La Corte di Cassazione. sezione tributaria, con la sentenza n. 7495 depositata il 20 marzo 2024, intervenendo in tema di imposta di registro sugli atti di cessione totalitaria delle quote di società, ha statuito il seguente principio di diritto secondo cui “… Anche in caso di cessione totalitaria della partecipazione al capitale di una società di persone o di capitali, l’imposta di registro deve essere sempre liquidata in misura fissa, ai sensi dell’art. 11 della tariffa -parte prima allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, essendo preclusa all’amministrazione finanziaria –in assenza di elementi extratestuali o atti collegati – la riqualificazione della fattispecie nei termini di cessione indiretta di azienda, in forza dell’art. 20 deld dall’art.1, comma 87, della legge 27 dicembre 2017, n. 205, secondo l’interpretazione autentica dell’art. 1, comma 1084, della legge 30 dicembre 2018 n. 145), restando estraneo a tale contratto, in coerenza con la sua «intrinseca natura» ed i suoi «effetti giuridici», il trasferimento dell’azienda appartenente alla società di persone o di capitali …”
La vicenda ha riguardato una società a responsabilità limitata che aveva acquistato la totalità delle quote del capitale di un’altra società. L’Agenzia delle Entrate notificava alla società acquirente un avviso di liquidazione dell’imposta di registro in relazione alla riqualificazione ex art. 20 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, della cessione dell’intera partecipazione al capitale come cessione indiretta d’azienda. La società acquirente impugnava l’atto impositivo innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale (attualmente Corte di Giustizia Tributaria di primo grado). I giudici di prime cure accolgono le doglianze della società contribuente con l’annullamento dell’atto impositivo – sul presupposto che l’imposta di registro dovesse applicarsi in relazione agli effetti giuridici dell’atto stipulato.. L’Amministrazione finanziaria proponeva appello avverso la sentenza di primo grado. I giudici di appello hanno confermato la decisione di primo grado. Avverso la decisione di secondo grado, l’Agenzia delle Entrato, avverso la decisione di secondo grado proponeva ricorso in cassazione fondato su un unico motivo.
I giudici di piazza Cavour rigettano il ricorso.
I giudici di legittimità hanno rammentato che il giudice delle leggi hanno, nel dichiarare infondata la questione di incostituzionalità dell’art. 20 del dpr n. 131/1986, che “… il legislatore, con la denunciata norma ha inteso, attraverso un esercizio non manifestamente arbitrario della propria discrezionalità, riaffermare la natura di “imposta d’atto” dell’imposta di registro, precisando l’oggetto dell’imposizione in coerenza con la struttura di un prelievo sugli effetti giuridici dell’atto presentato per la registrazione, senza che assumano rilievo gli elementi extratestuali e gli atti collegati privi di qualsiasi nesso testuale con l’atto medesimo, salvo le ipotesi espressamente regolate dal testo unico»; per altro verso, un’interpretazione della norma in chiave antielusiva provocherebbe «incoerenze nell’ordinamento, quantomeno a partire dall’introduzione dell’art. 10- bis della Legge 212 del 2000» e «consentirebbe all’amministrazione finanziaria, da un lato, di operare in funzione antielusiva senza applicare la garanzia del contraddittorio endoprocedimentale e, dall’altro, di svincolarsi da ogni riscontro di «indebiti» vantaggi fiscali e di operazioni «prive di sostanza economica», precludendo di fatto al contribuente ogni legittima pianificazione fiscale (invece pacificamente ammessa nell’ordinamento tributario nazionale e dell’Unione Europea) …”
Il Supremo consesso ha evidenziato come sia costante l’orientamento della S.C. secondo cui “… l’imposta colpisce l’atto sottoposto a registrazione quale risulta dallo scritto, senza tener conto di elementi extra- testuali o atti collegati, poiché l’art. 20 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, dispone che «l’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi» (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 18 febbraio 2021, nn. 4315 e 4319; Cass., Sez. 5^, 1 aprile 2021, n. 9065; Cass., Sez. 6^- 5, 25 maggio 2021, nn. 14318 e 14342; Cass., Sez. 5^, 21 settembre 2021, n. 25601; Cass., Sez. 6^-5, 22 ottobre 2021, nn. 29620 e 29623; Cass., Sez. 5^, 18 novembre 2021, n. 35220; Cass., Sez. 6^-5, 2 dicembre 2021, nn. 38003 e 38005; Cass., Sez. 6^-5, 11 gennaio 2022, n. 590; Cass., Sez. 6^-5, 12 gennaio 2022, n. 715; Cass., Sez. 5^, 23 maggio 2022, nn. 16482 e 16483; Cass., Sez. 5^, 13 dicembre 2023, n. 34901; Cass., Sez. 5^, 13 dicembre 2023, n. 34917). …”
Inoltre, nella sentenza in commento, viene precisato che “… è pacifico che la qualificazione di una disposizione di legge come norma di interpretazione autentica – al di là del carattere effettivamente interpretativo della previsione – esprime univocamente l’intento del legislatore di imporre un determinato significato a precedenti disposizioni di pari grado, così da far regolare dalla nuova norma fattispecie sorte anteriormente alla sua entrata in vigore, dovendosi escludere, in applicazione del canone ermeneutico che impone all’interprete di attribuire un senso a tutti gli enunciati del precetto legislativo, che la disposizione possa essere intesa come diretta ad imporre una determinata disciplina solo per il futuro (in termini: Cass., Sez. Un., 29 aprile 2009, n. 9941; Cass., Sez. Un., 21 agosto 2009, nn. 18565, 18566, 18567, 18568, 18569, 18570, 18571, 18572, 18573, 18574, 18575, 18576, 18577, 18578, 18579, 18580, 18581 e 18582); …”
Pertanto per la Suprema Corte la cessione totalitaria delle quote societarie non potrà mai essere riqualificata come una cessione d’azienda, in quanto l’articolo 20 non consente di riqualificare l’atto portato alla registrazione sulla base del contenuto estrinseco del contratto.