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE la quale sosteneva la legittimità del proprio operato, concludendo per il rigetto del ricorso con vittoria di spese.
Nel giudizio interveniva volontariamente, ex art. 14-III co. D.Lgs. n. 546/1992, l’AGENZIA DELLE ENTRATE – D.P. di COSENZA (da cui originava l’accertamento posto a base della cartella di pagamento) contrastando quanto dedotto dal P. e sostenendo la legittimità del proprio operato, concludendo per il rigetto del ricorso con vittoria di spese.
La C.T.P. di FIRENZE accoglieva il ricorso e compensava le spese osservando che “a mente dell’art. 25 del D.P.R. 602/1973 il concessionario deve notificare la cartella di pagamento al contribuente a pena di decadenza entro il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello in cui l’accertamento è divenuto definitivo (Cass., V sez. civ., ord. 9/1/15 n. 171)” e, tenendo conto che “il 19/4/16 è iniziato a decorrere il termine ex art. 25 cit. entro il quale doveva essere notificata la cartella di pagamento scadente il 31/12/18, la cartella di pagamento impugnata è stata notificata al ricorrente solo in data 14/10/19 e, dunque, ben oltre il termine di decadenza di cui all’art. 25 del D.P.R. 602/73″.
L’Agenzia delle Entrate – D.P. di COSENZA, quindi, impugna la detta sentenza con atto di appello, del quale sollecita l’accoglimento con vittoria di spese, sostenendo che l’art. 25 D.P.R. n. 602/1973, posto a base della decisione di primo grado, “si riferisce ai casi in cui l’Accertamento diviene definitivo per ragioni diverse da una statuizione giudiziale (come ad esempio per mancata impugnazione), stabilendo infatti espressamente che il termine decadenziale di due anni ivi previsto si applichi alle somme definitivamente dovute in base agli accertamenti (e non come, nella specie, in base ad una sentenza)”, “trovando invece applicazione ai fini della riscossione l’istituto della prescrizione decennale, ovvero il “
termine di prescrizione generale previsto dall’art. 2953 c.c., in quanto il titolo sulla base del quale viene intrapresa la riscossione non è più l’atto amministrativo, ma la sentenza
” (così, tra le tante, Cass. n. 8105/2019)”.
Si è costituito in questo grado l’appellato E. P., controdeducendo, chiedendo il rigetto dell’appello con vittoria di spese.
Non si è costituita in questo grado di giudizio l’AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE.
All’udienza del giorno 28 settembre 2022, il Collegio, udita la relazione del Giudice Dott. BRIGANTE, decideva la controversia come da motivazione e da dispositivo che seguono.
1. L’appello è infondato e va respinto.
2. L’unico motivo di appello non è meritevole di accoglimento.
3. Secondo l’orientamento nomofilattico consolidato (Cass. civ., sez. V, 16/09/2021, n. 25014) “nel processo tributario, l’omessa o tardiva riassunzione, nel termine di legge, del giudizio a seguito di rinvio dalla Corte di cassazione, ne determina l’estinzione che, differentemente da quanto avviene nel giudizio ordinario, è rilevabile anche d’ufficio, D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 45, comma 3, e art. 63 e comporta il venir meno dell’intero procedimento, con conseguente definitività dell’avviso di accertamento” (v. Cass. Sez. 5, 13/12/2018, n. 32276; Sez. 5, 23/11/2016, n. 23922; e, da ultimo, Sez. 5, 05/03/2021, n. 6142).
Invero, poiché l’opposizione avverso l’imposizione fiscale integra una mera azione di accertamento negativo della legittimità della pretesa tributaria, l’eventuale estinzione di tale processo di opposizione (nella specie, per mancata riassunzione davanti al giudice di rinvio) non può implicare l’estinzione dell’obbligazione tributaria, la quale rinviene alla propria base l’atto impositivo stesso, trovando in questo il titolo costitutivo.
In tal senso, la pronuncia di estinzione del giudizio comporta ex art. 393 c.p.c., il venir meno dell’intero processo ed in forza dei principi in materia di impugnazione dell’atto tributario la definitività dell’avviso di accertamento e quindi l’integrale accoglimento delle ragioni erariali.
