Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado dell’Emilia-Romagna, sezione n. 14, sentenza n. 113 depositata il 23 gennaio 2023
Inerenza dei costi deducibili – natura del contratto
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La sentenza emessa dalla CTP di Forlì deve essere riformata.
Quanto alla ricostruzione fattuale, riportandosi all’ampia esposizione dei fatti di cui alla sentenza impugnata, basti qui riassuntivamente esporre che nel giudizio di prime cure la ricorrente parte privata, impugnando gli avvisi di accertamento per gli anni 2012 e 2013 coi quali venivano accertate maggiori imposte IRES ed IRAP oltre interessi e sanzioni (rispettivamente per 165.655,00 e 113.726,60 euro) contestava l’erronea valutazione operata dall’Agenzia delle Entrate che aveva escluso la riconducibilità dei costi determinati dalla perdita netta sui contratti di swap alla tipologia di costi da contratti derivati che, ex artt. 109 e 112 T.U.I.R., possono consentire la deducibilità di detti oneri fuori bilancio, ritenendo detti costi non inerenti all’attività della società.
La ricorrente evidenziava che il contratto di ‘interest rate swap1” concluso dalla G. SPA con U. derivava da contratti sottoscritti dalla società per far fronte agli oneri derivanti da finanziamenti in essere.
In tal modo quindi la perdita netta di ? 266.500,00 (imputata agli anni 2012 e 2013 rispettivamente per 87.395,00 e ? 179.105,00) era data dalla differenza tra il mark to market accumulato sui contratti precedenti, con una sostanziale continuità e correlazione con la gestione finanziaria della società sì da rendere del tutto infondato il rilievo di una non attinenza all’attività dell’impresa.
Nel suo avviso di accertamento l’Agenzia delle Entrate – ricostruita l’operazione finanziaria oggetto di contestazione ed illustrate le specifiche caratteristiche della tipologia di contratti in esame rilevava che, secondo le definizioni ricavate dalla circolare n. 166 del 30 luglio 1992 della Banca d’Italia il contratto di “interest rate swap” (IRS) viene definito” il contratto derivato con il quale le parti si impegnano a versare o a riscuotere a date prestabilire importi determinati in base al differenziale di tassi di interesse diversi” costituendo una species del più ampio genus delle operazioni fuori bilancio cui appartengono i contratti derivati senza titolo sottostante collegati a tassi d’interesse, a indici o ad altre attività.
La caratteristica di tali contratti è l’alea essendo l’incertezza dell’an e del quantum il dato essenziale dell’accordo.
Esaminato il contratto IRS concluso da G. SPA con U l’Agenzia ne concludeva che, seppur indicato dall’ente bancario contratto di copertura, esso non avrebbe tale funzione essendo in realtà volto a procrastinare nel tempo i valori di mercato negativi dei precedenti contratti risolti.
L’accordo contrattuale concluso con U. si configurerebbe come una scommessa sul rialzo dei tassi Euribor 6, scommessa ritenuta dall’agenzia perdente in partenza, dunque impossibile da classificare come un contratto di copertura.
Conseguenza di questa affermazione risulta, a giudizio dell’Agenzia delle Entrate, la non classificabilità del contratto quale interest rate wasp nella definizione sopra riportata e quindi l’impossibilità di applicare ad esso l’art. 112 TUIR.
I costi inoltre non sarebbero inerenti alla luce dei canoni di cui all’art. 109 del TUIR, che richiede la necessaria connessione del costo all’impresa, intesa come all’attività d’impresa volta alla produzione di ricavi.
