La Corte di Cassazione con la sentenza n. 16595 depositata il 12 giugno 2023, intervenuto in tema di tassazione di rinunce a crediti, ha statuito il seguente principio di diritto secondo cui “… In tema di imposte sui redditi di capitale – in ragione di quanto previsto dall’art. 88, comma 4-bis, art. 94, comma 6, art. 101, comma 5, tuir a seguito delle modifiche di cui alla L. 14 settembre 2015, n. 147, art. 13 (ndr D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 147, art. 13) – la rinuncia, operata da un socio nei confronti della società, al credito avente ad oggetto interessi maturati su finanziamenti erogati nei confronti di una società partecipata, non comporta l’obbligo di sottoporne a tassazione il relativo ammontare, con applicazione, ai sensi del d.p.r. n. 600 del 1973, art. 26 comma 5, della ritenuta fiscale, cui la società è tenuta quale sostituto d’imposta, avendo le nuove disposizioni rimediato all’asimmetria fiscale o “salto d’imposta” di cui al precedente regime …”
La vicenda ha riguardato una società a responsabilità limitata in liquidazione che aveva presentata una istanza di rimborso della maggiore Ires versata ritenendo che la ritenuta del 26 per cento di cui al d.p.r. n. 600 del 1973, art. 26 comma 5, era dovuta solo all’atto della corresponsione che, invece, non vi era stata, stante la rinuncia della creditrice, nella fattispecie riguardava la rinuncia dei crediti della consociata. Sull’istanza si formava il silenzio-rifiuto. La società contribuente proponeva ricorso avverso il silenzio rifiuto dell’Agenzia. La Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso della contribuente. L’Agenzia delle Entrate impugnava la sentenza della CTP innanzi alla CTR. I giudici di appello, in riforma della sentenza impugnata, accolsero l’appello dell’Agenzia. Avverso la decisione della CTR la società proponeva ricorso in cassazione fondato su cinque motivi.
Gli Ermellini, in evoluzione di un precedente orientamento, accolgono il ricorso della contribuente.
I giudici di legittimità hanno precisato che “… La natura reddituale o patrimoniale della rinuncia del socio al credito vantato nei confronti della società non è univoca. Infatti, se sotto il profilo formale la rinuncia determina una sopravvenienza, dal punto di vista sostanziale l’effetto coincide con quello che si realizzerebbe ove la società pagasse il suo debito ed il socio apportasse nuovo capitale.
La teoria volta a dare rilievo fiscale, in caso di rinuncia dei soci ai crediti vantati nei confronti della società partecipata, al c.d. “incasso giuridico” riflette detta ambiguità e si fonda, pacificamente, su una fictio iuris atteso che la rinuncia, sul piano della tassazione, viene equiparata ad un incasso, pur materialmente inesistente, con conseguente imponibilità dello stesso. …”
In particolare, per i giudici di piazza Cavour, il superamento del precedente orientamento giurisprudenziale ((In questo senso Cass. 18/12/2014, n. 26842, Cass. 26/01/2016, n. 1335, seguite da Cass. 30 gennaio 2020, n. 2057 ed ancora da Cass. 14/04/2022, nn. 12222 e 12223 e da Cass. 19/07/2022, n. 22609) e della circolare dell’Agenzia delle Entrate è determinato dal mutamento normativo operato dal d.lgs. n. 147 del 2015, art. 13.
Infatti a seguito di tali modifiche “… il trattamento della rinuncia del socio non trova più collocazione nell’art. 88, comma 4, tuir, ma nel successivo comma 4-bis il quale prevede, nel testo applicabile alla fattispecie, che la rinuncia dei soci ai crediti si considera sopravvenienza attiva solo per la parte che eccede il relativo valore fiscale. Inoltre, il nuovo testo impone al socio di comunicare il valore del credito alla partecipata mediante apposita dichiarazione sostitutiva di atto notorio; in assenza di comunicazione, il valore assunto è pari a zero, con conseguente tassazione dell’intera rinuncia, fiscalmente qualificata come sopravvenienza attiva.
Correlativamente, l’art. 94, comma 6, e art. 101, comma 7, tuir hanno previsto, sul versante del socio, che l’ammontare della rinuncia al credito che si aggiunge al costo della partecipazione è nei limiti del valore fiscale del credito oggetto di rinuncia; che la rinuncia non è ammessa in deduzione e che il relativo ammontare si aggiunge al costo della partecipazione sempre nei limiti del valore fiscalmente riconosciuto del credito.
Il nuovo regime, pertanto, ha posto in correlazione il valore fiscale del credito oggetto di rinuncia e la detassazione.
A seguito della rinuncia, il socio aumenta il costo della partecipazione solo nei limiti del valore fiscale del credito e la società beneficia di una sopravvenienza non tassabile solo nei limiti di detto valore. …”
Pertanto, per il Supremo consesso, Il socio con la rinuncia del credito aumenta il costo della partecipazione solo nei limiti del valore fiscale dello stesso, mentre la società beneficia di una sopravvenienza non tassabile solo nei limiti di detto valore. Per cui la rinuncia di un credito avente valore fiscale pari a zero (come per i crediti legati ad un reddito tassato per cassa) non incrementa il valore fiscale della partecipazione, diversamente da quanto prospettato nel precedente regime ma comporta la tassazione integrale della sopravvenienza attiva in capo alla società partecipata.
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