AGENZIA delle ENTRATE – Risposta n. 203 del 7 febbraio 2023
Errata applicazione dell’inversione contabile ex articolo 6, comma 9-bis3, del dlgs18 dicembre 1997, n. 471 – recupero dell’IVA non detratta
Con l’istanza di interpello specificata in oggetto, è stato esposto il seguente
Quesito
[ALFA] (di seguito istante e/o società) uno dei principali operatori a livello nazionale nel settore dei giochi e delle scommesse fa presente quanto qui di seguito sinteticamente riportato.
L’istante rappresenta di essere «[…] un concessionario dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli […]. abilitata all’esercizio e alla raccolta a distanza di giochi pubblici (c.d. giochi ”online”), ivi incluse le scommesse sportive ed ippiche, […], è presente sia sulla rete fisica dei negozi di gioco sia online.
Per effettuare la raccolta delle citate scommesse sugli eventi sportivi, […] ha acquistato da terzi una serie di servizi che sono necessari e indispensabili alla stessa raccolta. Con riferimento al trattamento Iva di detti servizi e, in particolare, con riferimento a quelli resi da fornitori comunitari ed extracomunitari, […] ha applicato, tramite il meccanismo dell’inversione contabile (reverse charge), l’Imposta sul valore aggiunto con l’aliquota ordinaria del 22%. Inoltre, a causa dell’indetraibilità dell’Iva, prevista dall’articolo 19, commi 2 e 5, del d.P.R. n. 633 del 1972, per l’acquisto di beni e servizi afferenti operazioni esenti, […] [n.d.r. l’istante] non ha potuto detrarre l’imposta relativa alle fatture intracomunitarie e autofatture relative ai predetti servizi, annotate nei registri degli acquisti, con la conseguente insorgenza di un debito nei confronti dell’Erario corrispondente all’Iva risultante dalle stesse fatture intracomunitarie e autofatture annotate anche nei registri delle vendite».
L’istante riferisce che «A seguito della pubblicazione sul sito internet […] [n.d.r. dell’Agenzia delle entrate] di alcune risposte ad istanze di interpello (n. 583 del 14 dicembre 2020 e n. 760 del 3 novembre 2021) è emerso che i servizi, che rivestono i caratteri di necessarietà e di indispensabilità per effettuare la raccolta delle giocate online, sono esenti da IVA ai sensi dell’articolo 10 del d.P.R. n. 633 del 1972.
Pertanto, è sorto il dubbio che ad analoghe conclusioni si possa pervenire anche per i servizi necessari e indispensabili alla raccolta delle scommesse sportive sia sulla rete dei negozi fisici sia online. […] [n.d.r. L’istante] ha, pertanto, presentato apposita istanza di interpello a cui è stata fornita la risposta n. […], pubblicata sul sito internet[…] con il numero 477 del 27 settembre 2022).
Nella citata risposta è stato chiarito che ”…sebbene la fattispecie in esame abbia ad oggetto le operazioni relative all’esercizio delle scommesse, giova evidenziare che, […], i servizi resi dai Fornitori, tramite le relative piattaforme informatiche, nell’ambito della gestione delle scommesse sportive, presentano caratteristiche e funzionalità analoghe ai servizi forniti da terzi nell’ambito dell’esercizio del gioco a distanza (i.e. online), in quanto, al pari di questi, elaborano e definiscono i dati necessari per consentire ai giocatori di partecipare all’evento su cui scommettere. Si è dell’avviso, che, analogamente a quanto chiarito in relazione alle operazioni relative all’esercizio dei giochi a distanza, possono essere ricomprese nell’ambito applicativo dell’ipotesi di esenzione in esame tutte le ”attività necessarie e indispensabili per effettuare la raccolta dei citati giochi”.
