La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 2614 depositata il 21 gennaio 2014 intervenendo in tema di reati fiscali ha statuito che per la commissione del reato basta la coscienza e la volontà di non versare all’Erario le ritenute effettuate nel periodo considerato.
Per la Corte le effettive indicazioni inerenti il momento di crisi economica in cui versa il contribuente e la conseguente dimostrazione che il mancato pagamento sia dipeso realmente dall’impossibilità incolpevole di effettuarlo possono escludere il reato di omesso versamento Iva.
La vicenda ha riguardato l’amministratore di una società accusato del reato di cui all’art. 10-ter del DLgs. 74/2000 avendo omesso il versamento Iva alla prevista scadenza, per importi superiori a 50.000 euro entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo, ovvero entro il 27 dicembre 2006. Si difendeva invocando il momento di particolare crisi.
L’imputato veniva condannato sia dal Tribunale che dalla Corte di Appello nonostante avesse eccepito l’impossibilità di far fronte ai versamenti e quindi di assenza dell’elemento soggettivo. I giudici di merito chiariscono che la difficoltà di pagare non aveva alcun pregio in quanto il soggetto passivo dell’imposta ha solo l’obbligo di versare l’Iva che, di conseguenza, era stata utilizzata per fini diversi.
L’imputato proponendo, per la cassazione della sentenza di merito, ricorso alla Corte Suprema confermava come assunto difensivo l’assenza dell’elemento soggettivo del reato e, più in particolare, l’assenza del fine di evadere le imposte, trattandosi di società, non mera “cartiera”, che svolgeva attività ben definite ma purtroppo in un momento di crisi economica.
Gli Ermellini respingono il ricorso dell’imputato confermando la condanna dello stesso sulla base del principio contenuto nella sentenza a sezioni unite n. 37424/2013.
I giudici di legittimità hanno ritenuto che nella richiamata sentenza a Sezioni Unite proceduto ad un’attenta disamina della pronuncia delle Sezioni unite penali n. 37424/2013 hanno evidenziato che diversamente da quanto accade per altre condotte contemplate dal DLgs. 74/2000, il reato di omesso versamento IVA non richiede il fine specifico di evadere le imposte. Per la commissione del reato basta il dolo generico ovvero la coscienza e volontà di non versare all’Erario quanto dovuto; coscienza e volontà che deve investire anche la soglia di punibilità, dal momento che essa è da intendere come elemento costitutivo del reato. Con la sentenza 37424/2013, i giudici supremi, partendo dal presupposto che l’Iva viene riscossa una volta emessa la fattura, presupposto non sempre vero, sussiste un obbligo di “accantonamento” da parte del contribuente per eseguire il successivo versamento, avevano ritenuto integrato il reato anche in presenza di crisi di liquidità. La prova del dolo generico, inoltre, risulta insita nella presentazione della dichiarazione annuale, dalla quale emerge il debito erariale che deve essere saldato o, quanto meno, contenuto nei limiti della soglia entro il termine sopra ricordato.
La sentenza delle sezioni unite, pur nella loro rigorosa interpretazione, sembravano offrire una minima apertura al contribuente che dimostri, oltre alla citata crisi di liquidità anche che l’omesso versamento non fosse dipeso da scelta dell’imprenditore (circostanza per nulla semplice). Infatti le precisazioni fornite dalle Sezioni Unite dovrebbero coprire la circostanza più frequente dell’imprenditore che non versa l’IVA perché non è riuscito a riscuoterla. In tal caso, infatti, appare possibile dimostrare che la crisi di liquidità al momento della scadenza del termine lungo non dipende dalla scelta di non accantonare quanto dovuto all’Erario, proprio perché quanto dovuto non è stato affatto percepito.
I giudici del Palazzaccio con la sentenza del 21 gennaio 2014, che qui si commenta, sembra avallare tale interpretazione. Infatti nel caso di specie hanno escluso l’invocata crisi economica da parte dell’imputato, i giudici di legittimità, in base alla pronuncia delle Sezioni unite espressamente citata, hanno ritenuto che la deduzione riguardante la crisi economica fosse stata generica e in fatto non recava, in particolare, indicazioni specifiche né atte a ravvisare una reale impossibilità incolpevole dell’adempimento tributario del versamento.
Per cui qualora tali elementi fossero stati puntualmente provati, il contribuente non avrebbe risposto dell’illecito penale contestato.
In concreto, probabilmente occorrerebbe dimostrare che il contribuente non sia venuto meno, in tutto o in parte, al dovere di accantonamento dell’imposta precedentemente incassata richiesto dalle Sezioni unite. Si dovrebbe quindi provare, innanzitutto, che l’incasso dell’Iva non è automatico rispetto all’emissione del documento fiscale e quindi che l’omesso versamento sia conseguenza (in tutto o in parte) di tali mancati incassi.
Va da sé che una modifica normativa, che tenga conto del particolare momento economico ed in linea con la delega fiscale che pare escludere la rilevanza penale delle condotte non fraudolente, appare non più differibile.
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