Agenzia delle Entrate – Risposta n. 429 del 16 agosto 2022
Soggetto non residente – apertura partita IVA – domicilio fiscale nella sede di svolgimento dell’attività professionale in Italia – articolo 35 del dPR n. 633 del 1972
Con l’istanza di interpello specificata in oggetto, e’ stato esposto il seguente
QUESITO
L’istante, cittadina italiana residente nel Regno Unito, pone il quesito qui sinteticamente rappresentato.
L’istante riferisce di essere iscritta all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (AIRE) dal 2 agosto 2020, di non possedere un identificativo IVA estero, di non svolgere alcuna attività imprenditoriale o professionale nel Paese in cui risiede e di essere intenzionata a svolgere un’attività libero-professionale in Italia.
Tanto premesso, chiede se, all’apertura della Partita IVA, sia possibile indicare quale domicilio fiscale la sede di svolgimento dell’attività professionale.
SOLUZIONE INTERPRETATIVA PROSPETTATA DAL CONTRIBUENTE
In sintesi, l’istante ritiene possibile fissare, all’apertura della Partita IVA in Italia, il domicilio fiscale nella sede di svolgimento della propria attività professionale.
PARERE DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE
Ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 1, della Direttiva CE del 28 novembre 2006, n. 112 – alla quale sono state uniformate le norme nazionali in tema di soggettività IVA –
«Si considera “soggetto passivo” chiunque esercita in modo indipendente e in qualsiasi luogo, un’attività economica, indipendentemente dallo scopo e dai risultati di detta attività. Si considera “attività economica” ogni attività di produzione, di commercializzazione o di prestazione di servizi, comprese le attività estrattive, agricole, nonché quelle di professione libera o assimilate. Si considera, in particolare, attività economica lo sfruttamento di un bene materiale o immateriale per ricavarne introiti aventi caratteri di stabilità».
La normativa nazionale attribuisce la natura di soggetto passivo IVA a colui che, nell’esercizio d’impresa, arti o professioni, ex articoli 4 e 5 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 (“decreto IVA”), effettua le cessioni di beni o le prestazioni di servizi (ex articoli 2 e 3 del decreto IVA) rilevanti nel territorio dello Stato (ex articolo 7 del medesimo decreto).
Con particolare riferimento alle prestazioni di servizi – cui va ricondotta l’attività professionale che l’istante intende svolgere – l’articolo 7, comma 1, del decreto IVA, alla lettera d) prevede, ai fini IVA, che «per “soggetto passivo stabilito nel territorio dello Stato” si intende un soggetto passivo domiciliato nel territorio dello Stato o ivi residente che non abbia stabilito il domicilio all’estero, ovvero una stabile organizzazione nel territorio dello Stato di soggetto domiciliato e residente all’estero, limitatamente alle operazioni da essa rese o ricevute. Per i soggetti diversi dalle persone fisiche si considera domicilio il luogo in cui si trova la sede legale e residenza quello in cui si trova la sede effettiva;».
In linea generale, dunque, chi presta attività professionale si considera soggetto passivo IVA in Italia se:
Italia,
- è domiciliato in Italia, anche se residente all’estero;
- è residente in Italia e non è domiciliato all’estero;
- è domiciliato o residente all’estero ma possiede una stabile organizzazione in con la conseguenza, che, in presenza di uno di questi elementi, le prestazioni rese si considerano, in linea generale, effettuate in Italia.
Ai fini dell’imposizione sul reddito, a sua volta, l’articolo 2, comma 2 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR), assimila ai cittadini residenti le persone fisiche che «[…] hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del Codice civile», mentre, l’articolo 58 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, prevede che le persone fisiche «[…] non residenti hanno il domicilio fiscale nel comune in cui si è prodotto il reddito o, se il reddito è prodotto in più comuni, nel comune in cui si è prodotto il reddito più elevato».
Al riguardo, ai fini della definizione dei concetti di residenza e domicilio è utile richiamare la circolare n. 304 del 2 dicembre 1997, con cui il Ministero delle Finanze ha chiarito che «[…] l’aver stabilito il domicilio civilistico in Italia ovvero l’aver fissato la propria residenza nel territorio dello Stato sono condizioni sufficienti per l’integrazione della fattispecie di residenza fiscale, indipendentemente dall’iscrizione nell’anagrafe della popolazione residente».
