In ordine al tema dell’onere della prova di un fatto non avvenuto l’orientamento della Suprema Corte è costante. La regola giuridica dispone che onus probandi incumbit ei qui dicit, che si traduce nel porre a carico della parte che allega un fatto a sé favorevole, il dovere di darne prova dell’esistenza.

Tale principio, contenuto nell’art. 2697 c.c. ed ora anche nel comma 5-bis dell’articolo 7 del d.lgs. n. 546 del 1992, pone a carico dell’attore di provare i fatti posti alla base della propria domanda, mentre sul convenuto ricade l’onere di dimostrare la non veridicità di questi fatti, ovvero la loro inidoneità a costituire valido fondamento della domanda dell’attore o ancora provare l’esistenza di altri fatti capaci di modificare o estinguere il diritto dell’attore. Nel processo tributario in senso sostanziale l’attore è l’Amministrazione finanziaria: su cui grava l’onere della prova dei fatti giustificativi posti a fondamento dei propri rilievi. Sul contribuente grava la sola dimostrazione dei fatti impeditivi, modificativi ed estintivi della pretesa erariale (Cass. n. 11101 del 2022 su tutte).

In conclusione la nuova norma (comma 5-bis dell’art. 7) impone all’Amministrazione finanziaria di dimostrare la fondatezza di ogni sua pretesa, in tal modo consentendo il rispetto del principio del “giusto processo” ed il diritto di difesa del contribuente. Unica circostanza in cui l’onere della prova ricade sul contribuente, come espressamente statuito dal comma 5-bis, concerne la richiesta di rimborso, quando non sia conseguente al pagamento di somme oggetto di accertamenti impugnati.

FATTO NON AVVENUTO

Per la Suprema Corte il principio di ripartizione dell’onere della prova non subisce deroghe anche nei casi in cui il soggetto, su cui grava l’onere della prova, deve dimostrare un fatto non avvenuto. Infatti è stato costantemente affermato dagli Ermellini che l’onere della prova gravante “… su chi intende far valere in giudizio un diritto, ovvero su chi eccepisce la modifica o l’estinzione del diritto da altri vantato, non subisce deroga neanche quando abbia ad oggetto “fatti negativi”, in quanto la negatività dei fatti oggetto della prova non esclude né inverte il relativo onere, tanto più se l’applicazione di tale regola dia luogo ad un risultato coerente con quello derivante dal principio della riferibilità o vicinanza o disponibilità dei mezzi di prova, riconducibile all’art. 24 Cost. e al divieto di interpretare la legge in modo da rendere impossibile o troppo difficile l’esercizio dell’azione in giudizio. Tuttavia, non essendo possibile la materiale dimostrazione di un fatto non avvenuto, la relativa prova può essere data mediante dimostrazione di uno specifico fatto positivo contrario, o anche mediante presunzioni dalle quali possa desumersi il fatto negativo (Cass., Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 8018 del 22/03/2021). (Cass., sez. V, ordinanza n. 6337 del 2024) …” (Cass. Civ., Sez. VI, ordinanza 1 febbraio 2018, n. 2527; Cass. 14/07/2000, 9385, Cass. 11/01/2007, n. 384; Cass. 13/06/2013, n. 14854)

Dimostrazione di un fatto non avvenuto: presunzioni

La Suprema Corte  (Cass. 5744/1993) ha precisato che “… Non esistono fatti negativi: se così fosse, e cioè se si trattasse di “fatti”, non sorgerebbe alcun problema in ordine alla prova degli stessi. Con la locuzione fatti negativi” si intendono fatti che si assume non siano avvenuti: e cioè fatti non accaduti, e, quindi, “non fatti”. È per questo che non è possibile fornire la prova degli stessi, poiché non è possibile dare la dimostrazione di un “non accadimento”.  Ciò che (si assume che) non è accaduto può essere provato solamente mediante presunzioni: il “non accadimento”, difatti, non può essere che desunto, e cioè derivato. E poiché le presunzioni, ai sensi dell’art. 2727 c.c., sono le conseguenze che la legge o il giudice trae da un fatto noto per risalire ad un fatto ignorato, è gioco-forza ritenere che la prova del fatto negativo” dev’essere data con la prova di un fatto positivo contrario poiché questo, con la sua certezza, importa, appunto per presunzione, che debba desumersi il “fatto negativo”.

Ma poiché, come si è rilevato, la prova del “fatto negativo” va data non con un fatto positivo contrario, ma con presunzioni, se è vero che di regola è il fatto positivo contrario che fonda la presunzione che si adduce come prova del “fatto negativo”, non è escluso che fatti pur non (esattamente) contrari a questo, possano, in quanto rispondano a requisiti di gravità, precisione e concordanza, ai quali l’art. 2729 c.c. ancora le presunzioni semplici, costituire fondamento della presunzione del “fatto negativo”. …”