La pretesa tributaria vive, infatti, di forza propria proprio in virtù dell’atto impositivo in cui è stata formalizzata e l’estinzione del processo travolge la sentenza di primo grado (e quelle eventualmente successive), ma non l’atto amministrativo che – come noto – non è un atto processuale, bensì l’oggetto dell’impugnazione (cfr. Cass. Sez. 5, 20/04/2021, n. 10288; Cass. n. 9521 del 2017; Cass. n. 15589 del 2013; n. 22548 del 2012)”.
Ed ancora “Quanto alla specificità del diverso regime operante in sede tributaria, rispetto a quello civilistico, questa Corte ne ha chiarito la ragione, evidenziando che “nel giudizio tributario, l’omessa riassunzione della causa davanti al giudice di rinvio determina l’estinzione del processo, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 63, comma 2, e la definitività dell’avviso di accertamento impugnato, sicché il termine di prescrizione della pretesa tributaria, necessariamente incorporata nell’atto impositivo, decorre dalla data di scadenza del termine utile per la non attuata riassunzione, momento dal quale l’Amministrazione finanziaria può attivare la procedura di riscossione“. Quanto alle ragioni che giustificano, nel processo tributario, la deviazione dalla regola generale di cui all’art. 2945, comma 3, le stesse vanno individuate nei seguenti elementi di specialità:
1. la natura impugnatoria del medesimo e, in particolare, la natura amministrativa, e non processuale, rivestita dall’atto impositivo, il quale costituisce non atto di impulso del processo, ma il suo oggetto (Cass. 21143/15; 16689/13; 5044/12);
2. la conseguente definitività che deriva all’atto impositivo dall’estinzione del giudizio di impugnazione contro di esso proposto dal contribuente;
3. l’irrazionalità di una soluzione che, ritenendo applicabile anche al processo tributario il disposto generale di cui all’art. 2945, comma 3, verrebbe a far decorrere la prescrizione, a carico dell’amministrazione finanziaria, da una data (l’introduzione del giudizio) antecedente alla definitività dell’atto impositivo che realizza (“incorpora”) la pretesa tributaria medesima; con la conseguenza paradossale che il titolo dell’imposizione potrebbe risultare ineseguibile (perché estinto per prescrizione) ancor prima di essere divenuto definitivo;
4. l’insussistenza, nel processo tributario, della ratio ispiratrice l’art. 2945, comma 3, dal momento che, proprio per la sua natura impugnatoria e per la definitività che l’atto impositivo assume per effetto dell’estinzione del giudizio in caso di mancata riassunzione, è il solo contribuente ad avere interesse alla riassunzione sicché, diversamente argomentando sulla base della regola generale, l’eliminazione dell’effetto sospensivo della prescrizione in pendenza di un giudizio tributario – che poi si estingua per mancata riassunzione opererebbe a favore proprio della parte processuale (il contribuente) che, mostrando disinteresse per la coltivazione del giudizio, ha consentito che l’atto impugnato divenisse definitivo;
5. il regime della riscossione frazionata in pendenza di giudizio, D. Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 68 non è dirimente in senso contrario alla soluzione qui accolta, posto che: se è ammessa, e nei limiti in cui lo è (sentenze intermedie favorevoli all’amministrazione finanziaria), la riscossione frazionata non realizza in via definitiva la pretesa tributaria (sussistendo, in caso di diverso esito finale del giudizio, l’obbligo di restituzione al contribuente delle somme da questi medio tempore pagate), ma opera sul piano meramente anticipatorio ed interinale degli effetti di un accertamento giudiziale ancora in itinere; se, al contrario, la riscossione frazionata non è ex lege ammessa (sentenze intermedie favorevoli al contribuente), sussiste un impedimento di diritto alla realizzazione della pretesa, con conseguente mancato decorso, per regola generale, del termine prescrizionale (cfr. Cass. Sez. 5, sentenza 18/11/2016, n. 23502).
Ferme tali premesse, nel caso di specie l’atto impositivo (avviso di accertamento) è, quindi, divenuto definitivo in mancanza della riassunzione del giudizio innanzi al giudice del rinvio, talché la cartella di pagamento emessa dall’Ufficio appare del tutto legittima.
La mancata riassunzione non poteva peraltro determinare il passaggio in giudicato della sentenza riformata, ma causava l’estinzione dell’intero giudizio, ai sensi degli artt. 392 e 393 c.p.c., che disciplinano specificamente il giudizio di rinvio cui non è applicabile la disposizione di cui all’art. 338 c.p.c., dettata per la diversa ipotesi del procedimento di impugnazione.