Nel giudizio di primo grado il ricorso di parte privata era accolto per due ordini di motivi:
1. le considerazioni sviluppate dall’Ufficio, fondate essenzialmente sulla definizione (o meglio ridefinizione) in senso tecnico giuridico del contratto IRS concluso tra la ricorrente ed U. e definito con la transazione del febbraio 2013 da cui derivavano le perdite ripartite tra il 2012 e il 2013 risultano, nei passaggi essenziali, distaccarsi dal dato obiettivo, documentale allegato dalla contribuente e precisamente dalla definizione data dalle stesse parti (G. SPA e U.) al contratto. Si tratta di un dato testuale che l’Ufficio esplicitamente afferma di rilevare ma al contempo di non riconoscere come reale, nel momento in cui l’Agenzia delle Entrate attribuisce al contratto IRS un’altra definizione giuridica;
2. ci si trova al cospetto di un accertamento fondato esclusivamente su valutazioni quanto al giudizio, altrettanto centrale, circa l’inerenza dei costi (ex art. 109 TUIR) laddove, contraddittoriamente, si riconosce come questi costi siano stati effettivamente sostenuti dalla parte e tuttavia la si qualifica non inerenti in quanto fin dall’inizio prevedibili, anzi calcolati. In tal modo l’operazione motivazionale a fondamento dell’accertamento pare incentrarsi su un giudizio di disvalore circa la prospettiva, si afferma inesistente, di procurare benefici alla società dal che conseguirebbe la non inerenza all’attività dell’impresa. Diversamente, e come documentato ed argomentato da parte ricorrente con puntuale riferimento ad elementi di fatto che lo stesso Ufficio riconosce come sussistenti, ci si trova al cospetto di costi reali, conseguenti alla definizione di un contratto di interest rate swap a sua volta sottoscritto da G. SPA per far fronte ai problemi derivati dall’eccessiva onerosità su precedenti contratti derivati che a loro volta riguardavano finanziamenti alla società, sicché risulta la sussistenza di costi chiaramente inerenti all’attività d’impresa nei termini richiesti dall’art. 109 TUIR.
Proponeva appello la soccombente agenzia sostenendo l’erroneità delle conclusioni raggiunte in sentenza circa
– la preminenza del dato letterale del contratto rispetto ai reali effetti da esso conseguiti;
– l’effettivo sostenimento dei costi relativi, che di per sé sarebbe sufficiente a configurarne l’inerenza e quindi la deducibilità.
Quanto al punto sub 1 argomentava che la definizione data al contratto dalle parti (G. SPA e U.) non era reale, essendo dato ben noto, e di comune esperienza, che, indipendentemente da una certa veste formale, spesso i contratti svolgono una funzione differente da quella che appare. Non a caso il legislatore, nel dettare le norme tributarie, pone particolare attenzione a descrivere dettagliatamente proprio gli effetti reali delle operazioni poste in essere per ricollegarvi, nella maniera più precisa possibile, le norme stesse. E proprio il caso dell’art. 112 TUIR, che individua, tra i contratti considerati, quelli assoggettati alla disciplina fiscale ivi contenuta anche sulla base delle finalità (cfr. commi 4 e 5), dettando anche norme di tipo interpretativo (comma 6).
Richiamava quindi l’art. 1362 c.c. relativo all’interpretazione del contratto.
Quanto al punto sub 2 – rapporto tra effettivo sostenimento del costo ed inerenza -sottolineava come in sentenza vi fosse stata una sostanziale sovrapposizione tra l’effettivo sostenimento dei costi e la deducibilità, affermazione non corretta posto che l’art. 109 TUIR richiede non solo l’effettivo sostenimento del costo, ma pure la riconducibilità del costo all’attività d’impresa e la sua idoneità a generare, anche solo potenzialmente, ricavi, rientrando nei costi inerenti l’attività dell’impresa, anche costi che non sono correlati specificamente ai ricavi, ma riferiti al più ampio concetto di attività esercitata.
Era richiamata la giurisprudenza di legittimità “L’inerenza del costo ai fini della deducibilità assume rilevanza in quanto correlato a un’attività d’impresa potenzialmente idonea a produrre utili – L’inerenza del costo ai fini della detraibilità richiede la prova del contribuente della coerenza economica della spesa strumentale all’attività dell’impresa”. Sentenza n. 1544 del 20 gennaio 2017 (udienza 10 gennaio 2017) Cassazione civile, sezione V.
