CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 7563 del 15 aprile 2016
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – PREVIDENZA SOCIALE – PREVIDENZA – INPS – CONTRIBUTI GESTIONE COMMERCIANTI – OMISSIONE – CARTELLE ESATTORIALI – DECADENZA
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza depositata il 17.3.2009 la Corte d’Appello di Firenze, riuniti gli appelli proposti dall’Inps nei confronti di R.A. avverso le sentenze emesse dal Tribunale della stessa sede in data 18.1.2006 e 24.10.2006, in riforma delle pronunce di primo grado, dichiarava inammissibile l’opposizione spiegata da R.A. avverso la cartella esattoriale n. 041 2002 00064497 30 con la quale gli era stato intimato il pagamento dei contributi gestione commercianti 4° rata anno 2000 ed anno 2001 e respingeva le opposizioni formulate avverso ulteriori cartelle esattoriali con le quali era stato ingiunto il pagamento di contributi per il medesimo titolo in relazione agli anni 1999-2004.
La Corte territoriale, per quel che in questa sede rileva, precisava che, attesa la natura perentoria del termine di cui all’art. 24 d. Igsl. n. 46/99, doveva ritenersi priva di rilievo la sospensione disposta da parte del concessionario per la riscossione in relazione alla cartella esattoriale n. 041 2002 00064497 30, trattandosi di un atto che riverberava i propri effetti sul piano meramente esecutivo del titolo, senza modificare il regime decadenziale sancito dalla disposizione, volto ad assicurare la certezza delle situazioni giuridiche, che ne giustifica il carattere perentorio.
Con riferimento alla questione attinente alla sussistenza di un obbligo di iscrizione alla gestione commercianti o a quella separata per il socio amministratore che sia anche gestore dell’impresa commerciale, faceva richiamo al concetto di prevalenza della attività elaborato dalla giurisprudenza di legittimità in ragione dell’esigenza di non duplicare l’iscrizione in gestioni diverse e concorrenti. Nell’ottica descritta, rimarcava che le acquisizioni probatorie deponevano in guisa inequivoca nel senso dello svolgimento da parte del R., di attività commerciale in regime di prevalenza rispetto a quella di amministratore della società (la I. s.r.l.), precisando che, dal canto suo, il medesimo appellato non aveva dedotto alcunché onde dimostrare che l’attività di amministratore della società fosse stata la sua prevalente occupazione.
Avverso tale decisione interpone ricorso per cassazione il R. affidato a tre motivi trasfusi in quesiti di diritto ed illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c.. Resiste l’Inps in proprio e quale mandatario della S.C.C.I. s.p.a. con controricorso.
La E.C. s.p.a. non ha svolto attività difensiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. In ordine logico appare opportuno esaminare con priorità il terzo mezzo di impugnazione con il quale è denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 1 comma 202, 203 e 208 l. 662/96, dell’art. 2 comma 26 l. 335/95, dell’art. 2697 c.c. e 115 c.p.c. ex art. 360 comma primo n. 3 c.p.c. nonché omessa, insufficiente motivazione in relazione all’art. 360 comma primo n. 5 c.p.c.
La critica si concentra, in estrema sintesi, sulla statuizione con la quale la Corte distrettuale ha ritenuto prevalente l’attività commerciale espletata nell’ambito del contesto aziendale, tralasciando di considerare i dati istruttori dai quali emergeva lo svolgimento con carattere di abitualità e preponderanza, di attività che giustificavano l’iscrizione alla Gestione Separata. Si puntualizza che l’attività svolta in ambito societario, si articolava nella attività professionale di architetto ed in quella di consigliere delegato, con esclusione di poteri gestori ed atti a realizzare la commercializzazione di prodotti, l’organizzazione ed il coordinamento dei fattori di produzione e la conduzione del punto vendita della I. s.r.l.; elementi questi la cui evidenza si imponeva alla stregua dei dati istruttori acquisiti in giudizio (verbale ispettivo, dichiarazioni testimoniali).