Nella medesima risposta [n.d.r. l’Agenzia delle Entrate] ha, però, anche precisato che ”(…) l’individuazione dei servizi (prestati dai Fornitori della società istante) che, sul piano tecnico operativo, possano considerarsi funzionali e necessari alla complessiva gestione delle scommesse sportive offerte al pubblico […], presuppone un riscontro di circostanze fattuali il cui appuramento esula dalle prerogative esercitabili […] in sede di risposta all’istituto dell’interpello. Sulla base del quadro normativo richiamato e tenendo conto della prassi esistente in materia (cfr. inter alia, risposta n. 583 del 14 dicembre 2020 e risposta n. 760 del 3 novembre 2021), spetterà, pertanto, alla società istante, appurare, sotto il profilo fattuale, quali siano, in concreto, i servizi resi dai Fornitori riconducibili tra le ”operazioni relative all’esercizio delle scommesse” esenti da IVA nel senso sopra illustrato ai sensi del richiamato articolo 10, primo comma, del d.P.R. n. 633 del 1972”».
L’istante ha, quindi, affidato ad una società di consulenza aziendale il compito di individuare quali siano i servizi necessari e indispensabili per la raccolta delle scommesse e, dunque, come tali riconducibili tra le operazioni relative all’esercizio delle scommesse esenti da IVA. Pertanto, soltanto all’esito dell’esame condotto dalla predetta società di consulenza, l’istante ha potuto determinare con esattezza quali siano le prestazioni alle quali è stata erroneamente applicata l’IVA tramite il meccanismo del reverse charge, e, di conseguenza l’IVA versata e non dovuta.
Tutto ciò premesso l’istante chiede «se sia possibile, nel termine di due anni dalla data del pagamento, presentare istanza di rimborso dell’imposta sul valore aggiunto versata e non dovuta, originata dall’erroneo assoggettamento ad Iva, tramite il meccanismo dell’inversione contabile, di prestazioni rese da operatori non residenti (comunitari ed extracomunitari), ritenute esenti Iva […]».
Infine, l’istante precisa che « […] nell’anno 2020, sebbene il modulo della dichiarazione annuale Iva relativo al settore del gioco lecito (nel quale sono comprese anche le scommesse sugli eventi sportivi) evidenziasse una percentuale di detrazione da pro-rata pari all’1% (a causa della presenza di alcune operazioni imponibili o con diritto alla detrazione), […] [n.d.r. l’istante] non ha, comunque, detratto alcun importo di Iva con riferimento ai servizi necessari e indispensabili ricevuti dai fornitori esteri (comunitari ed extracomunitari)».
Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente
In sintesi, l’istante, «per i mesi in relazione ai quali sia oramai trascorso il termine per effettuare la variazione in diminuzione ai sensi dell’articolo 26, terzo comma, del d.P.R. n. 633 del 1972, […] intende presentare apposite istanze di rimborso nel termine di due anni dai pagamenti indebitamente effettuati relativamente all’imposta concernente i servizi esenti in questione.».
A tal proposito, osserva che, «[…] le norme tributarie contenute nell’articolo 30ter, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, nell’articolo 6, comma 9bis.3, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471 e nell’articolo 21, comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, vadano interpretate nel senso che, con riferimento al caso in esame, sia possibile, nel termine di due anni dalla data di pagamento, presentare istanza di rimborso dell’imposta sul valore aggiunto versata e non dovuta, originata dall’erroneo assoggettamento ad Iva, tramite il meccanismo dell’inversione contabile, di prestazioni rese da operatori non residenti (comunitari ed extracomunitari), ritenute esenti Iva […].
[…] Nella fattispecie dell’erronea applicazione dell’Iva in reverse charge, vi è […]una perfetta simmetria in capo allo stesso soggetto tra l’Iva a credito indicata nel registro degli acquisti e l’Iva a debito annotata nel registro delle vendite. Pertanto, data l’identità fra il soggetto passivo che autoliquida l’imposta non dovuta e quello che la detrae come avviene nelle ipotesi in questione in cui l’imposta è assolta dallo stesso cessionario/committente con il meccanismo dell’inversione contabile si ritiene che non sussista alcun rischio per l’Erario. In ogni caso, il rischio di perdita del gettito fiscale risulta comunque nel caso di specie del tutto assente perché l’imposta a credito non è stata recuperata.
