AGENZIA DELLE ENTRATE – Risposta 10 marzo 2022, n. 102
Note di variazione – Prescrizione del credito – articolo 26 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633
Con l’istanza di interpello specificata in oggetto, è stato esposto il seguente
Quesito
[ALFA], di seguito anche istante, fa presente quanto qui di seguito sinteticamente riportato.
L’istante riferisce di aver maturato un credito nei confronti della ditta [BETA], quale corrispettivo dovuto per forniture di energia effettuate a partire dall’anno 2009.
A seguito di proposta di concordato preventivo, depositata dalla ditta debitrice in data […] 2012, con decreto di omologa del […] 2014, è stato disposto il pagamento del credito in oggetto nella misura del 41,50%.
Successivamente, con provvedimento del […] 2021 è stato dichiarato il fallimento di [BETA] in liquidazione, previo rigetto dell’istanza di risoluzione del concordato preventivo, essendo decorsi i termini previsti dall’articolo 186 del Regio decreto 13 marzo 1942, n. 267.
Nell’ambito della procedura fallimentare di cui sopra, la domanda di ammissione al passivo del credito formulata dall’istante è stata rigettata per intervenuta prescrizione del credito anteriore al 9/7/2016, quinquennio precedente la trasmissione della domanda di insinuazione al passivo (9/7/2021), «in considerazione della non applicabilità alla procedura di concordato preventivo dell’istituto della sospensione della prescrizione ex art. 2941 comma 6 c.c. (Cass. Civ. 5663/2019; Cass. Civ. 20899/2019) e dell’inidoneità a produrre effetti interruttivi della prescrizione della corrispondenza intercorsa tra creditore e liquidatore giudiziale (Cass. Civ. ord. 20642/2019)».
Ciò premesso, l’istante chiede di sapere se sussistono i presupposti per emettere una nota di variazione IVA in diminuzione, in base all’articolo 26, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 (di seguito decreto IVA), nella formulazione vigente ante 26 maggio 2021 – che prevedeva la possibilità di operare la variazione IVA «per mancato pagamento in tutto o in parte a causa di procedure concorsuali o di procedure esecutive individuali rimaste infruttuose» – benché, a tal proposito, la circolare 17 aprile 2000, n. 77 abbia chiarito che «l’infruttuosità della procedura viene giuridicamente ad esistenza allorquando il soddisfacimento del creditore attraverso l’esecuzione collettiva sul patrimonio dell’imprenditore viene meno, in tutto o in parte, per insussistenza di somme disponibili, una volta ultimata la ripartizione dell’attivo», e tale indicazione postula «la necessaria partecipazione del creditore al concorso» previa ammissione al passivo della procedura.
Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente
In sintesi, l’istante «ritiene, comunque, sussistente la certezza giuridica dell’infruttuosità della procedura fallimentare [BETA], proprio in considerazione dell’estinzione del diritto di credito per intervenuta prescrizione, che ha causato la non ammissione al passivo. […]
Quanto al momento finale, entro il quale poter emettere la nota di variazione IVA, si ritiene applicabile il nuovo termine indicato dall’art. 19 D.P.R. n. 633/72, così come modificato dall’art. 2 del D.L. n. 50 del 24.04.17, convertito con la Legge 21.06.17 n. 96, e, quindi, il documento dovrà essere emesso entro e non oltre l’invio della dichiarazione relativa all’anno 2021, essendo stato emesso il provvedimento di rigetto della domanda di ammissione al passivo in data 12.10.21».
