La Corte di Cassazione sez. penale con la sentenza n. 41694 depositata il 9 ottobre 2013 intervenendo in tema di reati fiscali e di sequestro per equivalente ha affermato che la norma relativa all’indeducibilità dei costi comunque «riconducibili» alla condotta criminosa (art. 8 d.l. n. 16/2012) non ha alcun riflesso sulle disposizioni penali relative all’incriminazione di condotte come la dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.
La vicenda. Il Tribunale del riesame aveva confermato il sequestro preventivo per equivalente nei confronti del legale rappresentante di una società svolgente attività nel settore del recupero e dell’intermediazione commerciale di rifiuti, consistente nell’indicazione nelle dichiarazioni ai fini delle imposte dirette relative alle annualità dal 2007 al 2010 di elementi passivi fittizi, avvalendosi di documenti per operazioni inesistenti, come meglio specificate nella imputazione provvisoria.
L’indagato ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore, chiedendo l’annullamento della sentenza secondo sei motivi di censura.
La Corte Suprema rigetta il ricorso dell’imputato ritenendo i motivi infondati.
Per i giudici di legittimità i costi inerenti fatture e documentazione inesistente non sono deducibili, tale conclusione risulta in contrasto con la tre sentenze della Corte Suprema. Il D.l. di semplificazioni, per la sentenza in commento, non dà diritto alla detrazione in caso di frode fiscale. A tal proposito i giudici della Cassazione hanno precisato che “il legislatore ha ridotto l’ambito di quei componenti negativi del reddito in qualche misura collegati ad illeciti penali e non ammessi in deduzione nella determinazione del reddito tassabile di cui all’art. 6, comma 1, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), limitandolo ai soli «costi e […] spese dei beni o delle prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo», in relazione al quale delitto «il pubblico ministero abbia esercitato l’azione penale o, comunque, […] il giudice abbia emesso il decreto che dispone il giudizio ai sensi dell’articolo 424 del codice di procedura penale ovvero sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell’articolo 425 dello stesso codice fondata sulla sussistenza della causa di estinzione del reato prevista dall’articolo 157 del codice penale […]»
Inoltre gli Ermellini hanno confermato l’orientamento giurisprudenziale della Corte Suprema che ha riaffermato “il principio secondo cui il sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente, previsto dall’art. 19, c. 2, del D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, nei confronti delle persone giuridiche, non può essere disposto sui beni di qualsiasi natura appartenenti alla persona giuridica ove si proceda per le violazioni finanziarie commesse dal legale rappresentante della società, sulla base dell’art. 1 comma 143 della legge n. 244 del 2007, atteso che gli artt. 24 e ss. del citato D.Lgs. non prevedono i reati fiscali tra le fattispecie in grado di giustificare l’adozione del provvedimento, salva sempre l’ipotesi in cui la struttura aziendale costituisca un apparato fittizio, utilizzato dai reo per commettere gli illeciti: in tal caso infatti il reato non risulta commesso nell’interesse o a vantaggio di una persona giuridica, ma a diretto vantaggio del reo attraverso lo schermo dell’ente, (cfr. Sez. 3, n. 25774 del 14/6/2012, dep, 4/7/2012, PM, in proc. Amoddio e altro, Rv. 253062 e Sez.3, n. 1256 del 19 settembre 2012, dep.10/1/2013, U. spa, parte motiva). Per cui non sussiste nessun impedimento normativo al vincolo, finalizzato all’escussione, del patrimonio del legale rappresentante gravemente indiziato di essere l’autore del reato (cfr. Sez.3, n. 7138 del 27/1/2011, dep.24/2/2011, Mazzitelli); anzi, è vigente il principio esattamente contrario: è proprio il patrimonio del legale rappresentante, gravemente indiziato dell’illecito penale tributario, a poter essere aggredito con un provvedimento di sequestro ” per equivalente”, in vista della futura confisca del profitto del reato.”
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