La Corte di Cassazione sez. penale con la sentenza n. 22980 del 28 maggio 2013 ha affermato che è illegittimo il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente, del patrimonio della società che ha tratto vantaggio dai reati tributari posti in essere dal legale rappresentante, salvo che non si dimostri che la persona giuridica è un mero apparato fittizio, utilizzato per la commissione degli illeciti fiscali.
Gli Ermellini annullando l’ordinanza, con cui il Tribunale del riesame aveva confermato la misura cautelare disposta dal GIP di Brindisi, hanno ribadito che il sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente, previsto dall’articolo 19, comma 2, del D.Lgs. n. 231 del 2001, nei confronti delle persone giuridiche, non può essere disposto sui beni di qualsiasi natura appartenenti alla persona giuridica nel caso in cui si proceda per le violazioni finanziarie commesse dal legale rappresentante della società, sulla base dell’articolo 1, comma 143, della L. n. 244 del 2007, atteso che gli artt. 24 e ss. del citato D.Lgs. n. 231 non prevedono i reati fiscali tra le fattispecie in grado di giustificare l’adozione del provvedimento, salva sempre l’ipotesi ove la struttura aziendale costituisca un apparato fittizio, utilizzato dal reo per commettere gli illeciti, in quanto in tal caso l’illecito non risulta commesso nell’interesse o a vantaggio di una persona giuridica, ma del reo medesimo attraverso lo schermo dell’ente (in questo senso anche Cass. sentenze n. 1256/2013, n. 33371/2012 e n. 25774/2012).
Nella fattispecie, esaminata dalla corte di Cassazione, i giudici di merito hanno ritenuto che una società non possa considerarsi terza estranea al reato, in quanto, pur non essendo indagata, partecipa all’utilizzazione degli incrementi economici derivanti dall’illecito, perpetrato dal legale rappresentante. Sicché il sequestro è finalizzato a rendere possibile il pagamento dell’imposta evasa. Ma così argomentando il giudice del merito si è posto in contrasto con i suddetti principi di diritto, tanto che la Suprema Corte ha ritenuto doveroso annullare il provvedimento gravato con rinvio, “affinchè il giudice ad quem, a seguito di compiuto riesame degli atti, fornisca la dovuta chiarificazione in ordine alla predetta fittizietà della realtà societaria, in difetto della quale non può mantenersi il vincolo imposto sul patrimonio dell’ente”.
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