La Corte di Cassazione, sezione 3°, con l’ordinanza n. 3097 depositata il 2 febbraio 2024, intervenendo in tema di inadempimento dell’Amministrazione finanziaria, ha ribadito il principio di diritto secondo cui, dopo le modifiche introdotte dal d.lgs. n. 156 del 2015 con cui è stata eliminata la possibilità per il contribuente di ricorrere al processo di esecuzione forzata regolato dal codice di procedura civile, “il giudizio di ottemperanza costituisce l’unico rimedio per l’attuazione delle sentenze tributarie nel caso di inadempimento dell’Amministrazione” (Cass. 12/04/2022, n.11908);
Gli Ermellini nella sentenza in commento hanno precisato che “… detto giudizio presenta connotati del tutto diversi rispetto al corrispondente giudizio esecutivo civile, “dal quale si differenzia perché il suo scopo non è quello di ottenere l’esecuzione coattiva del comando contenuto nella decisione passata in giudicato, quanto piuttosto quello di dare concreta attuazione a quel comando, anche se questo non contenga un precetto dotato dei caratteri propri del titolo esecutivo, compiendo gli accertamenti indispensabili a delimitare l’effettiva portata precettiva della sentenza” (Cass. 4/06/2020, n. 10570 in motivazione);
atteso che, ai sensi dell’art. 67 bis del d.lgs. n. 546/1992, introdotto dal d.lgs. n 156/2015, le sentenze delle Commissioni tributarie sono immediatamente esecutive non è necessario dotarle di uno strumento giuridico per rendere effettivo quel comando;
l’art. 67 bis dianzi evocato prevede che “Le sentenze delle commissioni tributarie sono esecutive”, precisando, subito dopo, “secondo quanto previsto dal presente capo“;
ora “posto che tale riferimento deve intendersi effettuato al D.Lgs. n. 546 del 1992, capo IV, concernente “L’esecuzione delle sentenze delle commissioni tributarie”, e non già al capo III, relativo a “Le impugnazioni” ove l’art. 67-bis è collocato (come evidenziato in modo pressoché unanime dai commentatori della novella), è alle disposizioni di tale capo che occorre fare riferimento […] l’immediata esecutività è espressamente riconosciuta dall’art. 69 con riguardo alle sentenze di condanna al pagamento di somme in favore del contribuente, nonché a quelle relative agli atti concernenti le operazioni catastali. Quanto alle sentenze che accolgono in tutto o in parte il ricorso avverso gli atti impositivi di cui all’art. 68, l’esecutività […] era già insita nella disciplina che riconosceva al contribuente la possibilità di chiedere il rimborso del tributo versato in eccesso. Per effetto delle modifiche introdotte dalla novella del 2015, entrambe le disposizioni ora richiamate, inoltre, riconoscono al contribuente, nel caso di mancata esecuzione della sentenza, la possibilità di chiedere l’ottemperanza ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 70, (art. 68, comma 2 e art. 69, comma 5)”: così Cass. 12/04/2022, n.11908; …”
Il Supremo consesso, con l’ordinanza n. 3097 del 2024 e Cass., sezione tributaria, ordinanza n. 11286 del 2022, ha costantemente affermato che “In tema di spese di lite nel processo tributario, se il pagamento in favore del contribuente, o del difensore antistatario, non è eseguito spontaneamente dall’Amministrazione nel termine di novanta giorni dalla notifica della sentenza, ai sensi dell’art. 38 del d.lgs. n. 546 del 1992, le somme dovute a tale titolo possono essere richieste con il giudizio di ottemperanza, senza necessità di formale costituzione in mora e senza dover attendere il passaggio in giudicato della sentenza che ha dato luogo al titolo di pagamento”;
a tale conclusione questa Corte è giunta dopo aver rilevato che con “la novella di cui al d.lgs. n. 156 del 2016, che si applica in virtù di quanto previsto dalla disposizione transitoria di cui all’art. 12, comma 1, d.lgs. cit., a decorrere del 10 giugno 2016 […] Si è esteso così al processo tributario il principio di cui all’art. 282 cod. proc. civ., ed ai sensi del comma 4, dell’art. 69, d.lgs. n. 546 del 1992, il pagamento delle somme dovute a tale titolo al contribuente o al difensore antistatario, deve essere eseguito nel termine di novanta giorni dalla notifica della sentenza secondo le modalità previste di cui all’art. 38, d.lgs. citato, ed in caso di mancata esecuzione della sentenza, prevede il comma 4, dell’art. 69 in esame, il contribuente può promuovere il giudizio di ottemperanza senza necessità di formale costituzione in mora e, soprattutto, senza dover attendere il passaggio in giudicato della sentenza medesima”; …”