Ne consegue che l’estinzione dell’intero processo implica il venir meno dell’efficacia di tutte le precedenti pronunce, poiché al giudizio di rinvio non è applicabile l’art. 338 c.p.c. secondo cui l’estinzione del processo di appello determina il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, come chiarito peraltro anche da questa Corte con sentenza n. 17372 del 6 dicembre 2002, secondo cui la pronuncia di estinzione del giudizio comporta ex art. 393 c.p.c. il venir meno dell’intero processo ed, in forza dei principi in materia di impugnazione dell’atto tributario, la definitività dell’avviso di accertamento e quindi l’integrale accoglimento delle ragioni erariali”.
3.1 Ne consegue, quindi, che “il termine di prescrizione (come quello di decadenza) della pretesa tributaria, incorporata nell’atto impositivo, decorre dalla data di scadenza del termine utile per la non attuata riassunzione, momento dal quale l’Amministrazione finanziaria può attivare la procedura di riscossione (cfr. ex plurimis, Cass. nn. 5044/2012, 556/2016, 23922/2016, 9521/2017)” (Cass. civ., sez. V, 18/07/2022, n. 22498).
3.2 Ciò premesso, va osservato che (Cass. civ., sez. V, 08/03/2022, n. 7444) “ai fini della tempestiva notificazione del primo atto di esazione tributaria i termini di decadenza, di cui all’art. 25 del d.P.R. n. 602 del 1973, iniziano a decorrere da quando la pretesa tributaria è divenuta definitiva e pertanto, ove a seguito di pronuncia di cassazione con rinvio, la definitività dell’accertamento fiscale dipenda dalla mancata riassunzione del giudizio ad opera delle parti, il termine di decadenza inizierà a decorrere da quando il giudizio si è estinto, essendosi esaurito il tempo utile per provvedere alla riassunzione, rimanendo a tal fine irrilevante il potere dell’Amministrazione finanziaria di procedere ad esecuzione parziale provvisoria in corso di causa di accertamento, ed anche la disciplina delle cause di sospensione ed interruzione proprie non della decadenza, bensì della prescrizione”.
3.3 Tale termine di estinzione del giudizio per mancata riassunzione va individuato al giorno 21/04/2016 poiché la sentenza della Suprema Corte n. 4587 è stata pubblicata in data 06/03/2015 e, quindi, ratione temporis, da tale data va aggiunto un anno e quarantasei giorni e, conseguentemente, la cartella di pagamento doveva essere notificata, a pena di decadenza, entro il 31/12/2018 a mente dell’art. 25-I co. lett. c) del D.P.R. n. 602/1973 il quale prevede che:
1. Il concessionario notifica la cartella di pagamento al debitore iscritto a ruolo o al coobbligato nei confronti dei quali procede, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre:
c) del secondo anno successivo a quello in cui l’accertamento è divenuto definitivo, per le somme dovute in base agli accertamenti dell’ufficio”.
3.4 Il Collegio, sulla base di quanto più sopra affermato, non può che constatare che sia l’esecutività del ruolo n. 2019/000XX0 che la notifica della cartella di pagamento sono successivi al 31/12/2018 (rispettivamente l’11/03/2019 e 14/10/2019) e, quindi, allorché il termine di decadenza ex art. 25-I co. lett. c) del D.P.R. n. 602/1973 si era già irrimediabilmente consumato.
4. In definitiva, l’appello va respinto con la conferma della sentenza di primo grado che ha annullato il ruolo n. 2019/000XX0 portato dalla cartella di pagamento qui impugnata.
5. Tutte le questioni testé vagliate esauriscono la vicenda sottoposta all’esame di questa Corte, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma degli artt. 112 c.p.c./53 ss. D. Lgs. n. 546/1992 e gli argomenti di doglianza non esaminati espressamente sono stati ritenuti dal Collegio non rilevanti ai fini della decisione e, comunque, inidonei a supportare una conclusione di segno diverso.
6. Il sig. E. P., nelle proprie conclusioni, ha chiesto espressamente la “condanna della stessa Agenzia al pagamento delle spese processuali relative a questo ed al precedente grado di giudizio”.
6.1 È principio consolidato di legittimità quello in base al quale in caso di conferma in appello della sentenza impugnata, la decisione di primo grado sulle spese può essere dal giudice del gravame modificata soltanto se il relativo capo della sentenza abbia costituito oggetto di specifico motivo d’impugnazione (ex multis Cass. civ., sez. V, 18/12/2018, n. 32812; Cass. civ., sez. lav., 01/06/2016, n. 11423).