Argomentava l’Ufficio che nel caso specifico non vi era inerenza poiché i costi disconosciuti si riferivano a contratti aventi la funzione di procrastinare nel tempo i valori di mercato negativi dei precedenti contratti risolti, mancando della aleatorietà che dovrebbe connotare quel tipo di contratti.
Ed ancora: nel caso concreto la mancanza di aleatorietà si è tradotta, nel risultato sicuramente negativo dell’operazione negoziale. Risultato negativo che, è bene ribadirlo, era già individuabile ab origine, al momento della stipulazione dell’accordo. Tale dirimente circostanza esclude di per sé l’attitudine del costo di produrre un qualsiasi beneficio per l’impresa e, dunque, qualsiasi possibile inerenza all’attività d’impresa.
Mancando l’alea fin dalla stipula del contratto, viene meno il requisito della copertura di cui all’art. 112 del TUIR, nonché la prescritta correlazione all’attività di impresa con ricavi, anche possibili, indeterminati nell’an e nel quantum, che legittima la deducibilità del costo sostenuto ai sensi dell’art. 109 del citato TUIR.
A supporto delle proprie argomentazioni era riportato un passaggio del contratto bancario:
“a pagina 2 del contratto dove viene specificato che “il cliente dichiara e riconosce di essere consapevole che, nel momento immediatamente successivo al pagamento dell’importo Upfront il valore di mark to market della nuova operazione risulterà negativo, a sfavore del cliente medesimo e di entità indicativamente parti o superiore all’importo Upfront”. Giova, altresì, ricordare che l’operazione di cui si discute pone a confronto un tasso parametro banca pari a 3,46 (euribor 6 mesi da interrogazione storico su internet) e un tasso parametro cliente crescente con un valore iniziale pari a 4,3%, più elevato rispetto a quello della banca di 0,84%; tutto ciò non può che generare dei risultati negativi” nonché la memoria prodotta dal privato a seguito della richiesta di chiarimenti da parte dell’Ufficio, in cui si precisava “gli swap rate negli esercizi 2006 e seguenti, vennero suggeriti e ‘spinti’ da alcune banche ed in particolare da U., che come si seppe successivamente, tendeva a ridurre il rischio delle banche stesse in quanto vendevano un prodotto acquisito sul mercato e incassavano commissioni certe. Tale credito pur facendo parte del fido complessivo concesso veniva visto in modo diverso per la ragione sopra esposta.
Generalmente gli swap rate consistevano nell’individuazione di un tasso fisso che eliminava per le società il pericolo di forti oscillazioni dei tassi e permetteva una ponderata programmazione aziendale, sostanzialmente la ragione primaria per il ricorso a tali operazioni.
Dopo una iniziale convenienza i tassi di mercato diminuirono nettamente penalizzando in modo evidente non solo la nostra società, ma tutti coloro che erano ricorsi a tali operazioni, non ultimi i maggiori comuni ed enti pubblici italiani che a tale operazione avevano fatto ricorso”.
Conclusivamente, argomentava l’appellante “dalla lettura del contratto e dagli elementi contenuti nella memoria prodotta dalla swap” (abb. IRS) a copertura degli oneri dei rilevanti finanziamenti cui ricorre usualmente per esercitare tale attività.
Sosteneva la parte privata che le argomentazioni dell’appello dell’Ufficio basate sull’assenza di aleatorietà e sulle clausole del contratto del 8.9.2006 non potevano essere valutate “perché rappresentano una surrettizia e contraddittoria integrazione della motivazione degli atti impugnati, che invece, come noto, una volta emessi l’Ufficio deve limitarsi a difendere (ad es. v. Cass., sez. V, n.
