La Corte Costituzionale con la sentenza n. 181 depositata il 13 luglio 2017, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale dell’art. 2-quater, comma 1, del decreto-legge 30 settembre 1994, n. 564 inerente gli atti impugnabili innanzi alla Commissioni Tributarie, ha stabilito non fondata la questione di incostituzionalità.
La vicenda nasce dal ricorso proposto da un contribuente contro il «silenzio-rifiuto formatosi sull’istanza di autotutela» avente ad oggetto il riesame degli avvisi di accertamento – non impugnati in sede giudiziaria – con cui, in relazione agli anni 2008 e 2009, erano stati rettificati in aumento i redditi professionali da lui dichiarati, sollevando la questione di costituzionalità dell’articolo 2-quater, comma 1, del decreto-legge 30 settembre 1994.
I Giudici della Corte Costituzionale hanno ritenuto, ritenendo infondata la questione di costituzionalità della norma, che qualora il Fisco non risponde all’istanza in autotutela, il contribuente non può impugnare il relativo silenzio.
Pertanto qualora il contribuente presenta istanza in autotutela all’Agenzia delle Entrate per ottenere l’annullamento o la modifica di un avviso di accertamento, e l’ufficio non risponde, tale silenzio non può essere oggetto di impugnazione.
Per i giudici costituzionali qualora “Se questa Corte affermasse il dovere dell’amministrazione tributaria di pronunciarsi sull’istanza di autotutela, aprirebbe la porta (ammettendo l’esperibilità dell’azione contro il silenzio, con la conseguente affermazione del dovere dell’amministrazione di provvedere e l’eventuale impugnabilità dell’esito del procedimento che ne deriva) alla possibile messa in discussione dell’obbligo tributario consolidato a seguito dell’atto impositivo definitivo. L’autotutela finirebbe quindi per offrire una generalizzata “seconda possibilità” di tutela, dopo la scadenza dei termini per il ricorso contro lo stesso atto impositivo.
Affermare il dovere dell’amministrazione di rispondere all’istanza di autotutela significherebbe, in altri termini, creare una nuova situazione giuridicamente protetta del contribuente, per giunta azionabile sine die dall’interessato, il quale potrebbe riattivare in ogni momento il circuito giurisdizionale, superando il principio della definitività del provvedimento amministrativo e della correlata stabilità della regolazione del rapporto che ne costituisce oggetto.”
Pertanto alla luce di quanto affermato dalla sentenza in commento l’Amministrazione finanziaria non è tenuta a rispondere all’istanza in autotutela per cui non si può rendere impugnabile il suo silenzio. Ciò comporterebbe il diritto del contribuente ad avere una risposta dal Fisco e, di conseguenza, ad aggirare il termine di impugnazione previsto dalla legge, facendo “vacillare” in qualsiasi momento l’atto tributario ormai definitivo (se mai impugnato).
Nella disciplina legislativa e regolamentare dell’autotutela tributaria è previsto che l’amministrazione finanziaria può annullare d’ufficio i propri atti illegittimi o infondati anche in pendenza di giudizio e anche se si tratta di atti non impugnabili e che, in caso di «grave inerzia» dell’ufficio che ha adottato l’atto illegittimo, può intervenire «in via sostitutiva la Direzione regionale o compartimentale dalla quale l’ufficio stesso dipende». L’annullamento d’ufficio non ha funzione giustiziale, costituisce espressione di amministrazione attiva e comporta di regola valutazioni discrezionali, non esaurendosi il potere dell’autorità che lo adotta unicamente nella verifica della legittimità dell’atto e nel suo doveroso annullamento se ne riscontra l’illegittimità.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, l’autotutela tributaria costituisce un potere esercitabile d’ufficio da parte delle Agenzie fiscali sulla base di valutazioni largamente discrezionali, e non uno strumento di protezione del contribuente. Il privato può naturalmente sollecitarne l’esercizio, segnalando l’illegittimità degli atti impositivi, ma la segnalazione non trasforma il procedimento officioso e discrezionale in un procedimento ad istanza di parte da concludere con un provvedimento espresso. (vedasi Cassazione sentenza n. 15 aprile 2016, n. 7511, sentenza 20 novembre 2015, n. 23765, sentenza 12 novembre 2014, n. 24058; sentenza 30 giugno 2010, n. 15451)
L’autotutela tributaria non ha quindi carattere doveroso. In altri termini, non esiste un dovere dell’amministrazione di pronunciarsi sull’istanza di autotutela e, mancando tale dovere, il silenzio su di essa non equivale ad inadempimento.
Inoltre, il silenzio stesso può essere considerato un diniego, in assenza di una norma specifica che così lo qualifichi giuridicamente, con la conseguenza che il silenzio dell’amministrazione finanziaria sull’istanza di autotutela non è contestabile davanti ad alcun giudice.
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