2. Viene formulato il seguente quesito: “Accerti la Corte se vi è violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1 comma 202, comma 203, comma 208 della legge 23.12.1996 n. 662, dell’art. 2 comma 26 della l. 335/95, in relazione all’art. 2697 c.c. e dell’art. 115 c.p.c. nonché erronea o comunque insufficiente motivazione ed enunci il seguente principio di diritto: “nell’ambito di una società a responsabilità limitata che ha per oggetto sia la progettazione il commercio impianti illuminazione, socio svolge attività professionale quale è necessaria l’iscrizione in albi professionali e contemporaneamente consigliere delegato non partecipa personalmente al lavoro nel ramo commerciale i dell’azienda con operativa carattere abitualità misura preponderante rispetto agli altri fattori produttivi, deve essere iscritto nella gestione commercianti, ma solo separata”.
3. La censura va disattesa per plurimis ragioni.
Occorre verificare anzitutto (e l’indagine è doverosa, trattandosi di questione da esaminare d’ufficio), se i motivi dell’impugnazione, proposta nei termini, siano tutti ammissibili in relazione alla disposizione di cui all’art. 366 bis c.p.c., applicabile, nella specie, ratione temporis (D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 27, comma 2) trattandosi di impugnazione per cassazione di sentenza pubblicata in data 17.3.2009.
3.1 Nell’interpretazione della norma di cui all’art. 366 bis c.p.c. questa Corte (ex plurimis Cass., S.U., 26-3-2007 n. 7258, Cass. 24-11-2011 n.24850) ha stabilito che il rispetto formale del requisito imposto per legge risulta assicurato sempre che il ricorrente formuli, in maniera consapevole e diretta, rispetto a ciascuna censura, una conferente sintesi logico giuridica della questione sottoposta al vaglio del giudice di legittimità, sicché dalla risposta (positiva o negativa), che al quesito medesimo deve essere data, possa derivare la soluzione della questione circa la corrispondenza delle ragioni dell’impugnazione ai canoni indefettibili della corretta applicazione della legge, restando, in tal modo, contemporaneamente soddisfatti l’interesse della parte alla decisione della lite e la funzione nomofilattica propria del giudizio di legittimità.
È stato, pertanto, precisato che il nuovo requisito processuale non può consistere nella mera illustrazione delle denunziate violazioni di legge, ma è, invece, indispensabile che il ricorso rechi per ciascun motivo la chiara indicazione di un quesito di diritto che deve essere formulato, ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., in termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica unitaria della questione, onde consentire alla corte di cassazione l’enunciazione di una regala iuris suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata (vedi di recente, Cass. S.U. 23-9-2013 n. 21672).
3.2 Ne consegue che è inammissibile il motivo di ricorso tanto se sorretto da un quesito la cui formulazione sia del tutto inidonea a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta controversia (Cass. 25-3-2009, n. 7197), così come nel caso di specie, quanto sia destinato a risolversi, (Cass. 19-2-2009, n. 4044), nella generica richiesta rivolta al giudice di legittimità di stabilire se sia stata o meno violata una certa norma, come, parimenti, verificatosi nello specifico.
Il quesito deve, di converso, investire la ratio decidendi della sentenza impugnata, proponendone una alternativa di segno opposto: le stesse sezioni unite di questa corte hanno chiaramente specificato (Cass. ss. uu. 2-12-2008, n. 28536) che deve ritenersi inammissibile per violazione dell’art. 366 bis cod. proc. civ. il ricorso per cassazione nel quale l’illustrazione dei singoli motivi sia accompagnata dalla formulazione di un quesito di diritto che si risolve in una tautologia o in un interrogativo circolare, che già presupponga la risposta ovvero la cui risposta non consenta di risolvere il caso sub iudice. La corretta formulazione del quesito esige, in definitiva, che il ricorrente dapprima indichi in esso la fattispecie concreta, poi la rapporti ad uno schema normativo tipico, infine formuli, in forma interrogativa e non assertiva, il principio giuridico di cui chiede l’affermazione (vedi Cass. 23-9-2013 n. 21672, Cass. 25-9-2007 n. 19892).
Non essendo trasfusa la censura in quesito di diritto articolato in conformità ai canoni enunciati dalla giurisprudenza di questa Corte, sotto tale profilo va ritenuta inammissibile.