9810/2014 e Cass., sez. V, n. 6103/2016). Soprattutto nel caso di specie, nel quale negli atti impugnati l’Agenzia si è limitata a trascrivere integralmente le pag. 12/21 del PVC. Tale integrazione è surrettizia, perché le pag. 11 ss. dell’appello riportano ragioni e clausole contrattuali non richiamate negli avvisi di accertamento.
L’ufficio inoltre quanto alla lettera i) dell’accordo dell’8.9.2006, non considerava che l’addebito della perdita in partenza di contratto è la conseguenza logica della decisione della parte di ripartire in un più lungo periodo le perdite conseguite con i precedenti contratti (di cui la perdita addebitata 18.9.2006 è espressione), la somma delle quali è l’importo Upfront di ? 396.000 pagato dalla banca come previsto dallo stesso contratto.
L’appello sarebbe inoltre contraddittorio, posto che gli accertamenti si basano sull’asserita natura speculativa (e non di copertura) dei contratti IRS in esame mentre l’Ufficio contesta la CTP asserendo
che tali contratti sarebbero sostanzialmente privi di alea. L’ufficio andrebbe contro l’evidenza dei fatti sostenendo la propria pretesa imputando alla G. S.p.a. di aver utilizzato i contratti derivati per ragioni estranee alla propria attività e con il solo preciso scopo di generare perdite da dedurre indebitamente contro le finalità della legge fiscale.
Si tratta in realtà di perdite “vere” perché effettivamente sostenute dalla G. S.p.a.
La rinegoziazione aveva avuto lo scopo – evidente e non speculativo, ma economico – di rinviare e ripartire nel tempo la rilevante perdita generata dai precedenti contratti di IRS per consentirne un meno traumatico assorbimento nei conti della società.
Concludeva parte privata affermando che – come statuito in primo grado – ciò che conta è che nella sostanza i contratti in esame sono stati effettivamente voluti come tali dalle parti (art. 1362 c.c.) e – a seguito dell’andamento dei tassi di interesse – hanno generato una perdita riassunta in quello del 8.9.2006 transatto il 26.2.2013 che si è aggiunta alle altre analoghe perdite che hanno influito sul 2012.
Nessuna norma giuridica, aggiungeva il resistente, consente di disconoscere la deduzione di un costo perché un contratto – di cui sono incontestati sia il contenuto, sia le passività generate – sarebbe “inidoneo a condurre a risultati positivi”, anche perché tale conclusione non è provata e non tiene conto che nessun imprenditore conclude un contratto se non si aspetta dei benefici, pur aleatori.
Le argomentazioni dell’Ufficio inoltre, sosteneva il resistente, non spiegano l’elemento essenziale della questione, vale a dire per quale parte, sebbene sotto il profilo formale il contratto venga presentato dalla banca (come dichiarato dal contribuente) come un contratto di copertura, esso non svolge nei fatti tale funzione, bensì ha la prerogativa di procrastinare nel tempo i valori di mercato negativi dei precedenti contratti risolti. Prova ne è la mancanza di aleatorietà dei risultati da conseguire con la nuova operazione, come ribadito alla pagina 2 del contratto “il cliente dichiara e riconosce di essere consapevole che, nel momento immediatamente successivo a pagamento dell’importo Upfront il valore di mark to market della nuova operazione risulterà negativo, a sfavore del cliente medesimo e di entità indicativamente parti o superiore all’importo Upfront.
Al contrario di quanto eccepito, la fattispecie in esame si configura come una scommessa sul rialzo dei tassi Euribor 6 mesi che non evidenzia alcuna finalità di copertura, espressamente individuata dall’art. 112, comma 6, del TUIR.
Riscontrato, infatti, un andamento storico dell’Euribor 6 mesi inferiore sistematicamente ai valori indicati dalla società come parametro cliente, il contratto non poteva che generare una perdita certa nel tempo, atta a ridistribuire nella durata del nuovo contratto il vecchio debito della società sorto dal valore di mercato della rinegoziazione dei precedenti contratti.