A supporto della soluzione interpretativa prospettata, l’istante richiama l’orientamento della Corte di Giustizia Europea (causa C-146/19) che, con la sentenza dell’11 giugno 2020, pronunciandosi su una fattispecie in cui – in applicazione del diritto sloveno – il credito si era estinto per mancato deposito della domanda di insinuazione al passivo «ha ritenuto recuperabile l’IVA da parte del contribuente anche in assenza di formale insinuazione del credito al passivo concorsuale […] in situazioni in cui, per contro, non possono sussistere dubbi sul fatto che il mancato pagamento di un credito possa essere considerato certo e definitivo. […]»
L’istante osserva, altresì, che laddove si escludesse la possibilità di emettere la nota di variazione, «il contribuente verrebbe sostanzialmente sanzionato senza che, peraltro, possa essergli contestato alcun comportamento colposo, atteso che:
– il credito di [ALFA] risultava già regolarmente riconosciuto all’interno della precedente procedura concordataria;
– nell’ambito di tale procedura, l’aspettativa legittima dell’istante era quella di ricevere il pagamento della quota di credito riconosciuta in favore del ceto creditorio (41,50% in favore dei chirografari) e di emettere la nota di variazione ex art. 26 D.P.R. n. 633/72, per la parte di credito non incassato (quindi sul residuo 58,50% del credito);
– ad insaputa di [ALFA], e senza che la stessa potesse efficacemente contrastare tale iniziativa, è stato dichiarato il fallimento della ditta debitrice, su istanza di altro creditore, e senza nemmeno preventiva risoluzione dell’accordo concordatario, ex art. 186 L.F.;
– nelle more della precedente procedura concordataria, come da prassi abitualmente seguita da qualsiasi creditore, non sono stati posti in essere atti interruttivi della prescrizione del credito, poiché l’istante faceva legittimamente affidamento sull’esecuzione di tale procedura;
– il normale evolversi della procedura concordataria, fino all’esecuzione della stessa, avrebbe legittimato l’istante all’emissione della nota di variazione ex art. 26 D.P.R. n. 633/72, così come espressamente previsto dalla Circolare Ministeriale n. 77/00;
– solo un recente orientamento della Cassazione (anni 2019 e 2020) ha ritenuto non applicabile alla procedura concordataria l’istituto della sospensione della prescrizione di cui all’art. 2941 comma 6, con conseguente possibile estinzione del diritto di credito;
– l’istante non avrebbe potuto, neanche volendo, conformarsi a tale orientamento giurisprudenziale poiché, per evitare l’attuale estinzione del diritto di credito, si sarebbe dovuto attivare, in precedenza, quando ancora la Cassazione non si era espressa in tal senso (negli anni anteriori al 2016). […]».
L’istante osserva, infine, che «per quanto non applicabile alla fattispecie de qua, […] la recente riforma dell’art. 26 D.P.R. n. 633/72, introdotta dal “Decreto Sostegni Bis” (art. 18 D.L. 25.05.21 n. 73), addirittura sganci la possibilità di emettere la nota di variazione in diminuzione dall’avvenuta ammissione del credito al passivo concorsuale.
Invero, il testo novellato della norma in questione consente di effettuare la riduzione della base imponibile dell’IVA fin dall’apertura delle procedure concorsuali avviate successivamente all’entrata in vigore della riforma (26.05.21), senza riferimento alcuno e senza pretendere l’intervenuta ammissione del credito al passivo concorsuale».
Parere dell’Agenzia delle entrate
L’articolo 26, comma 2, del decreto IVA, nella versione vigente ante 26 maggio 2021, stabiliva che «Se un’operazione per la quale sia stata emessa fattura, successivamente alla registrazione di cui agli articoli 23 e 24, viene meno in tutto o in parte, o se ne riduce l’ammontare imponibile, in conseguenza di dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili o per mancato pagamento in tutto o in parte a causa di procedure concorsuali o di procedure esecutive individuali rimaste infruttuose […], il cedente del bene o prestatore del servizio ha diritto di portare in detrazione ai sensi dell’articolo 19 l’imposta corrispondente alla variazione, registrandola a norma dell’articolo 25».
La suesposta disposizione disciplina le variazioni in diminuzione dell’imponibile e dell’imposta il cui esercizio, diversamente dalle variazioni in aumento previste al comma 1 del medesimo articolo 26, ha natura facoltativa ed è limitato alle ipotesi espressamente previste.
Tra queste figura il «mancato pagamento in tutto o in parte a causa di procedure concorsuali […] rimaste infruttuose». Al riguardo, con la circolare 17 aprile 2000, n. 77/E, è stato chiarito che «tale circostanza viene giuridicamente ad esistenza allorquando il soddisfacimento del creditore attraverso l’esecuzione collettiva sul patrimonio dell’imprenditore viene meno, in tutto o in parte, per insussistenza di somme disponibili, una volta ultimata la ripartizione dell’attivo.
Il verificarsi di tale evento postula, quindi, in via preventiva, da un lato l’acclarata insolvenza dell’importo fatturato e l’assoggettamento del debitore a procedura concorsuale, dall’altro la necessaria partecipazione del creditore al concorso».
Successivamente, con la risoluzione del 16 maggio 2008, n. 195/E è stato altresì precisato che «Il legislatore ha, dunque, limitato la rilevanza del mancato pagamento alle ipotesi di “procedure concorsuali o di procedure esecutive rimaste infruttuose”, perché solo in tali ipotesi si ha una ragionevole certezza dell’incapienza del patrimonio del debitore. Il mancato pagamento assume, quindi, rilievo costitutivo nelle sole ipotesi in cui il creditore abbia esperito tutte le azioni volte al recupero del proprio credito ma non abbia trovato soddisfacimento» (dello stesso tenore le pronunce della Corte di cassazione 27 gennaio 2014, n. 1541 e 16 dicembre 2011, n. 27136).
