AGENZIA DELLE ENTRATE – Risposta 31 luglio 2020, n. 232
Interpello articolo 11, comma 1, lett. a), legge 27 luglio 2000, n. 212 – mercatini dell’usato – regime forfetario e certificazione dei corrispettivi
Con l’istanza di interpello specificata in oggetto, è stato esposto il seguente
Quesito
[ALFA], di seguito istante, fa presente quanto qui di seguito sinteticamente rappresentato.
L’istante, afferma di essere titolare di un’agenzia di affari, presso cui espone e cede, al prezzo pattuito con i proprietari, i beni ricevuti in ” conto vendita” da terzi, beni che provvede ad annotare nel “registro giornale degli affari”, autovidimato allo Sportello Unico della Attività Produttive (SUAP) del Comune.
Nello svolgimento della propria attività l’istante applica il regime forfetario di cui all’articolo 1, commi da 54 a 89, della legge 23 dicembre 2014, n. 190.
L’istante afferma, inoltre, che al momento della cessione del bene è solita rilasciare all’acquirente uno ” scontrino esente Iva”, emesso dal registratore di cassa, mentre al committente, cui è destinato il 50% dell’incasso (in conformità a quanto indicato nella ” tabella delle operazioni Agenzia d’Affari” esposta in negozio), rilascia ” una ricevuta in doppia copia” che riporta il prezzo realizzato, nonché il timbro della ditta e l’indicazione dell’articolo venduto.
Tanto premesso, l’istante chiede se, ai fini della certificazione dei corrispettivi percepiti al momento della vendita, ha l’obbligo di installare il registratore telematico, necessario per la memorizzazione elettronica e trasmissione telematica dei corrispettivi, e se, ai fini dell’imposizione diretta, deve considerare quale reddito sul quale applicare le percentuali di forfetizzazione, l’intero importo versato dall’acquirente o solo le provvigioni pari al 50% dei corrispettivi incassati, che corrispondono al suo effettivo guadagno.
Con documentazione integrativa, presentata su richiesta della scrivente, l’istante ha, altresì, chiarito che l’agenzia di affari di cui è titolare si occupa esclusivamente della rivendita di beni usati, beni che sono affidati dai proprietari a titolo privato, cioè al di fuori dell’esercizio di impresa o dell’eventuale attività di lavoro autonomo svolta.
All’atto della consegna dei beni il proprietario compila e sottoscrive per accettazione un modulo di accordo (prodotto in sede di integrazione documentale), nel quale sono riportati i suoi dati anagrafici e l’elenco dei beni. In base alle clausole predefinite contenute nell’accordo:
– il prezzo viene pattuito d’intesa con il rivenditore;
– il rivenditore ha diritto ha trattenere il 50% del corrispettivo introitato mentre al proprietario spetta il restante 50%, importo che gli viene messo a disposizione ” entro 15 giorni dalla data in cui è stata effettuata la vendita”;
– il rivenditore si riserva di ridurre del 50% il prezzo pattuito se dopo trenta giorni il bene risulta invenduto;
– nel caso di mancata vendita dei beni entro 60 giorni dal loro affidamento, il proprietario ha l’onere di ritirarli nei successivi 10 giorni; diversamente, gli stessi sono acquisiti a titolo gratuito dall’istante, che può decidere se cederli o smaltirli;
– i beni sono trascritti e registrati sul giornale degli affari ed esposti in negozio muniti di etichette con la medesima numerazione in sequenza seguita nel registro;
– i registri degli affari sono aggiornati quotidianamente;
– ai proprietari dei beni al momento del saldo del compenso spettante sono rilasciate delle ricevute numerate.
L’istante ha prodotto, altresì, la copia della “tabella degli affari” esposta nel negozio a beneficio degli acquirenti, dal qual risultano le percentuali ad essa spettanti su ciascun prodotto venduto nel suo negozio.
Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente
L’istante non prospetta alcuna soluzione.
Parere dell’agenzia delle entrate
Per come descritta nell’istanza e dai documenti presentati in sede di integrazione, si ritiene che l’attività svolta dall’istante sia riconducibile all’attività di agenzia di affari – consistente nella rivendita di beni terzi usati di proprietà di soggetti privati. Detta attività è soggetta a vigilanza, ai sensi l’articolo 115 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (testo unico delle leggi di pubblica sicurezza di seguito TULPS), sicché l’esercente ha l’obbligo di tenere un ” registro giornale degli affari” in cui sono annotate le generalità dei proprietari, i beni in vendita, il prezzo pattuito, nonché di ” tenere permanentemente affissa nei locali dell’agenzia, in modo visibile, la tabella delle operazioni alle quali attendono, con la tariffa delle relative mercedi.” (cfr articolo 120 del TULPS).