[…] In via subordinata, si ritiene che la fattispecie in questione non rientri nei casi in cui il termine per l’emissione della nota di variazione in diminuzione sia decorso per ”colpevole” inerzia del soggetto passivo».
Parere dell’Agenzia delle Entrate
Si premette che esula dalle competenze della scrivente, in risposta all’istanza in oggetto, ogni valutazione sia in merito alla correttezza dell’aliquota IVA applicata alle prestazioni di servizio ricevute, sia all’effettiva esistenza del credito IVA cui l’istante fa riferimento e alla spettanza dello stesso, restando impregiudicato qualsiasi potere di controllo da parte dell’Amministrazione finanziaria.
L’articolo 26 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 (di seguito decreto IVA), dispone che, «2. Se un’operazione per la quale sia stata emessa fattura, successivamente alla registrazione di cui agli articoli 23 e 24, viene meno in tutto o in parte, o se ne riduce l’ammontare imponibile, in conseguenza di dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili o in conseguenza dell’applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente, il cedente del bene o prestatore del servizio ha diritto di portare in detrazione ai sensi dell’articolo 19 l’imposta corrispondente alla variazione, registrandola a norma dell’articolo 25.
3. La disposizione di cui al comma 2 non può essere applicata dopo il decorso di un anno dall’effettuazione dell’operazione imponibile qualora gli eventi ivi indicati si verifichino in dipendenza di sopravvenuto accordo fra le parti e può essere applicata, entro lo stesso termine, anche in caso di rettifica di inesattezze della fatturazione che abbiano dato luogo all’applicazione dell’articolo 21, comma 7.
[…omissis…]
5. Ove il cedente o prestatore si avvalga della facoltà di cui al comma 2, il cessionario o committente, che abbia già registrato l’operazione ai sensi dell’articolo 25, deve in tal caso registrare la variazione a norma dell’articolo 23 o dell’articolo 24, nei limiti della detrazione operata, salvo il suo diritto alla restituzione dell’importo pagato al cedente o prestatore a titolo di rivalsa. […]».
Ne deriva che il cedente e/o prestatore può ”annullare, modificare o rettificare” attraverso l’emissione di un documento di segno opposto all’originaria fattura, cd ”nota di credito” un’operazione fatturata e registrata che sia successivamente venuta meno (in tutto o in parte), o di cui sia ridotto l’ammontare imponibile o l’imposta, ovvero che risulti errata, rettificando il maggior imponibile e recuperando in detrazione l’IVA a debito (importi che ha l’onere di restituire al cessionario); il cessionario e/o committente soggetto IVA, a sua volta, ha l’obbligo di computare il medesimo importo tra l’IVA a debito al fine di controbilanciare la detrazione a suo tempo effettuata con riferimento alla fattura oggetto di variazione, riversando così all’erario tale ammontare.
Le disposizioni appena richiamate si applicano anche nell’ipotesi in cui le operazioni siano soggette all’inversione contabile; il comma 10, del citato articolo 26 stabilisce, infatti, che «La facoltà di cui al comma 2 può essere esercitata, ricorrendo i presupposti di cui a tale disposizione, anche dai cessionari e committenti debitori dell’imposta ai sensi dell’articolo 17 o dell’articolo 74 del presente decreto ovvero dell’articolo 44 del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, (…). In tal caso, si applica ai cessionari o committenti la disposizione di cui al comma 5».
