Corte di Cassazione sentenza n. 5512 depositata il 8 marzo 2018
CONTRATTO A TERMINE – PUNTE DI PIU’ INTENSA ATTIVITA’ – OPERATORE DI CALL CENTER – NON SUSSISTE
FATTI DI CAUSA
1. La Corte di appello di Firenze ha confermato la sentenza del Tribunale di Pisa che aveva dichiarato l’illegittimità dei termini apposti ai contratti intercorsi tra V. s.p.a., poi divenuta V. n.v., ed i signori P.C. e A.P. – tecnici di assistenza al cliente nel call center di Pisa Ospedaletto – ed ha confermato la ricostituzione del rapporto di lavoro. Ha accolto invece l’appello con riguardo alle conseguenze economiche in relazione alle quali, in applicazione dello jus superveniens, ha condannato la società a corrispondere ai lavoratori un’indennità risarcitoria ai sensi dell’art. 32 della legge 20 novembre 2010 n. 183 che ha quantificato, per ciascuno, di loro in misura pari ad otto mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto percepita.
2. La Corte territoriale, premesso che i contratti erano disciplinati dall’art. 1 del d.lgs. n. 368 del 2001, ha ricordato che, in applicazione della citata disposizione e degli artt. 3 e 10 del citato decreto legislativo, l’apposizione del termine è consentita sempre che le ragioni oggettive che la giustificano siano esattamente individuate, presentino i connotati di strutturale temporaneità e risultino direttamente o indirettamente da un atto scritto, al fine di consentire al lavoratore prima ed in giudizio poi la verifica di corrispondenza. Tanto premesso, ha in concreto accertato che, pur astrattamente legittima la causale apposta a contratto stante la perdurante vigenza della delega alla contrattazione collettiva, tuttavia in concreto la società non aveva offerto la prova che i due lavoratori erano stati destinati, per tutta la durata del contratto, a mansioni direttamente riconducibili alla gestione delle promozioni dei nuovi prodotti e servizi previsti dal piano commerciale estate/autunno 2004 e autunno/inverno 2004. Ha poi sottolineato che non era risultato provato che per tali servizi, si erano realizzate quelle punte di più intensa attività che giustificavano il ricorso alle assunzioni a termine e che, invece, i due lavoratori erano stati impiegati per far fronte a carenze strutturali degli organici.
3. Per la cassazione della sentenza ricorre V. N.V. ed articola tre motivi concludendo, nei confronti di P.C. perché in accoglimento del ricorso la sentenza sia cassata e con decisione nel merito la domanda venga rigettata; con riguardo a A.P., invece, chiede che venga dichiarata cessata la materia del contendere avendo le parti transatto la lite.
P.C. ha opposto difese con controricorso mentre A.P. è rimasto intimato. La ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ.. Il controricorrente, in data 16 gennaio 2015, ha depositato memoria di costituzione di nuovi difensori recante procura a margine, a seguito della revoca del mandato ai precedenti procuratori.
RAGIONI DELLA DECISIONE
4. Va preliminarmente dichiarata la nullità della procura conferita ai nuovi difensori, gli avvocati C.B. e C.P.
4.1. Al riguardo deve rilevarsi che a norma dell’art. 83 terzo comma cod. proc. civ., nel testo antecedente le modifiche apportate dalla legge 18 giugno 2009 n. 69, nel giudizio di cassazione la procura speciale può essere rilasciata a margine o in calce solo al ricorso o dal controricorso. Solo con l’art. 45 comma 9 lett. a) della L. 18 giugno 2009, n. 69, e per i giudizi instaurati successivamente alla data della sua entrata in vigore ai sensi dell’art. 58 comma 1 della citata legge n. 69 del 2009, è stata introdotta la possibilità di apporre la procura a margine o in calce alla memoria di nomina di nuovo difensore in aggiunta o in sostituzione del difensore originariamente designato. Per i procedimenti instaurati anteriormente a tale data, se la procura non viene rilasciata a margine od in calce al ricorso e al controricorso, si deve provvedere al suo conferimento mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata, come previsto dall’art. 83, secondo comma, (cfr. Cass. 26/03/2010 n. 7241, 30/06/2015 n. 13329 e, più di recente, ord. VI-L 08/09/2016 n. 17792).
4.2. Poiché nel caso in esame il giudizio è iniziato nel 2006 è nulla la procura ai nuovi difensori, nominati in sostituzione di quelli che avevano redatto e depositato il controricorso in cassazione, apposta a margine della memoria di costituzione di nuovo difensore non trovando applicazione per le ragioni sopra esposte la modifica introdotta dalla legge n. 69 del 2009 citata e la memoria di costituzione è tamquam non esset.
5. Ancora preliminarmente deve essere dichiarata cessata la materia del contendere con A.P. che ha transatto la lite con la società datrice con riguardo al quale la società ha dichiarato di aver notificato il ricorso al solo fine di preservare l’integrità del contraddittorio pur essendo venuta meno tra le parti ogni ragione del contendere.
6. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 23 della L. 28 febbraio 1987 n. 56 in relazione all’art. 1 ed all’art. 3 della legge n. 18 aprile 1962 n. 230, dell’art. 16 lett. e) del c.c.n.l. 28 giugno 2000 delle Imprese dei Servizi di Telecomunicazioni e dell’art. 1362 cod. civ.. Sostiene la società ricorrente che avrebbe errato il giudice di appello nel ritenere che, una volta verificata in concreto l’esistenza di un rapporto di derivazione causale tra la situazione di fatto descritta nella clausola e l’assunzione a termine, fosse necessaria la concreta adibizione del lavoratore allo svolgimento dei compiti necessari a fronteggiare l’incremento di attività. Sottolinea al riguardo che era pacifico che il ricorrente era stato applicato al call center del 190 per l’assistenza alla clientela in coincidenza con il lancio di nuovi prodotti e che non era indispensabile la sua materiale utilizzazione proprio per l’assistenza su quei prodotti e quei servizi.
7. Con il secondo motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 23 della L. n. 56 del 1987 citata in relazione agli artt. 1 e 3 della L. n. 230 del 1962 e dell’art. 16 lett. e) c.c.n.l. 28.6.2000 Imprese Servizi di Telecomunicazioni oltre che dell’art. 1362 cod. civ. Sostiene la Società ricorrente che la scelta di assumere a termine era giustificata dalla previsione di un “picco di attività” e che erroneamente la Corte avrebbe omesso di considerare che, nel settore in cui opera V., non è possibile procedere ad una quantificazione in anticipo del reale impatto della promozione sicché la non conformità alla previsione è priva di rilievo giuridico perché ciò che si deve dimostrare è che la previsione sia stata compiuta su basi fondate. Sottolinea allora che tale prova era stata offerta e che, in concreto, poi, era risultato dimostrato che il picco si era in concreto verificato seppur per un periodo più ridotto.
8. Con il terzo motivo di ricorso è denunciata l’omessa insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 primo comma n. 5 cod. proc. civ.. Ad avviso della società ricorrente sia la Corte di appello che il Tribunale, erroneamente, avrebbero omesso di considerare che sino alla data di notifica del ricorso (il 14 settembre 2006) non vi sarebbe stata una effettiva offerta della prestazione, solo formalmente contenuta nella richiesta di tentativo di conciliazione, peraltro indirizzato a V. s.p.a. che non era il datore di lavoro. Ritiene la ricorrente che l’inerzia tenuta per quasi due anni costituirebbe un comportamento socialmente tipico da valutare quale dichiarazione di voler risolvere il rapporto.
9. I primi due motivi di ricorso, da esaminare congiuntamente poiché investono sotto vari profili la valutazione espressa dalla Corte di merito di illegittimità del termine apposto al contratto, sono inammissibili per diverse ragioni.
9.1. In primo luogo perché in violazione del combinato disposto degli artt. 369 secondo comma n. 4 e 366 primo comma n. 6 cod. proc. civ. a fronte di una denuncia, tra l’altro, di errata interpretazione dell’art. 16 lett. e) del contratto collettivo di settore, riporta nel ricorso solo alcune parti della disposizione censurata e nulla è detto circa la collocazione degli atti nel fascicolo del processo. Al riguardo va rammentato che l’art. 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., così come modificato dall’art. 7 del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, onera il ricorrente per cassazione della produzione, a pena di improcedibilità del ricorso, “gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda”. Tale onere è soddisfatto, sulla base del principio di strumentante delle forme processuali, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo di parte, anche mediante la produzione del fascicolo nel quale essi siano contenuti e, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo d’ufficio, mediante il deposito della richiesta di trasmissione di detto fascicolo presentata alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata e restituita al richiedente munita di visto ai sensi dell’art. 369, terzo comma, cod. proc. civ.. Tuttavia è in ogni caso necessario che sia specificamente indicato nel ricorso, a pena di inammissibilità ex art. 366, n. 6, cod. proc. civ., quali siano gli atti ed i documenti rinvenibili ed i dati necessari al loro reperimento (cfr. Sez. U., 03/11/2011 n. 22726). Se dunque può essere sufficiente “la riproduzione, nel corpo dell’atto d’impugnazione, della sola norma contrattuale collettiva sulla quale si basano principalmente le doglianze, purché il testo integrale del contratto collettivo sia stato prodotto nei precedenti gradi di giudizio e, nell’elenco degli atti depositati” (Cass. 07/07/2014 n. 15437) tuttavia è pur sempre necessario che si provveda alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, (cfr. Cass. 09/04/2013 n. 8569 e 15/07/2015 n. 14784). Per tale aspetto, allora, la censura prima ancora che improcedibile ai sensi dell’art. 369 secondo comma n. 4 cod. proc. civ. per non essere stato allegato al ricorso per cassazione il contratto collettivo di cui è denunciata l’errata interpretazione, è inammissibile per violazione dell’art. 366 primo comma n. 6 cod. proc. civ. non essendo precisato neppure se ed in che sede sia stato depositato il testo integrale del contratto collettivo stesso.