6.2 Il sig. P. non ha proposto appello incidentale in ordine alla disposta compensazione delle spese nel giudizio di primo grado (avendo concluso per “rigettare l’Appello dell’Agenzia delle Entrate e conseguentemente confermare la decisione della CTP appellata”) per cui le sole spese di lite del presente grado seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo tenuto conto dello scaglione di riferimento sulla base dell’effettivo valore della controversia, delle caratteristiche, dell’urgenza e del pregio dell’attività prestata, dell’importanza, della natura, della difficoltà e del valore dell’affare, delle condizioni soggettive del cliente, dei risultati conseguiti, del numero e della complessità delle questioni giuridiche e di fatto trattate, tenendo presente che -per i dottori commercialisti- “In nessun caso le soglie numeriche indicate, anche a mezzo di percentuale, sia nei minimi che nei massimi, per la liquidazione del compenso, nel presente decreto e nelle tabelle allegate, sono vincolanti per la liquidazione stessa” (art. 1-VII co. D.M. n. 140/2012 e s.m.i.).
7. In relazione all’avvenuta decadenza delle pretese erariali di rilevante importo, così come la condanna alla rifusione delle spese di lite in favore del contribuente appellato ed a carico dell’Agenzia delle Entrate – D.P. di COSENZA di rilevante importo (seppur in misura inferiore al minimo rispetto a quanto previsto dal D.M. 140/2012 per i dottori commercialisti), la Corte dispone la trasmissione degli atti del presente procedimento alla PROCURA REGIONALE DELLA CORTE DEI CONTI della CALABRIA in CATANZARO per gli eventuali provvedimenti di competenza poiché l’Agenzia delle Entrate – D.P. di COSENZA, nella persona del responsabile del procedimento di iscrizione a ruolo Dott. P. D., come risulta dall’esame della cartella di pagamento qui impugnata, ha emesso il ruolo ivi contenuto solamente in data 11/03/2019 e, quindi, successivamente al termine decadenziale del 31/12/2018.
7.1 Il danno per l’Erario, infatti, è diretta conseguenza della condotta omissiva del responsabile del procedimento di iscrizione a ruolo il quale ha iscritto con ritardo gli importi risultanti dall’avviso di accertamento, nel frattempo divenuto definitivo per mancata riassunzione dopo la pronuncia della Suprema Corte, causando la decadenza della pretesa tributaria.
7.2 L’art. 28 Cost. prevede, infatti, che “I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti”.
7.3 Sul punto è stato ripetutamente chiarito che “l’atto di accertamento costituisce prova dell’esistenza e dell’ammontare del danno, ferma la facoltà del responsabile di provare l’insussistenza dei presupposti di fatto e di diritto dell’obbligazione tributaria ovvero il minore importo della stessa” (ex multis Corte Conti, sez. giur. Regione Siciliana, 07/08/2020, n. 426) oltre, naturalmente, all’importo delle spese di giudizio liquidate.
8. Per gli stessi motivi di cui sopra, la Corte dispone la trasmissione degli atti del presente procedimento all’AGENZIA DELLE ENTRATE – DIREZIONE CENTRALE DELLE RISORSE UMANE affinché valuti gli eventuali profili di competenza, ivi compresi quelli disciplinari, in relazione alla vicenda per cui è causa.
La Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Toscana – VI sezione, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza, eccezione e difesa disattesa e respinta, così provvede:
– respinge l’appello dell’AGENZIA DELLE ENTRATE – D.P. di COSENZA e, per l’effetto, conferma l’impugnata sentenza;
– condanna l’AGENZIA DELLE ENTRATE – D.P. di COSENZA alla rifusione delle spese del giudizio del presente grado, che liquida in Euro 30.000,00 oltre C.P. ed IVA se ed in quanto dovuti;
– dispone la trasmissione degli atti del presente procedimento alla PROCURA REGIONALE DELLA CORTE DEI CONTI della CALABRIA in CATANZARO per gli eventuali provvedimenti di competenza sulla base di quanto esposto in motivazione;
– dispone la trasmissione degli atti del presente procedimento all’AGENZIA DELLE ENTRATE – DIREZIONE CENTRALE DELLE RISORSE UMANE per gli eventuali provvedimenti di competenza sulla base di quanto esposto in motivazione.
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