Così come rappresentata è evidente la totale assenza dell’alea necessaria per configurare il contratto di interest rate swap” (IRS).
A evidente che l’operazione di cui si discute è stata strutturata al solo fine era di effettuare una nuova operazione inglobando nel nuovo debito quello che la società aveva contratto con la banca alla data di risoluzione anticipata.
Concludeva rappellante affermando che la c.d. finalità di copertura non è condizione prevista dall’art. 112 del TUIR, non essendo inoltre deducibili costi sostenuti in relazione a strumenti finanziari che, già in partenza, si sa che non porteranno ad alcun beneficio all’attività di impresa.
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Si costituiva il privato deducendo la correttezza del proprio operato, così come riconosciuto in primo grado, vertendosi di costi deducibili, non riconosciuti come tali solo per una scorretta riqualificazione
giuridica dei contratti, aventi finalità di copertura o speculativa, non essendo stato valutato inoltre che le perdite conseguite dalla G. S.p.a. sotto forma di differenziali negativi derivanti da un contratto di interest rate swap su tassi di interesse (SWAP50191UB) sono state effettivamente addebitate dalla banca alla società.
Era da respingere la tesi dell’Ufficio per cui le rilevanti perdite generate nel tempo dai contratti in esame fossero state sostenute per il solo scopo di beneficiare della deduzione dal reddito.
La G. S.p.a. avrebbe concluso in contratti in esame per “coprirsi” contro il rischio di aumento del tasso variabile previsto dal contratto di finanziamento che andasse oltre il tasso fisso indicato nel contratto di finanziamento di ? 6.000.000.
La società commerciando all’ingrosso carni commestibili e prodotti ittici congelati è usa sottoscrivere contratti derivati di “interest rate ragione un imprenditore dovrebbe concludere consapevolmente un contratto che ritenesse con certezza produttivo di passività, a meno di supporre trattarsi di un contratto fittizio finalizzato a generare indebite deduzioni, ma questo non era contestato negli accertamenti impugnati, nei quali l’effettività del contratto e della perdita che esso ha generato sono incontestate.
Era da respingere anche il secondo motivo di appello dell’Ufficio (“Sul rapporto tra effettivo sostenimento del costo e inerenza” L’Ufficio disconosce la deduzione della perdita derivante dai contratti di IRS in oggetto, sostenendo che avrebbero certamente generato perdite e per questa ragione la perdita in esame non sarebbe inerente. Affermava il resistente trattarsi di considerazioni infondate in fatto e in diritto. In fatto, perché il contratto – liberamente concluso fra le parti nel 2006 e transato nel 2013 – stabiliva a quali condizioni gli oneri erano a carico della Banca ovvero della G. S.p.a.
L’Ufficio non spiegava per quale ragione la G. S.p.a. avrebbe concluso il contratto se fosse stato ritenuto totalmente sconveniente.
Non vi erano inoltre motivi per impedire al privato di rinegoziare contratti in perdita in sede transattiva definendo l’impatto della perdita, trattandosi di condotta coerente con l’attività di corretta gestione delle imprese.
Conclusivamente chiedeva respingere la tesi dell’Ufficio per cui:
1. il contratto di Interest rate swap di cui si discute, non sarebbe aleatorio e sarebbe stato concluso dalla G. S.p.a. con la certezza di generare una perdita.
2. per tale ragione la perdita addebitata alla G. per effetto di tale contratto a seguito della transazione del 26.2.2013 non sarebbe inerente.
Questo in quanto i dati oggettivi ed incontestati sono che:
1. i contratti IRS in esame erano stati conclusi per far fronte alle oscillazioni dei tassi di interesse passivi previsti dai contratti di mutuo accesi per finanziare l’attività caratteristica della G. S.p.a., peraltro società operativa da anni protagonista del proprio settore di attività.