4. E’ bene in via ulteriore rammentare che la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione intrinsecamente eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate sotto i numeri 3 e 5 del primo comma dell’art. 360 c.p.c., mostra di non tener conto dell’impossibilità della prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o della falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione; o quale l’omessa motivazione, che richiede l’assenza di motivazione su un punto decisivo della causa rilevabile d’ufficio, e l’insufficienza della motivazione, che richiede la puntuale ed analitica indicazione della sede processuale nella quale il giudice d’appello sarebbe stato sollecitato a pronunciarsi, e la contraddittorietà della motivazione, che richiede la precisa identificazione delle affermazioni, contenute nell’impugnata sentenza, che si porrebbero in contraddizione tra loro (vedi in motivazione, Cass. 23-9-2011 n. 19443).
4.1 Nell’ottica descritta, della contemporanea proposizione di censure aventi ad oggetto violazione di legge e vizi della motivazione, si realizza, invero, una negazione della regola di chiarezza posta dall’art. 366 c. 1 n.4 c.p.c. giacché si affida alla Corte di cassazione il compito di enucleare dalla mescolanza dei motivi la parte concernente il vizio di motivazione, che invece deve avere una autonoma collocazione (vedi fra le tante, Cass. Sez. Lav. 26-3-2010 n. 7394 cui adde Cass. 8-6-2012 n. 9341, Cass. 20-9-2013 n. 21611).
Ciò a tacer del fatto che il motivo si sarebbe dovuto concludere, per costante giurisprudenza di questa Corte con un momento di sintesi del fatto controverso e decisivo, per circoscriverne puntualmente i limiti in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (cfr., ex aliis, Cass. S.U. 1°-10-07 n. 20603; Cass. Sez. IlI 25-2-08 n. 4719; Cass. Sez. IlI 30-12-09 n. 27680), il che non è avvenuto. Né tale momento di sintesi può evincersi dai contesto generale dell’atto.
4.2 In ogni caso, va rimarcato che la articolata censura tende a pervenire ad un’inammissibile revisione delle valutazioni e del convincimento dei giudici del gravame con l’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (in termini, vedi in motivazione, Cass. 4-4-2014 n. 8008, Cass. SS.UU.25-10-2013 n. 24148).
Invero questa Corte non è investita del potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma solo quello di controllare, sul piano della coerenza logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito, al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento, controllarne l’attendibilità e la concludenza nonché scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti in discussione, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (vedi fra le numerose altre, Cass. cit. n. 8008/14). Al contempo, va considerato che, affinché la motivazione adottata da giudice di merito possa essere considerata adeguata e sufficiente, non è necessario che essa prenda in esame, al fine di confutarle o condividerle, tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma è sufficiente che il giudice, individuando le fonti del proprio convincimento e scegliendo tra le complessive risultanze del processo quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti, indichi le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in questo caso ritenere implicitamente rigettate tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse.
5. Sulla base delle esposte considerazioni si deve allora rilevare che la censura formulata dal ricorrente, tende a sollecitare un nuovo esame delle risultanze istruttorie secondo una diversa ricostruzione del materiale probatorio, inammissibile nella presente sede, per quanto sinora detto, e comunque inidonea ad inficiare il punto centrale della motivazione della Corte distrettuale che ha ricostruito la vicenda sostanziale attenendosi coerentemente alle acquisizioni processuali e non incorrendo in contraddittorie affermazioni o illogiche ricostruzioni del materiale probatorio, laddove ha fatto puntuale richiamo alle numerose deposizioni testimoniali del tutto convergenti nel ricondurre alla attività di progettazione e vendita dei prodotti I., il nucleo fondante delle competenze ascritte al ricorrente.
5.1 Detto terzo motivo va pertanto, rigettato, restando logicamente assorbiti i primi due (mediante i quali si deduce – con riferimento alle cartelle esattoriali successive alla prima – violazione di plurime disposizioni di legge e difetto di motivazione, per esser precluso all’Inps di procedere all’imposizione contributiva mediante ruoli esattoriali relativi alle rate successive nella stessa gestione commercianti, pendente il ricorso giudiziario di accertamento negativo relativo alla prima, sino alla pronuncia definitiva del giudice).
Alla reiezione del ricorso consegue la condanna del R., per il principio della soccombenza, al pagamento delle spese del presente giudizio in favore dell’Inps,nella misura in dispositivo liquidata.
Nessuna statuizione va emessa in ordine alle spese con riferimento alla E.C. s.p.a. che non ha svolto attività difensiva.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio in favore dell’Inps che liquida in euro 100,00 per esborsi ed euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge. Nulla per le spese nei confronti della E.C. s.p.a.
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