Con ogni evidenza, quindi, per le procedure concorsuali aperte in data antecedente il 26 maggio 2021, il presupposto che consente di emettere la nota di variazione in diminuzione per «mancato pagamento in tutto o in parte a causa di procedure concorsuali […] rimaste infruttuose» si realizza allorquando la pretesa creditoria rimane insoddisfatta «per insussistenza di somme disponibili, una volta ultimata la ripartizione dell’attivo», ovvero quando «si ha una ragionevole certezza dell’incapienza del patrimonio del debitore».
Ciò chiarito, nella fattispecie oggetto di interpello, non può dirsi realizzato il presupposto in parola, posto che la pretesa creditoria risulta insoddisfatta non per l’accertata incapienza del patrimonio del debitore, bensì per l’intervenuta prescrizione del credito, che ha precluso l’ammissione al passivo del creditore.
Ciò posto, occorre invece valutare se la prescrizione del credito possa rappresentare autonomo presupposto per operare la variazione in diminuzione in base citato articolo 26, comma 2, che, riferendosi anche alle figure «simili» alle cause di «nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione», consente di valorizzare ragioni ulteriori per le quali un’operazione fatturata può venir meno in tutto o in parte o essere ridotta nel suo ammontare imponibile.
La norma in commento enuclea tra le cause della variazione in diminuzione quelle determinate dall’invalidità originaria del contratto (nullità, annullamento, rescissione) e quelle che, nel presupposto di un contratto valido ed efficace, sopravvengono ad alterare definitivamente il rapporto tra le parti (risoluzione per inadempimento, recesso), nonché le cause «simili» alle precedenti.
La prescrizione non può essere ricondotta tra le figure «simili» a quelle enucleate dalla norma, in quanto, pur determinando l’estinzione del diritto a percepire il corrispettivo dell’operazione resa, così alterando definitivamente il rapporto tra le parti, consegue – diversamente dalle ipotesi di risoluzione o recesso – all’inerzia ingiustificata del creditore.
D’altra parte, anche la sentenza della Corte di Giustizia Europea (causa C-146/19) dell’11 giugno 2020, nota all’istante, al fine di consentire l’esercizio del diritto alla variazione in diminuzione, nell’ipotesi di inosservanza dell’obbligo di insinuare il credito nella procedura fallimentare, non ammette l’inerzia ingiustificata del creditore.
Invero, la pronuncia chiarisce che «l’articolo 90, paragrafo 1, e l’articolo 273 della direttiva IVA devono essere interpretati nel senso che essi ostano ad una normativa di uno Stato membro, in virtù della quale ad un soggetto passivo viene rifiutato il diritto alla riduzione dell’IVA assolta e relativa ad un credito non recuperabile qualora egli abbia omesso di insinuare tale credito nella procedura fallimentare instaurata nei confronti del suo debitore, quand’anche detto soggetto dimostri che, se avesse insinuato il credito in questione, questo non sarebbe stato riscosso».
Nel caso affrontato dal Giudice unionale, quindi, la disapplicazione del presupposto stabilito dalla normativa interna postula comunque una condotta attiva, ovvero la previa dimostrazione che l’inerzia del creditore consegue alla preventiva valutazione «che, se avesse insinuato il credito in questione, questo non sarebbe stato riscosso».
Nel caso oggetto di interpello, l’istanza di ammissione al passivo del creditore è stata rigettata per intervenuta prescrizione «in considerazione della non applicabilità alla procedura di concordato preventivo dell’istituto della sospensione della prescrizione ex art. 2941 comma 6 c.c.(Cass. Civ. 5663/2019; Cass. Civ. 20899/2019)».
Invero, però, l’orientamento dalla Corte di cassazione, richiamato dal Giudice Delegato a supporto della propria decisione, risale già alla più antica pronuncia del 3 agosto 2007, n. 17060, laddove si è sostenuto che «L‘art. 2941 n. 6 del codice civile che dispone la sospensione della prescrizione tra le persone i cui beni siano sottoposti per legge o per provvedimento del giudice all’amministrazione altrui e quelle da cui l’amministrazione è esercitata non è applicabile estensivamente ai rapporti tra debitore e creditori del concordato preventivo con cessione dei beni perché la titolarità dell’amministrazione dei beni ceduti spetta esclusivamente al liquidatore che la esercita non in nome o per conto dei creditori ma nel rispetto delle direttive impartite dal tribunale» (Cfr. dello stesso tenore Corte Cass. 10 febbraio 2009, n. 3270).
Conseguentemente, in ragione del già noto orientamento giurisprudenziale, l’istante avrebbe potuto utilmente attivarsi, nelle more dello svolgimento della procedura di concordato preventivo, al fine di evitare la prescrizione del credito.
Per quanto sopra chiarito, la soluzione prospettata non è condivisibile.
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