La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 7337 depositata il 17 marzo 2020 intervenendo in tema di detraibilità dell’IVA ha riaffermato che “in tema di Iva, l’Amministrazione finanziaria, la quale contesti che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, anche solo in via indiziaria, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta”
La vicenda ha riguardato una società per azioni nei cui confronti l’Agenzia delle Entrate aveva notificato un avviso di accertamento con il quale aveva disconosciuto le detrazioni Iva relative a operazioni, ritenute soggettivamente inesistenti in quanto la partita Iva indicata sulle fatture era risultata cessata. Avverso tale atto impositivo la società contribuente aveva proposto ricorso inanzi alla Commissione Tributaria Provinciale. I giudici di prime cure accoglievano le doglianze della ricorrente. L’Amministrazione Finanziaria avverso la decisione della CTP proponeva appello inanzi alla Commissione Tributaria Regionale. I giudici di appello riformavano integralmente la sentenza impugnata e ritenevano legittimo l’operato dell’ufficio. La società contribuente avverso la sentenza della CTR proponeva ricorso in cassazione fondato su due motivi.
Gli Ermellini rigettano il ricorso della contribuente. Per i giudici di legittimità è da considerarsi legittimo l’operato dell’Agenzia delle Entrate per il recupero della detrazione IVA nei confronti di un contribuente il quale, non verificando l’inesattezza della partita Iva indicata chiusa molti anni prima, abbia detratto l’IVA della fattura per operazione soggettivamente inesistente.
I giudici del palazzaccio, inoltre, hanno ribadito che “la prova della consapevolezza dell’evasione richiede che l’Amministrazione finanziaria dimostri, in base ad elementi oggettivi e specifici non limitati alla mera fittizietà del fornitore, che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’ordinaria diligenza in rapporto alla qualità professionale ricoperta, che l’operazione si inseriva in una evasione fiscale, ossia che egli disponeva di indizi idonei a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente”.
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