La vicenda ha riguardato un contribuente a cui l’Agenzia delle Entrate notificava un avviso di accertamento. Il contribuente a seguito dell’atto impositivo produceva una istanza di adesione. Trascorsi i 90 giorni senza alcuna risposta dell’Amministrazione finanziaria, e senza aver presentato alcun ricorso, l’accertamento diviene definitivo. Al contribuente viene, successivamente, notificata la relativa cartella di pagamento. Il contribuente avverso la cartella di pagamento propone ricorso in Commissione Tributaria Provinciale, i cui giudici accolgono le doglianze del ricorrente. Avverso la decisione di prime cure l’Amministrazione finanziaria proponeva ricorso alla Commissione Tributaria Regionale. I giudici di appello respingono il ricorso dell’Agenzia. I giudici di appello ritengono la non definitività del titolo azionato, stante la mancata definizione del procedimento di accertamento con adesione promosso dal contribuente.
Avverso la decisione di appello, l’Amministrazione finanziaria, propone ricorso in cassazione fondato su tre motivi.
Gli Ermellini accolgono i primi due motivi. I giudici di legittimità precisano che in tema di accertamento con adesione, “la presentazione dell’istanza di definizione – così come il protrarsi nel tempo della relativa procedura – non comportano l’inefficacia dell’avviso di accertamento, ma ne sospendono soltanto il termine di impugnazione per novanta giorni, decorsi i quali, senza che sia stata perfezionata la definizione consensuale, quest’ultimo, in assenza di tempestiva impugnazione, diviene definitivo, poiché, a norma del D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218, artt. 6 e 12, soltanto all’atto del perfezionamento della definizione l’avviso perde efficacia” (Cass. sez. V, sent. 7208/15; Ord. 3368/10).
Inoltre, i giudici del palazzaccio, puntualizzano che “l’art. 6 cit. consente sì al contribuente di chiedere all’Ufficio la formulazione della proposta di accertamento ai fini dell’eventuale definizione, ma la scelta di invitarlo ad aderire alla definizione transattiva e di fissarne il contenuto è riservata all’Amministrazione finanziaria” (Cass. sez. V, nn. 1839/10, 28051/09), poiché “il Fisco può valutare autonomamente l’opportunità o meno della definizione consensuale”, e dunque “l’istanza dell’interessato non toglie efficacia all’accertamento, ma sterilizza per novanta giorni il termine d’impugnazione”, sicché, “spirato tale spatium deliberandi senza che sia stata definita la composizione bonaria, esso diviene definitivo se non è impugnato nel residuo termine”, secondo un meccanismo “non dissimile da quello per il normale consolidamento del silenzio-rifiuto (L. n. 241 del 1990, art. 2; art. 21 Proc. Trib.), il che rende coerente con l’ordinamento generale considerare tacitamente rigettata l’istanza di accertamento con adesione, una volta che sia spirato quel termine dalla presentazione della istanza senza che l’Ufficio abbia risposto” (Cass. Sez. V, n. 993/15).
Sul tema esaminato dalla sentenza in commento l’orientamento della Corte suprema aveva affermato con la sentenza n. 21991, depositata il 17 ottobre 2014, che in tema di accertamento con adesione, la convocazione del contribuente non costituisce per l’Ufficio un obbligo, ma una facoltà, “da esercitare in relazione ad una valutazione discrezionale del carattere di decisivi degli elementi posti a base dell’accertamento e dell’opportunità di evitare la contestazione giudiziaria” (cfr. anche Cass. 28051/2009; 3368/2012).
Le stesse Sezioni Unite hanno precisato che “In tema di accertamento con adesione, la mancata convocazione del contribuente, a seguito della presentazione dell’istanza D.Lgs. 16 giugno 1997, n. 218, ex art. 6, non comporta la nullità del procedimento di accertamento adottato dagli Uffici, non essendo tale sanzione prevista dalla legge” (Cass. Sez. Unite 3676/2010).
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