La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 28257 depositata il 30 giugno 2023, intervenendo in tema di bancarotta fraudolente documentale (ex artt. 216 co. 1 n. 2 e 223 co. 1 del RD 267/42) ed amministratore formale, ha ribadito che “… che alle diverse configurazioni del dolo nelle due ipotesi di bancarotta fraudolenta documentale non corrisponde una sostanziale diversificazione nell’onere probatorio per l’accusa, perché è pur sempre necessario escludere in entrambi i casi la rilevanza di un atteggiamento psicologico di mera superficialità dell’imprenditore fallito (v., già, Sez. 5, n. 1137 del 17/12/2008, dep. 13/01/2009, Vianello e altri, Rv. 242550, in motivazione);
[…]
non comporta alcun automatismo l’approdo ermeneutico formatosi con riguardo all’amministratore che rivesta tale ruolo solo formalmente, secondo cui il prestanome degli effettivi gestori della società fallita risulta senza alcun dubbio il destinatario dell’obbligo relativo alla regolare tenuta e conservazione dei libri contabili, sancito dall’art. 2392 cod. civ., non essendo egli esonerato dal dovere di vigilanza sull’operato di soggetti terzi, eventualmente delegati, ai sensi dell’art. 40, comma secondo, cod. pen.; d) che, infatti, non può affermarsi la responsabilità dolosa per condotte incriminate dalla legge fallimentare sulla base della mera carica ricoperta e dell’integrazione dell’elemento materiale del reato, come osservato anche da Sez. 5, n. 44666 del 04/11/2021, La Porta Stefania, Rv. 282280, che ha ribadito la necessità di dimostrare l’effettiva e concreta consapevolezza dello stato delle scritture, tale da impedire la ricostruzione del movimento degli affari o, per le ipotesi con dolo specifico, di procurare un ingiusto profitto a taluno, pena il travolgimento del principio costituzionale della personalità della responsabilità penale;
[…]
pertanto, il giudice deve fornire adeguata motivazione circa la possibilità, non soltanto astratta e presunta, ma reale, della conoscenza, da parte del prestanome, dello stato delle scritture ovvero della loro preordinata omessa tenuta, in guisa tale da cagionare l’effetto di impedire la ricostruzione del movimento degli affari o, per le ipotesi di dolo specifico, di procurare un danno al ceto creditorio o un ingiusto profitto a taluno. …”
In altri termini “… pur non essendo necessario che l’amministratore formale si sia rappresentato ed abbia voluto gli specifici interventi da altri realizzati nella contabilità, è, nondimeno, necessario che l’abdicazione dagli obblighi da cui è gravato sia accompagnata dalla rappresentazione della significativa possibilità che i soggetti a cui ha consentito di gestire la società alterino fraudolentemente la contabilità, impedendo o rendendo più difficile agli organi fallimentari la ricostruzione del patrimonio e del volume d’affari della fallita, oppure la sottraggano agli organi fallimentari o la omettano in danno dei creditori o per un ingiusto profitto e, ciò nonostante, decida di non esercitare i suoi poteri-doveri di vigilanza e controllo per evitare che ciò accada; …”
Inoltre, il Supremo consesso evidenzia che alle diverse configurazioni del dolo nelle due ipotesi di bancarotta fraudolenta documentale non corrisponde una sostanziale diversificazione nell’onere probatorio per l’accusa, perché è pur sempre necessario escludere in entrambi i casi la rilevanza di un atteggiamento psicologico di mera superficialità dell’imprenditore fallito, in quanto in tal caso, verrebbe integrato l’atteggiamento psicologico del diverso, e meno grave, reato di bancarotta documentale semplice
Per cui qualora in sede di accertamento, emerga la fisica sottrazione delle scritture contabili alla disponibilità degli organi fallimentari, anche nella forma della loro omessa tenuta, non può essere addebitata all’agente la fraudolenta tenuta delle medesime, proprio perché, come detto, tale ultima ipotesi implica un accertamento condotto su libri contabili effettivamente rinvenuti ed esaminati dagli stessi organi fallimentari.
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