La Cassazione, con l’ordinanza n. 22066 depositata il 13 ottobre 2020 intervenendo in materia trattamento economico in ipotesi di irregolare contratto di somministrazione ha affermato che pur dandosi atto che “il legislatore abbia inteso stigmatizzare la violazione dei limiti sanciti dagli artt. 20 e 21, con la sanzione della nullità del contratto – coerente con la possibilità consentita al lavoratore di agire per ottenere la costituzione del rapporto, ab origine, alle dipendenze dell’utilizzatore, e con la circostanza che tale azione può essere esperita anche soltanto nei confronti dell’utilizzatore come si legge nel cit. art. 27, comma 1, ipotesi che escluderebbe l’annullabilità del contratto, non potendo questa essere pronunciata se non in contraddittorio di tutte le parti del contratto da annullare(cfr. Cass. n.17540/2014 in motivazione)– non può sottacersi che la relazione biunivoca fra questi soggetti del rapporto trilatero di somministrazione, in relazione agli atti di gestione del rapporto di lavoro, appaia limitata al periodo durante il quale la somministrazione ha avuto luogo, considerato che, quale datore di lavoro, è il somministratore il soggetto tenuto all’obbligo retributivo”
La vicenda ha riguardato un dipendete che si era rivolto al Tribunale, in veste di giudice del lavoro, per richiedere che venisse dichiarata l’illegittimità del contratto di lavoro somministrato stipulato con l’agenzia di somministrazione inglese con riconoscimento della sussistenza, nei confronti della utilizzatrice, di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato e di condanna al pagamento delle consequenziali spettanze retributive. Il Tribunale respingeva integralmente il ricorso. Il lavoratore impugnava la decisione del giudice di prime cure innanzi alla Corte di Appello. La Corte distrettuale dichiarava il diritto dell’appellante a percepire la retribuzione mensile corrispondente a quella erogata dalla società somnninistratrice e disponeva condanna della società al pagamento in favore dell’appellante, degli importi richiesti per i titoli descritti.
La società condannata avverso tale decisione proponeva ricorso per cassazione fondato su un unico motivo.
Gli Ermellini accolgono il ricorso affermando che nel momento in cui la struttura trilatera del rapporto viene meno, per effetto della irregolarità del contratto di somministrazione giudizialmente accertata, appare consequenziale che il soggetto il quale sia stato utilizzatore della prestazione del lavoratore, sia libero di gestire il rapporto di lavoro in autonomia secondo le regole che rinvengono applicazione nell’ambito dell’assetto organizzativo aziendale in cui la prestazione del lavoratore viene ad inserirsi. Tale fattispecie determina comunque la costituzione di un nuovo rapporto di lavoro con l’utilizzatore, trattandosi – come affermato in dottrina – di un rapporto ordinario, il quale si differenzia da quello precedente, che era speciale, in quanto funzionale alla somministrazione del lavoratore.
Inoltre per i giudici di legittimità l’inserimento del lavoratore in una diversa compagine organizzativa […] comporta,[…], un adeguamento della obbligazione lavorativa in relazione all’assetto organizzativo disposto dalla parte già “utilizzatrice” della prestazione, con conseguente applicazione del trattamento economico (retribuzione ordinaria, indennità, premi), e normativo (sede, orari di lavoro, turni, permessi…) sancito dalla disciplina legale e collettiva in vigore presso il nuovo datore di lavoro. Dalla costituzione di un rapporto di lavoro con il soggetto che aveva rivestito il ruolo di utilizzatore, discende, quindi, coerente, l’applicazione al rapporto di tutta la disciplina legale e collettiva in vigore presso il nuovo datore di lavoro.
Si ricorda che ai sensi del D.Lgs. n. 276/2003 sia in applicazione della nuova normativa, in caso di somministrazione irregolare il lavoratore può chiedere la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze del soggetto che ha utilizzato la prestazione, con effetto dall’inizio della somministrazione, esperendo un’azione giudiziale anche soltanto nei confronti di quest’ultimo.
Per la Suprema Corta il legislatore ha disposto che tutti i pagamenti effettuati dal somministratore, a titolo retributivo o di contribuzione previdenziale, hanno l’effetto di liberare l’utilizzatore dal debito corrispondente fino a concorrenza della somma effettivamente pagata, mentre tutti gli atti dal medesimo compiuti per la costituzione o la gestione del rapporto, per il periodo durante il quale la somministrazione ha avuto luogo, si intendono come compiuti dall’utilizzatore.
I giudici del palazzaccio hanno evidenziato che Ai sensi dell’art.2112 c.c. i dipendenti transitati sono infatti soggetti al contratto collettivo applicabile presso la società cessionaria, anche se più sfavorevole, atteso il loro inserimento nella nuova realtà organizzativa e nel mutato contesto di regole, anche retributive, potendo rinvenire applicazione l’originario contratto collettivo nel solo caso in cui presso la cessionaria i rapporti di lavoro non siano regolamentati da alcuna disciplina collettiva; ipotesi questa, non verificatasi nella fattispecie qui scrutinata, in cui questa carenza non è ravvisabile ed in cui il lavoratore neanche ha invocato la conclusione inter partes, di una pattuizione, individuale recante il trattamento economico oggetto di rivendicazione nel presente giudizio. Sulla scia delle summenzionate considerazioni, viene quindi a caducarsi ogni sostegno giuridico al richiamo disposto dalla Corte di merito, ad un principio di irriducibilità della retribuzione che – peraltro – l’art.2103 c.c. pro tempore vigente, riferisce all’aspetto qualitativo della prestazione.
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