La Corte di Cassazione con la sentenza n. 2475 del 31 gennaio 2017 ha precisato che l’extrapetizione ricorre qualora il giudice attribuisca alla parte un bene nemmeno implicitamente compreso nella domanda, non quando egli contiene la decisione nei limiti della pretesa pur fondandola su argomentazioni non prospettate dalla parte (Cass. 11 ottobre 2006, n. 21745, Rv. 592770; Cass. 31 gennaio 2011, n. 2297, Rv. 616336).
La vicenda ha riguardato una cooperativa a cui veniva notificato un avviso di accertamento induttivo per maggiori ricavi ai fini IVA, IRAP ed IRES. Il contribuente avverso tali atti impositivi proponeva ricorso in Commissione Tributaria i cui giudici sia in primo che in appello accoglievano le doglianze della cooperativa confermando l’inattendibilità dell’operazione ricostruttiva. L’Agenzia delle Entrate avverso la decisione della Commissione Tributaria Regionale proponeva ricorso in cassazione con due motivi ed in particolare enunciava la violazione dell’art. 112 c.p.c., per esser il giudice d’appello incorso in extrapetizione quando ha rilevato nell’accertamento induttivo una «doppia presunzione» mai censurata dalla contribuente.
Gli Ermellini nel respingere il ricorso dell’Amministrazione finanziaria hanno puntualizzato che nel caso esaminato la contribuente ha impugnato l’avviso di accertamento per difetto di gravità, precisione e concordanza delle presunzioni utilizzate dall’ufficio accertatore: la verifica sulla valenza inferenziale di ciascun indizio resta nell’àmbito del petitum, atteso che il divieto della doppia presunzione (praesumptio de praesumpto) null’altro è se non una regola di valutazione delle presunzioni semplici.