I giudici di legittimità hanno costantemente affermato che “… in tema di contenzioso tributario, il giudizio di ottemperanza, ammissibile ogni qualvolta debba farsi valere l’inerzia dell’Amministrazione rispetto al giudicato o la difformità specifica dell’atto posto in essere dalla stessa rispetto all’obbligo processuale di attenersi all’accertamento contenuto nella sentenza da eseguire, si differenzia dal concorrente giudizio esecutivo civile, perché il suo scopo non è quello di ottenere l’esecuzione coattiva del comando contenuto nel giudicato, ma di rendere effettivo quel comando, anche e specialmente se privo dei caratteri di puntualità e precisione tipici del titolo esecutivo, al che deriva che, non essendo previsto alcun termine per l’Amministrazione per adempiere al giudicato e non potendosi applicare al termine previsto dal comma 1 dell’art. in quanto previsto per le sole procedure esecutive, unica condizione per la proponibilità del giudizio di ottemperanza è il decorso del termine di trenta giorni dalla messa in mora a mezzo di ufficiale giudiziario, ai sensi dell’art. 70, secondo comma, ultima parte, del d. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546» (Cfr. Cass., V, n. 31690/2021; Cass. T, n. 26137/2023). …” (Cass.. sez. tributaria, ordinanza n. 2393 del 2024)
In ogni caso “… l’incardinamento del giudizio di ottemperanza non priva l’Amministrazione del potere di procedere all’adempimento fintanto che il provvedimento attuativo non sia stato emesso, adempimento che se 4 Corte di Cassazione – copia non ufficiale intervenuto tardivamente può incidere sulle spese del processo (Cass. n. 25147/2016; n. 11286/2022). …”
Giudizio di ottemperanza: natura
La Suprema Corte ha costantemente evidenziato che “… la peculiare natura “attuativa” del giudizio di ottemperanza, ed in particolare di quello tributario, nel senso che (Cass. 20 giugno 2019, n. 16569, in motivazione): «5.4. Tale giudizio presenta, quindi, connotati del tutto diversi rispetto al corrispondente giudizio esecutivo civile, dal quale si differenzia, perché il suo scopo non è quello di ottenere l’esecuzione coattiva del comando contenuto nella decisione passata in giudicato, quanto piuttosto quello di dare concreta attuazione a quel comando, anche se questo non contenga un precetto dotato dei caratteri propri del titolo esecutivo (Cass. n. 646 del 18/1/2012; Cass. n. 4126 del 1/3/2004; Cass. n. 20202 del 24/9/2010), compiendo gli accertamenti indispensabili a delimitare l’effettiva portata precettiva della sentenza. 5.5. Ciò comporta che, se da un lato, il potere del giudice dell’ottemperanza sul comando definitivo inevaso non può che essere esercitato entro i confini invalicabili posti dall’oggetto della controversia definita con il giudicato, non potendo essere attribuiti alle parti diritti nuovi ed ulteriori rispetto a quelli riconosciuti con la sentenza da eseguire (cd. “carattere chiuso del giudizio di ottemperanza”), dall’altro lato, può – e deve – essere enucleato e precisato da quel giudice il contenuto degli obblighi scaturenti dalla sentenza da eseguire, chiarendosene il reale significato (Cass. n. 22188 del 24/11/2004; Cass. n. 28944 del 10/12/2008; Cass. n. 11450 del 25/5/2011; Cass. n. 15827 del 29/7/2016). 5.6. La sentenza e gli obblighi che da essa scaturiscono segnano, dunque, il limite dell’oggetto del giudizio in questione, potendo il ricorso per ottemperanza essere proposto solo per far valere le statuizioni che sono contenute nel giudicato o, comunque, per conseguire posizioni giuridiche che dallo stesso discendono come autonoma conseguenza di legge, ma non per trattare questioni nuove o indipendenti rispetto al giudizio conclusosi con la sentenza di cui si chiede la esecuzione; il giudice dell’ottemperanza, tuttavia, al fine di assicurare la piena attuazione del giudicato, può enucleare e precisare il contenuto degli obblighi nascenti dalla sentenza passata in giudicato (come, ad esempio, può avvenire con riguardo agli accessori del credito consacrato nel decisum che, per loro natura, devono essere considerati ricompresi nella pronuncia da eseguire). In sostanza, anche quando il comando non risulta ben definito, il giudice dell’ottemperanza può compiere un’attività cognitiva e ricostruttiva degli obblighi sanciti dalla sentenza ormai definitiva, che non è, invece, consentita nel giudizio esecutivo civile». …” (Cass. sez. tributaria, n. 987 del 2024)
Giudizio di ottemperanza e rimborso