In particolare, come chiarito dalla citata circolare, «La residenza è definita dal codice civile come “il luogo in cui la persona ha la dimora abituale”. Pertanto è possibile affermare che essa è determinata dall’abituale volontaria dimora di una persona in un dato luogo, sicché concorrono ad instaurare tale relazione giuridicamente rilevante sia il fatto oggettivo della stabile permanenza in quel luogo sia l’elemento soggettivo della volontà di rimanervi, la quale, estrinsecandosi in fatti univoci evidenzianti tale intenzione, è normalmente compenetrata nel primo elemento (Cass. 5 febbraio 1985, n. 791). (…) la giurisprudenza prevalente sostiene che il domicilio è un rapporto giuridico col centro dei propri affari e prescinde dalla presenza effettiva in un luogo (Cass. 29 dicembre 1960, n. 3322).
Esso consiste dunque principalmente in una situazione giuridica che, prescindendo dalla presenza fisica del soggetto, è caratterizzata dall’elemento soggettivo, cioè dalla volontà di stabilire e conservare in quel luogo la sede principale dei propri affari ed interessi (Cass. 21 marzo 1968, n. 884).»
Alla luce della circolare sopra citata, risulta evidente che:
- è irrilevante l’iscrizione nell’anagrafe della popolazione residente ai fini dell’individuazione del soggetto passivo d’imposta in Italia;
- la residenza è intesa quale res facti, poiché non può prescindere dall’insistere sul luogo, con relativa stabilità, del soggetto e l’elemento intenzionale assume rilevanza secondaria;
- il domicilio è, invece, definito res iuris in quanto situazione giuridica caratterizzata dalla volontà di stabilire e conservare in un determinato luogo la sede principale dei propri affari ed interessi (vedi in questo senso la sentenza della Corte di Cassazione del 21 marzo 1968, n. 884).
Nel caso di specie, non v’è dubbio che l’intenzione dell’interpellante sia quella di costituire nel territorio italiano il centro dei propri interessi, ed ivi svolgere l’attività lavorativa. Pertanto, la circostanza che nel territorio italiano venga costituito il domicilio fiscale, pur in presenza della residenza in un paese terzo (Regno Unito) non è di ostacolo a considerare l’istante quale soggetto passivo di imposta alla stregua di un soggetto residente. Peraltro, poiché l’istante non svolge, nel paese di residenza, così come rappresentato nella richiesta, alcuna attività professionale o imprenditoriale, nel modello AA9/12, presentato ai sensi dell’articolo 35 del decreto in materia IVA, dovrà indicare il domicilio fiscale ossia il luogo ove sarà svolta l’attività lavorativa, al fine di dotarsi di una partita IVA ordinaria.
Si osserva, infine, che i redditi riconducibili all’attività svolta in Italia andranno ivi assoggettati ad imposizione.
L’articolo 14 della vigente Convenzione tra Italia e Regno Unito, approvata con legge 5 novembre 1990, n. 329, infatti, prevede che, «I redditi che un residente di uno Stato contraente ritrae dall’esercizio di una libera professione o di altre attività di carattere indipendente sono imponibili soltanto in detto Stato a meno che egli non disponga abitualmente nell’altro Stato contraente di una base fissa per l’esercizio della sua attività. Se egli dispone di tale base fissa, i redditi sono imponibili nell’altro Stato ma unicamente nella misura in cui sono attribuibili a detta base fissa.
L’espressione “libera professione” comprende in particolare le attività indipendenti di carattere scientifico, letterario, artistico, educativo o pedagogico, nonché le attività indipendenti dei medici, avvocati, ingegneri, architetti, dentisti e contabili».
Detta disposizione, in sintesi, nell’assoggettare ad imposizione i redditi provenienti “dall’esercizio di una libera professione o di altre attività di lavoro indipendente” esclusivamente nello Stato di residenza del contribuente, fa salvi i redditi che il beneficiario ottiene grazie ad una “base fissa” posta nell’altro Stato contraente, ipotesi che rende applicabile un regime di tassazione concorrente in entrambi i Paesi e la successiva applicazione del credito d’imposta nel Paese di residenza per le imposte pagate all’estero.
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