2. i contratti in essere nel 2012 e nel 2013 avevano generato una perdita complessiva netta, quale è stata definita con la transazione del 26.2.2013 in misura pari a (296.500,00 – 30.000,00) = € 266.500,00 ed imputata al 2012 per € 87.395,00 ed al 2013 per € 179.105,00, oltre alle altre perdite da IRS che concorrono al totale di € 255.819,00 recuperato a tassazione per il 2012
3. indipendentemente dalla finalità e dalla qualifica formale del contratto che l’aveva generata, detta perdita era da valutarsi inerente perché incontestata, se non addirittura ovvia, la sua connessione all’attività della G. S.p.a. Gli atti di causa dimostrerebbero infatti che tutti i contratti di IRS sono stati conclusi a fronte del rischio di oscillazioni del tasso variabile dei mutui concessi alla G. per l’esercizio della propria attività commerciale e l’art. 109, comma 5, Tuir prevede che “le spese e gli altri componenti negativi sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi che concorrono a formare il reddito ….”, attività che nel caso di specie è l’attività di commercio all’ingrosso di carni animali e di prodotti alimentari che storicamente e per oggetto social rappresenta l’unica attività esercitata dalla G. S.p.a.
4. la deduzione delle perdite di cui si discute non potrebbe essere disconosciuta nemmeno richiamando l’art. 112 Tuir. Infatti, anche riconducendo il contratto in esame a tale previsione, la finalità di copertura su cui insiste sull’Ufficio sarebbe un falso problema perché a tale finalità la norma in esame non riconduce l’indeducibilità del costo, ma una differente ripartizione temporale degli oneri generati dai contratti derivati, a seconda che il contratto abbia o meno la suddetta finalità di copertura. Ma gli atti impugnati non hanno mai contestato l’imputazione temporale della perdita limitandosi a sostenere che essa non sia inerente.
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Riassunti così i motivi di ricorso e le controdeduzioni, deve anzitutto non accogliersi la questione proposta da parte resistente circa la non utilizzabilità delle argomentazioni dell’appello dell’Ufficio basate sull’assenza di aleatorietà e sulle clausole del contratto del 8.9.2006 “perché rappresentano una surrettizia e contraddittoria integrazione della motivazione degli atti impugnati, che invece, come noto, una volta emessi l’Ufficio deve limitarsi a difendere (ad es. v. Cass., sez. V, n. 9810/2014 e Cass., sez. V, n. 6103/2016), poiché nel caso di specie non sono poste a base della pretesa dell’Ufficio ragioni diverse da quelle già contestate, essendo questo il limite definito dalla giurisprudenza di legittimità richiamata da parte resistente.
A questo poi si aggiunga che trattasi di atti ben noti al contribuente, che proprio su detti atti ha instaurato un contraddittorio con l’ufficio, come attesta la memoria difensiva riportata nell’atto di appello.
Il combinato disposto di tali argomentazioni è che non possono trovare ingresso le doglianze del ricorrente, non venendosi nel caso in esame di allegazione non consentita di elementi nuovi, sconosciuti inoltre alla parte privata, bensì di un ulteriore argomentare che l’ufficio fa per confortare la fondatezza della propria pretesa, che è sempre quella ovvero disconoscere i costi perché non inerenti e derivanti da contratto non qualificabile giuridicamente come affermato dalle parti, allegando a tal fine documenti già prodotti dalla parte privata nel contraddittorio che ha preceduto l’impugnato avviso.