In ordine alla possibilità del ricorso al giudizio di ottemperanza nei casi di richiesta di rimborso la Suprema Corte ha costantemente precisato che “… Nel giudizio di ottemperanza, l’attuazione della sentenza di rimborso può sostanziarsi in attività consistenti all’emissione di un titolo di spesa (previo impegno nel relativo Corte di Cassazione – copia non ufficiale 6 di 10 capitolo), senza per questo ridursi ad attività priva di cognizione. In questo senso, si è individuato un criterio discretivo fra giudizi di esecuzione e giudizi di cognizione, ove i secondi sarebbero giudizi ad effetti “bilaterali”, perché idonei ad accertare torto o ragione di entrambe le parti del processo, mentre l’esito del processo esecutivo sarebbe teso a soddisfare l’interesse del solo attore e, su questa differenza il giudizio di ottemperanza sarebbe plasmato sul paradigma del processo esecutivo. Al contrario, pare preferibile riconoscere effetti cognitivi pieni anche al giudizio di ottemperanza, con valenza bilaterale, ove la ragion d’essere (che poi lo distingue dal processo esecutivo) è proprio la necessità di “conoscere” dell’esatta portata del giudicato -anche nei suoi aspetti impliciti- nei confronti di tutte le parti (eredi ed aventi causa), per assicurarne l’esatta attuazione, con una valenza di interesse pubblico all’effettività dell’ordinamento (su punto, cfr. altresì Cass., V, n. 20202/2010). In altri termini, il giudicato copre il dedotto ed il deducibile, ma non può eccedere la statuizione del giudice, sicché, ove il giudizio si sia concluso con l’accertamento dell’illegittimità di un provvedimento, senza disporre una restituzione o un altro facere, il potere torna nelle mani della Pubblica Amministrazione che dovrà provvedere secondo la propria discrezionalità, tenendo conto dell’intervento giudiziale certo, ma non costretta in un percorso obbligato, sicché al contribuente non resta che sollecitare l’esercizio di quei poteri, eventualmente impugnando il silenzio rifiuto. Anche mutando il punto di approccio, la conclusione non cambia, anzi, viene rafforzata. Ed infatti, è ben possibile che con avviso di accertamento si proceda al disconoscimento del credito d’imposta vantato dalla parte contribuente (Cass. V, n. 25095 del 08/10/2019, Rv. 655439 – 01), ma ciò non muta l’impugnazione dell’avviso in domanda di pagamento con le conseguenze preclusive del precedente fondamentale in materia di questa Corte n. 28286 del 18/12/2013 (e giurisprudenza, anche civile ordinaria, ivi cit. sub § 17.5; conf. Cass. V, n. 26433 del 19/10/2018). …” (Cass.. sez. tributaria, sentenza n. 2230 del 2024)
Opposizione alla sentenza in esito al giudizio di ottemperanza: limitazioni delle censure
I giudici di piazza Cavour hanno affermato il principio di diritto secondo cui “… il giudizio di ottemperanza è ammesso solo in presenza di una sentenza esecutiva di carattere condannatorio, restando inammissibile l’azione proposta per ottenere un rimborso di imposta, ove il giudice tributario non abbia deciso in ordine ad un’istanza di rimborso, limitandosi ad accertare l’illegittimità di un avviso di rettifica in base al quale era stata richiesta al contribuente la restituzione del medesimo rimborso (cfr. Cass. V, n. 26433/2018; Cass. V, n. 16569/2019). …” (Cass.. sez. tributaria, sentenza n. 2230 del 2024)
La Corte di Cassazione ha costantemente precisato che “… la corretta interpretazione dell’art. 70, comma 10, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, che limita le censure ammissibili contro la sentenza pronunciata in esito al giudizio di ottemperanza alle sole violazioni di natura procedimentale. In materia, è stato già chiarito che «La disposizione di cui all’art. 70 del D.Lgs. n.546/92 – a mente della quale il ricorso per cassazione contro la sentenza pronunciata in esito al giudizio di ottemperanza è ammesso per “violazione delle norme del procedimento” – va interpretata nel senso che è possibile denunciare alla Suprema Corte non soltanto la violazione delle norme disciplinanti il predetto giudizio, ma anche ogni altro error in procedendo in cui sia incorso il giudice dell’ottemperanza e, in particolare, il mancato o difettoso esercizio del potere – dovere di interpretare e eventualmente integrare il dictum costituito dal giudicato cui l’amministrazione non si sia adeguata o l’omesso esame di una pretesa che avrebbe dovuto trovare ingresso in quella sede», Cass. sez. V, 1.12.2004, n. 22565 (conf., ex plurimis, Cass. 8.2.2008, n. 3057; Cass. 16.4.2014, n. 8830; 28.9.2018, n. 23487). [ (Cass. n. 23379 del 26/07/2022; Cass. 19/05/2022, n. 16289, Cass. 28/09/2018, n. 23487; Cass., , sez. tributaria, n. 2461 del 2024;)]
[…]
“nel giudizio di cassazione, dominato dall’impulso d’ufficio, non trova applicazione l’istituto della interruzione del processo per uno degli eventi previsti dagli artt. 299 e ss. c.p.c., sicché, una volta instaurato il contraddittorio con la notifica del ricorso, la morte dell’intimato non produce l’interruzione del processo”, Cass. sez. III, 3.12.2015, n. 24635. …” (Cass., sez. tributaria, n. 2949 del 2024; n. 2461 del 2024)