La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 35856 depositata il 22 dicembre 2023, intervenendo in tema di accertamento fiscale fondato su indagini e presunzioni bancarie, ha riaffermato il principio di diritto secondo cui “… in tema di accertamento del reddito d’impresa, gli artt. 32, n. 7, del d.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del d.P.R. n. 633 del 1972 autorizzano l’Ufficio finanziario a procedere all’accertamento fiscale anche attraverso indagini su conti correnti bancari formalmente intestati a terzi ma che si ha motivo di ritenere connessi ed inerenti al reddito del contribuente, sicché possono assumere rilievo ai fini delle indagini i conti correnti intestati all’amministratore unico e socio assoluto di maggioranza di una società a responsabilità limitata in ragione di movimentazioni sia in entrata che in uscita che non trovino corrispondenza alcuna nelle registrazioni contabili; né rileva che il medesimo soggetto sia legale rappresentante di una pluralità di persone giuridiche, essendo in tal caso sufficiente, in difetto della prova contraria circa una più corretta imputazione, ripartire i dati estratti dai conti correnti in proporzione al volume di affari di ciascun ente” (Sez. 6-5, n. 1898 del 01/02/2016, Rv. 639236-01).
Il principio riceve conferma “sub specie” di plurime declinazioni. Tra queste, in particolare, rilevano: quella a termini della quale, “in tema di accertamento dell’imposta sui redditi (nella specie da lavoro autonomo), le verifiche fiscali finalizzate a provare, per presunzioni, la condotta evasiva possono anche indirizzarsi sui conti bancari intestati al coniuge o al familiare del contribuente, potendo desumersi la riferibilità a quest’ultimo da elementi sintomatici, quali:
il rapporto di stretta familiarità,
l’ingiustificata capacità reddituale dei prossimi congiunti nel periodo di imposta considerato,
l’infedeltà delle dichiarazioni e l’esercizio di attività da parte del contribuente compatibile con la produzione della maggiore redditività riferita a dette persone” (Sez. 5, n. 549 del 15/01/2020, Rv. 656550-01);
e quella a termini della quale “le indagini bancarie nei confronti di una società a responsabilità limitata possono essere estese ai conti correnti dei soci della stessa soltanto se” – ma in tal caso sicuramente – “sussistano elementi indiziari che inducano a ritenere che gli stessi siano stati utilizzati per occultare operazioni fiscalmente rilevanti” (Sez. 5, n. 33596 del 18/12/2019, Rv. 656410-02). …”
I giudici di legittimità nel ribadire il principio di diritto e nell’affermare che “… I giudici di merito non hanno considerato che entrambi i soci erano titolari di partita IVA e perciò le poste dei rispettivi c.c. erano semmai imputabili alle loro imprese individuali anziché alla contribuente. …” hanno affiancato alla presunzione legale relativa ai movimenti bancari la presunzione semplice, nell’ipotesi in cui il socio-amministratore sia tale in una pluralità di società, del riparto al volume d’affari conseguito da ogni singolo ente. In tal modo il Supremo consesso connota come un manifesto caso di doppia presunzione destrutturata di ogni vis dimostrativa sul piano dell’onere della prova.
In tal modo la Suprema corte ha effettuato un allargamento del privilegio probatorio accordato dal giudice di legittimità alla prova bancaria a vantaggio dell’Amministrazione finanziaria in contrasto con quanto statuito dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 10/2023 che pur ritenendola non censurabile, l’indagine bancaria costituisca un evidente favor a supporto della verifica fiscale, che richiede un necessario bilanciamento sul piano della prova contraria da parte del contribuente, ammesso in ogni caso ad un diritto di deduzione fiscale forfettaria in ordine all’incidenza dei relativi costi.
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