A tal riguardo, con specifico riferimento agli errori nell’applicazione dell’inversione contabile come quelli descritti nell’istanza, si rammenta che l’articolo 6, comma 9bis3, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, stabilisce che «Se il cessionario o committente applica l’inversione contabile per operazioni esenti, non imponibili o comunque non soggette a imposta, in sede di accertamento devono essere espunti sia il debito computato da tale soggetto nelle liquidazioni dell’imposta che la detrazione operata nelle liquidazioni anzidette, fermo restando il diritto del medesimo soggetto a recuperare l’imposta eventualmente non detratta ai sensi dell’articolo 26, terzo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e dell’articolo 21, comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546».
Stante la disposizione appena citata avente natura procedurale più che sanzionatoria il cessionario/committente debitore dell’imposta può, dunque, correggere l’errore commesso (applicazione dell’IVA ad operazioni esenti, non imponibili o non soggette) tramite delle mere annotazioni contabili di senso contrario a quelle erroneamente eseguite e che intende neutralizzare, salva l’ipotesi in cui non abbia potuto esercitare il diritto alla detrazione dell’IVA. In tale evenienza la norma prevede espressamente la possibilità di recuperare l’IVA non detratta tramite il ricorso alla nota di variazione, ove sussistano ancora i tempi di cui al comma 3 dell’articolo 26 del decreto IVA, ovvero, in alternativa, mediante la richiesta di rimborso ex articolo 21, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992.
Nonostante ad oggi, ai fini IVA, occorra fare riferimento all’articolo 30ter del decreto IVA, che replica le disposizioni del rimborso anomalo contenute nel citato articolo 21, resta confermata la possibilità di ricorrere, nel caso di specie, in alternativa alla nota di variazione, all’istituto del rimborso anomalo.
Né valgono, nel caso di specie, le precisazioni più volte ribadite dalla scrivente in diversi documenti di prassi, ove è stato chiarito che «Per quanto concerne l’istituto disciplinato dall’articolo 30ter del decreto IVA, si ritiene che, trattandosi di una norma residuale ed eccezionale, questo trovi applicazione ogni qual volta sussistano condizioni oggettive che non consentono di esperire il rimedio di ordine generale (nel caso di specie, l’emissione di una nota di variazione in diminuzione). Deve ritenersi, quindi, che tale istituto non possa essere utilizzato per ovviare alla scadenza del termine di decadenza per l’esercizio del diritto alla detrazione qualora tale termine sia decorso per ”colpevole” inerzia del soggetto passivo.
La possibilità di ricorrere al rimborso deve essere riconosciuta, invece, laddove, ad esempio, il contribuente, per motivi a lui non imputabili, non sia legittimato ad emettere una nota di variazione in diminuzione ai sensi dell’articolo 26 del DPR n. 633 del 1972.» (così la circolare n. 20/E del 29 dicembre 2021, ovvero recentemente la risposta n. 592 pubblicata sul sito della scrivente il 16 dicembre 2022).
I limiti sopra richiamati non ricorrono, infatti, perché, come già precisato, è lo stesso articolo 6, comma 9bis3, del d.lgs. n. 471 del 1997, a disporre il ricorso al rimborso anomalo (ex articolo 21 del d.lgs. n. 546 del 1992, ora articolo 30ter del decreto IVA) in alternativa all’articolo 26 del decreto IVA.
D’altronde, la coincidenza tra il soggetto debitore e creditore dell’imposta, che si verifica quando si applica l’inversione contabile, consente di evitare il rischio che, ricorrendo al rimborso anomalo in luogo della nota di variazione, l’IVA rimborsata al cedente/prestatore non sia, invece, restituita dal cessionario/committente che l’ha originariamente detratta.
Resta inteso che, affinché sia rispettata la neutralità dell’IVA ed il rimborso non integri la fattispecie di arricchimento senza causa, durante la fase istruttoria che segue la richiesta di rimborso, l’istante dovrà fornire prova all’Ufficio competente di non aver detratto l’IVA relativa alle prestazioni ricevute e che la medesima, se imputata a costo, sia recuperata a tassazione.
In conclusione, la soluzione prospettata dall’istanza, al verificarsi delle condizioni sopra illustrate, è condivisibile.
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