Quanto ai contratti derivati:
– le varie figure di contratti derivati sono connotate dalla caratteristica di legare il valore del contratto al valore di un “sottostante” di riferimento (indici, valute, commodity) che è esso stesso soggetto a oscillazioni dovute agli effetti della domanda e offerta di tale bene nel mercato di appartenenza. E’ tale circostanza a giustificare il fatto che il valore del contratto derivato non risulti determinabile a priori stante la non conoscenza dei prezzi futuri del sottostante; trattasi quindi di contratti aleatori
– I contratti derivati sono presi in considerazione dal legislatore fiscale all’articolo 112 del Tuir, dove, al comma 1, si afferma che tali contratti rappresentano operazioni fuori bilancio la cui valutazione concorre a formare il reddito d’esercizio (comma 2). Le operazioni fuori bilancio ineriscono a contratti che, seppur già perfezionati alla chiusura dell’esercizio, non sono ancora stati eseguiti da alcuno dei contraenti ovvero hanno fatto scaturire diritti ed obblighi non immediatamente iscrivibili tra le attività e passività dello stato patrimoniale.
Trattasi di operazioni che sono riepilogate nei conti d’ordine o nella nota integrativa e non influenzano i conti annuali, non dovendo presentare necessariamente una immediata manifestazione numeraria.
Le funzioni proprie di tali strumenti possono essere esclusivamente tre: di negoziazione; di copertura; di finanziamento.
La valutazione della legittimità fiscale di tali strumenti, cioè la deducibilità fiscale dei costi da essi scaturenti, si è detto dalla dottrina, non può che essere condotta con riferimento a tali funzioni “fisiologiche”, ciò in considerazione del combinato disposto degli articoli 109 e 112 del Tuir, laddove da una parte si disciplina esplicitamente la funzione di copertura (ai commi 4, 5 e 6 dell’articolo 112), e dall’altra si ribadisce, non prevedendo deroghe sul punto, il principio di inerenza dei costi per attività da cui scaturiscono ricavi (al comma 5 dell’articolo 109
Dall’assenza di una definizione nella norma fiscale, deriva che la concreta individuazione dei diversi tipi contrattuali non può che essere condotta con riferimento alla prassi di settore ed ai regolamenti civilistici.
I derivati, al pari di tutti i contratti, devono essere interpretati alla luce delle norme ermeneutiche dell’ordinamento sì da individuarne le funzioni economico-sociali caratteristiche.
Se l’analisi della struttura economica del contratto riveli come non siano riscontrabili i caratteri tipici della species (in primis, la componente aleatoria) si pone il problema di giungere a qualificare diversamente il contratto stesso al fine di evidenziarne la legittimità o meno.
L’effetto della riqualificazione civilistica riverbera i suoi effetti anche sul piano fiscale, nella misura in cui dal disconoscimento della qualifica contrattuale attribuita dalle parti emergano profili di criticità riguardo alla deduzione dei costi per esso sostenuti.
Invero, in difetto di correlazione costi-ricavi, non potrà essere riconosciuto rilievo fiscale al componente negativo di reddito associato al contratto in esame e da esso scaturente.
Il problema che si pone quindi – anche nel caso di specie – è quello di qualificare giuridicamente (e per l’effetto anche fiscalmente) un contratto ed accertare se, sotto la veste formale di derivato, esso presenti o meno i requisiti propri della species, nell’ipotesi, in particolare, di assenza della componente aleatoria.
Trattasi di evenienza riscontrabile ogni volta in cui le previsioni contrattuali siano tali da consentire a priori di conoscere il risultato dell’operazione (almeno dal punto di vista dell’an se non del quantum). Se dalla lettura del contratto dovesse emergere che una delle parti trae solo vantaggi e l’altra solo oneri, detto contratto non potrà definirsi aleatorio ed essere valutato quale contratto derivato, indipendentemente dal nome che gli abbiano dato le parti.
Va rammentato che non si verte di contratto aleatorio qualora al perfezionamento del contratto ciascuna delle parti abbia avuto la possibilità di valutare il proprio rispettivo sacrificio e vantaggio, né basta a rendere aleatorio un contratto il rischio che riguarda le possibili variazioni in merito al costo e al valore delle prestazioni, poiché questo rappresenta l’alea normale del contratto. Nei contratti aleatori, invece, l’incertezza è parte essenziale del contratto.