9.2. Ma le censure sono inammissibili anche perché, pur denunciando una pretesa violazione di legge, si sostanziano nella richiesta di una diversa valutazione delle emergenze istruttorie non consentita al giudice di legittimità. Compete al giudice di merito accertare la sussistenza delle ragioni oggettive – vale a dire delle esigenze di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo – che giustificano l’apposizione di un termine finale al contratto di lavoro, che devono essere specificatamente indicate in un apposito atto scritto. Nel far ciò il giudice è tenuto a valutare ogni elemento ritualmente acquisito al processo, idoneo a dar riscontro alle ragioni specificatamente indicate con atto scritto ai fini dell’assunzione a termine idoneo a darne riscontro, con valutazione che, se correttamente motivata ed esente da vizi giuridici, resta esente dal sindacato di legittimità (cfr. Cass. 11/02/2015 n. 2680). Orbene la Corte territoriale ha correttamente esaminato le emergenze istruttorie e rettamente applicato i principi dettati da questa Corte e, pur ritenuta in astratto legittima la causale, ne ha poi verificato in concreto l’insussistenza avendo escluso, con accertamento di fatto che resta indenne alle critiche mosse con il ricorso, che non era stata acquisita una prova rassicurante dell’esistenza di promozioni di nuovi prodotti e servizi nei periodi in contestazione così come di un aumento del traffico telefonico del call center che consentisse di ritenere accertato, sia sul piano prognostico che poi in sede di verifica concreta, l’esistenza delle punte di più intensa attività sulle quali si basavano le assunzioni. In esito all’ampia e dettagliata ricostruzione degli elementi di prova acquisiti al processo la Corte territoriale ha accertato quindi che non vi era prova delle ragioni organizzative che avevano determinato il datore di lavoro all’apposizione dei termini al contratto e che, peraltro, in concreto, i lavoratori non si erano occupati, se non in misura limitata, del lancio di nuove promozioni o servizi ma erano stati piuttosto assegnati a compiti rientranti nelle routinarie attività proprie del call center di normale assistenza al cliente al pari dei colleghi assunti a tempo indeterminato.
9.3. In conclusione e per le considerazioni sopra esposte le censure devono essere dichiarate inammissibili.
10. L’ultimo motivo di ricorso è invece infondato.
10.1. La società ricorrente si duole del fatto che la Corte di merito non abbia tenuto nella dovuta considerazione la circostanza che il ricorrente sia rimasto inerte per un lungo periodo (dalla conclusione del contratto, anno 2004, alla proposizione del ricorso nel 2006) tenendo un comportamento che avrebbe dovuto essere valutato come l’inequivocabile espressione della volontà di proseguire nel rapporto.
10.2. La censura è prima ancora che infondata inammissibile per due profili. In primo luogo perché la censura, prospettata come un vizio di motivazione, è invece riconducibile ad una denuncia di omessa pronuncia. In secondo luogo perché, comunque, nel denunciare l’omessa valutazione da parte della Corte territoriale dell’incidenza sul rapporto dell’inerzia del lavoratore, non precisa in che sede ed in che termini la questione era stata sottoposta al giudice di merito.
10.3. Occorre in proposito ricordare che, per poter utilmente dedurre in sede di legittimità un vizio di omessa pronuncia, è necessario, da un lato, che al giudice di merito siano state rivolte una domanda o un’eccezione autonomamente apprezzabili, e, dall’altro, che tali domande o eccezioni siano state riportate puntualmente, nei loro esatti termini, nel ricorso per cassazione, per il principio dell’autosufficienza, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo o del verbale di udienza nei quali le une o le altre erano state proposte, onde consentire al giudice di verificarne, in primo luogo, la ritualità e la tempestività, e, in secondo luogo, la decisività (cfr. Cass. Sez. U., 28/07/2005 n. 15781 e più recentemente Sez. 6-5 04/03/2013 n. 5344).
11. In conclusione, per le considerazioni sopra esposte, il ricorso nei confronti di P.C. deve essere rigettato. Quanto alle spese non occorre provvedere nei confronti di A.P. rimasto intimato mentre vanno poste a carico della società ricorrente le spese del giudizio nei confronti di P.C. che si liquidano nella misura indicata in dispositivo. Sussistono i presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13 comma 1 bis del citato d.P.R., ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte, dichiara cessata la materia del contendere nei confronti di A.P. e rigetta il ricorso nei confronti di P.C.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in € 4.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre accessori dovuti per legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13 comma 1 bis del citato d.P.R.
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