Tanto premesso, nel presupposto che la spendita del nome del rappresentato non esige ” l’uso di formule sacramentali e può, quindi, essere desunta anche da un comportamento del rappresentante che, per univocità e concludenza, sia idoneo a rendere edotto l’altro contraente che egli agisce non solo nell’interesse, ma anche in nome del rappresentato, nella cui sfera giuridica gli effetti degli atti sono destinati a prodursi direttamente” (cfr. Cassazione, sezione I, ordinanza 18 maggio 2018, n. 12369), e che è noto a chi acquista che i c.d. “mercatini dell’usato” commerciano i beni di soggetti terzi – cui è possibile risalire attraverso il controllo incrociato tra il numero seriale indicato sul cartellino del bene ed il numero di registrazione indicato nel registro degli affari – l’attività in argomento può essere ricondotta ad una cessione di beni di terzi secondo le regole del mandato con rappresentanza di cui all’articolo 1704 del codice civile.
Assumendo, pertanto, che il mandato con rappresentanza in base al quale l’istante svolge la propria attività sia effettivamente conferito – come sembra emergere dal punto 7) del ” modulo scrittura fra privati” prodotto in sede di documentazione integrativa – da soggetti che, agli effetti dell’IVA, non svolgono attività economica, si rappresenta quanto di seguito.
La cessione di un bene al cliente finale non è rilevante ai fini IVA e, quindi, può essere documentata dall’istante mediante una semplice quietanza. Delle somme incassate e custodite per conto terzi ne va tenuta traccia in appositi registri.
Ugualmente può essere documentato con una semplice quietanza il riversamento dell’importo pattuito al committente, da quest’ultimo sottoscritta.
E’, invece, rilevante ai fini IVA il compenso spettante all’istante (50% del prezzo di vendita) – sebbene, nel caso di specie, non soggetto alla rivalsa, secondo quanto previsto dall’articolo 1, comma 58, della legge n. 190 del 2014, per chi applica il regime forfetario – e va dunque documentato con fattura, ordinaria o semplificata, in formato analogico oppure, facoltativamente, elettronico (cfr. articolo 1, comma 3, del decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 157).
Laddove, tuttavia, l’istante, a seguito dell’applicazione della clausola contrattuale (mancato ritiro entro 10 giorni), acquisisca gratuitamente la proprietà del bene, il corrispettivo relativo alla sua successiva cessione è soggetto agli ordinari obblighi di certificazione.
Come chiarito dalla circolare n. 3/E del 21 febbraio 2020 (paragrafo 1.1), infatti, ” L’obbligo di memorizzazione e trasmissione telematica dei dati dei corrispettivi, ricorre, infine, anche per gli operatori che applicano il regime forfettario di cui all’articolo 1, commi da 54 a 89, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, salvo che l’attività svolta non rientri tra quelle esonerate.”.
L’istante deve, dunque, dotarsi del registratore telematico, oppure in alternativa, utilizzare la procedura web “documento commerciale online” – regolamentata dal provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate prot. n. 182017 del 28 ottobre 2016, al fine di memorizzare e trasmettere telematicamente i corrispettivi ed emettere il documento commerciale.
Resta salva la facoltà – ovvero l’obbligo, a richiesta del cliente – di emettere fattura, ordinaria o semplificata, in formato analogico oppure, facoltativamente, elettronico.
Quanto, infine, all’imposizione diretta, si ricorda che nel regime forfetario, per il quale l’istante ha optato, la base imponibile su cui applicare l’imposta sostitutiva è determinata, conformemente a quanto disposto dall’articolo 1, comma 64 della sopracitata legge n. 190 del 2014, applicando ai ricavi del periodo d’imposta – pari alle sole provvigioni concordate con i proprietari dei beni, ovvero all’intero corrispettivo incassato per la cessione dei beni acquisiti gratuitamente in proprietà – il coefficiente predefinito dal legislatore in considerazione della redditività di ciascuna attività.
Le spese sostenute rilevano, dunque, in base alla percentuale di redditività attribuita, in via presuntiva, all’attività effettivamente esercitata (cfr. circolare n. 9/E del 10 aprile 2019, paragrafo 4.3).
Dal presente parere resta ovviamente esclusa ogni valutazione in merito alla sussistenza, in capo all’istante, dei requisiti richiesti per l’applicazione del regime forfetario di cui alla legge n. 190 del 2014 e successive modificazioni e integrazioni, nonché delle ulteriori cause ostative all’applicazione di tale regime (v. articolo 1, comma 57, della legge n. 190 del 2014).
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