Tanto premesso, si è specificato dalla dottrina di settore che tale struttura contrattuale deve essere vagliata alla luce del principio di inerenza “nella misura in cui i costi sostenuti per esso non risultano a priori idonei a produrre alcun risultato positivo per l’impresa”.
Come rilevato dalla dottrina, la legittimità della deduzione di costi non può essere condotta a posteriori sulla base dei risultati dell’operazione posta in essere, ma deve essere valutata sulla base degli elementi di fatto riscontrabili al momento di “concepimento” della stessa.
E’ evidente, quindi, che se già al momento di sottoscrivere un contratto questo sia di per sé inidoneo a condurre a risultati positivi, la deduzione dei relativi costi appare illegittima.
Si è al riguardo precisato che mascherare l’aleatorietà di un contratto sulla esclusiva considerazione del quantum realizzato (anche con segno negativo), trascurando l’an, non sembra conforme alle norme civilistiche e fiscali.
In altri termini, se non è lecito disconoscere la deducibilità di costi sostenuti in operazioni che, a posteriori, si sono rivelate un cattivo affare”, non appare lecito sostenere la deducibilità qualora il “cattivo affare” sia ben visibile fin dall’atto di sottoscrizione del contratto derivato.
Riportando le considerazioni svolte al caso in esame, se ne deriva che la sentenza di primo grado va riformata, e per l’effetto affermata la legittimità degli impugnati avvisi di accertamento, poiché il contratto concluso dal privato con la banca, per il chiaro contenuto delle clausole contrattuali ” il cliente dichiara e riconosce di essere consapevole che, nel momento immediatamente successivo al pagamento dell’importo Upfront il valore di mark to market della nuova operazione risulterà negativo, a sfavore del cliente medesimo e di entità indicativamente parti o superiore all’importo Upfront” era privo dell’alea tipizzante i contratti aleatori, essendo già previsto al momento dell’accordo il risultato negativo dell’operazione negoziale.
Per l’effetto, a prescindere dal nomen juris datone dalle parti, non si ritiene trattarsi nel caso di specie di un contratto cd. derivato, ma di un contratto i cui costi non possono ritenersi deducibili in quanto non inerenti poiché già preventivati nella loro certa componente negativa.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo
P.Q.M.
La Commissione riforma l’impugnata sentenza e condanna parte soccombente al pagamento delle spese del grado che liquida in euro 5000.
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Note
1“interest rate swap” (IRS)
così descritto nell’atto di appello (IRS): il contratto derivato con il quale le parti si impegnano a versare o a riscuotere a date prestabilite importi determinati in base al differenziale di tassi di interessi diversi. Sempre secondo la norma regolamentare, tali contratti costituisco una species del più ampio genus delle “operazioni fuori bilancio”, cui appartengono i contratti derivati senza titolo sottostante collegati a tassi d’interesse, a indici o ad altre attività (futures, senza titolo sottostante, interest rate).
così descritto nelle controdeduzioni con il contratto di interest rate swap consente di trasformare in tasso fisso il tasso variabile previsto da un contratto di finanziamento e ciò avviene prevedendo la scambio economico di due flussi di interesse il soggetto finanziato (G. Spa.) riconosce al finanziatore (U. Banca S.p.a.) un tasso fisso superiore al tasso variabile del finanziamento, e contemporaneamente il finanziatore (U. Banca Spa.) riconosce al soggetto finanziato (G. Spa.) lo stesso tasso variabile del finanziamento. In tal modo, in caso di aumento del tasso variabile previsto dal contratto di mutuo (cioè il tasso contro le cui oscillazioni ci si intende coprire con il contratto IRS), il soggetto finanziato (G. Spa.) si assume il rischio di pagare la differenza nei limiti del tasso fisso, mentre in caso di ribasso dei tassi, il differenziale deve essere riconosciuto dalla banca (U. Spa.) al soggetto finanziato.