TRIBUNALE DI ROMA – Ordinanza 01 febbraio 2020, n. 12119
Assistenza figlio portatore di handicap in condizione di gravità – Comando a prestare attività giornalistica in regime di trasferta – Accertamento della legittimità del provvedimento – Astensione non retribuita – Diritto al concreto svolgimento della prestazione lavorativa
Visto il ricorso ex art. 700 c.p.c., promosso da (…) (difesa dall’Avv. P.P.) nei confronti di (…) Srl, con cui si chiede di “ordinare” alla predetta datrice di lavoro “di disporre la immediata e concreta adibizione al lavoro della dott.ssa (…)”;
visto l’atto di intervento della Consigliera di Parità della Città Metropolitana di (…)'”dott.ssa (…) (difesa dall’Avv. G.B.), con cui si chiede che il G.L., “ritenuta la natura discriminatoria della condotta posta in essere dalla società convenuta, annullarla, accogliendo il ricorso della ricorrente ed adottare ogni provvedimento opportuno per la rimozione degli effetti della condotta illegittima in danno della ricorrente”;
vista la memoria di costituzione e risposta di (…) Srl (difesa dagli Avv.ti F.R., A.P. e M.P.C.), in cui si chiede di “rigettare integralmente il ricorso ex art. 700 c.p.c. avversario, in quanto inammissibile e/o infondato in fatto ed in diritto”; letti gli atti; a scioglimento della riserva di cui all’udienza 16.1.2020, si osserva quanto segue.
La ricorrente, dipendente della convenuta dal (…).1.2005 in qualità di redattore, assegnata alla redazione giornalistica romana (…), madre di una bambina portatrice di handicap in condizione di gravità, con missiva del 14.3.2019, è stata “comandata a prestare attività giornalistica in regime di trasferta presso la struttura TG (…) della redazione di Milano”, “con decorrenza dal 20.3.2019 fino al 30.4.2019”.
In seguito a ricorso cautelare promosso dalla (…), il Tribunale di Roma, con ordinanza dell’8.4.2019, ha ritenuto che “lo spostamento della ricorrente, pur configurandosi dal punto di vista formale come trasferta”, “di fatto” realizzasse “un trasferimento”, avuto riguardo “alla complessa procedura di riorganizzazione che (aveva) determinato la cessazione di talune attività giornalistiche non più funzionali al nuovo assetto editoriale della testata e il trasferimento presso la sede di Milano delle attività redazionali restanti, ad eccezione della redazione politica e Centro Italia”, nonché al sistematico, successivo e continuativo rinnovo dei provvedimenti di trasferta presso la sede di Milano disposti nei confronti degli altri dipendenti, non licenziati e pur ritenuti in esubero rispetto la ridotta redazione romana.
Tale provvedimento cautelare, non reclamato dalla (…) è tutt’ora efficace tra le parti: ha invero la società promosso un ricorso volto all’accertamento della legittimità del provvedimento di trasferta disposto nei confronti della ricorrente – ricorso di cui peraltro la ricorrente ha preliminarmente eccepito l’inammissibilità -, ma il relativo giudizio è ancora pendente; sicché non è intervenuta alcuna sentenza che abbia dichiarato l’inesistenza dei diritto a tutela del quale è stato emesso il provvedimento cautelare.
Per quanto osservato, allo stato, sussiste una statuizione giudiziale pienamente efficace tra le parti, che in sostanza riconosce il diritto della ricorrente ad essere assegnata presso la redazione romana della società resistente, stante la ritenuta illegittimità del trasferimento presso la redazione milanese.
Detto questo, il riconosciuto diritto della ricorrente a lavorare presso la sede romana va necessariamente ritenuto quale diritto al concreto svolgimento della prestazione lavorativa presso la predetta sede, non potendo certo esso esaurirsi nel diritto alla mera formale assegnazione alla sede romana.
Ora, però, la ricorrente, in forza di reiterati provvedimenti, è collocata (a decorrere dal 31.5.2019 e in virtù di successive proroghe sino all’attualità) in astensione non retribuita. In tal modo, pur rimanendo formalmente assegnata alla sede romana, di fatto non svolge da tempo alcuna attività lavorativa, rimanendo quindi sostanzialmente estromessa dal contesto lavorativo.
Ebbene, deve a questo punto evidenziarsi l’assoluta condivisibilità degli assunti difensivi attorei, concernenti l’esatto contenuto del diritto al lavoro, che non può esaurirsi certo nel diritto al posto di lavoro, dovendo necessariamente includere anche il diritto alla svolgimento della prestazione lavorativa. Se, infatti, in sede di ricostituzione della funzionalità del rapporto, in seguito all’accertamento dell’illegittimità del recesso datoriale, la reintegrazione del lavoratore, ai sensi dell’art. 18 St. Lav., presuppone l’effettiva sua riammissione in servizio e non solo la formale ricostruzione ex tunc del rapporto, tale diritto del prestatore di lavoro (previsto quale rimedio alla patologia del rapporto) sussiste a maggior ragione nell’ambito del suo fisiologico svolgimento.
“Del resto l’art. 18 L. 300/1970 non è l’unica fonte che riconosce la sussistenza del diritto del lavoratore ad eseguire la prestazione dovuta. E’ sufficiente (infatti) richiamare l’art. 2103 c.c., che stabilisce espressamente e positivamente che il lavoratore deve essere adibito (ed ha diritto di essere adibito) alle sue mansioni e a mansioni equivalenti”; sicché “il lavoratore ha … diritto, a maggior ragione, a non essere allontanato da ogni mansione, cioè ha diritto all’esecuzione della prestazione lavorativa”, diritto questo cui corrisponde un “correlativo obbligo”, in capo al datore di lavoro (creditore della medesima) a “non lasciarlo in forzata inattività, poiché il lavoro costituisce un mezzo non solo di guadagno, ma anche di estrinsecazione della personalità” (v. Cass. 18537/2004, citata in ricorso, nonché Cass. 1530/1998; 6265/1995).
L’azione con cui il lavoratore lamenta l’illegittimità del proprio stato di forzosa inattività, chiedendo la condanna del datore di lavoro ad adibirlo all’attività lavorativa per la quale è stato assunto, è senz’altro un’azione di inadempimento contrattuale. Ne consegue che il predetto può limitarsi ad allegare l’inadempimento della controparte, gravando, invece, sul debitore convenuto l’onere della prova o del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dell’avvenuto adempimento, o della sopravvenuta impossibilità del predetto adempimento.
Ebbene, la resistente, nel costituirsi in giudizio, ha sostenuto che la scelta di collocare la ricorrente in astensione retribuita sarebbe stata dettata dall’impossibilità di adibire la ricorrente presso la sede romana, per effetto del documentato processo di riorganizzazione (che ha determinato la cessazione di talune attività giornalistiche non più funzionali al nuovo assetto editoriale della testata, il trasferimento presso la sede di Milano delle attività redazionali restanti ed il mantenimento presso la sede romana della sola redazione politica e Centro Italia), dell’indisponibilità della lavoratrice di accettare la prospettata trasferta presso la sede milanese e dalla volontà datoriale di evitarne però il licenziamento, avuto riguardo alla peculiarità delle sue condizioni familiari.
Ora, però, è la stessa resistente a riconoscere che presso la redazione romana sono rimasti in servizio 31 giornalisti ed invero, in nessun passaggio della memoria, arriva a sostenere che la ricorrente, che ha maturato dall’assunzione un’esperienza ultradecennale come redattore nei campi più disparati dell’attività giornalistica, non avrebbe la professionalità per occupare uno dei posti pacificamente presenti presso tale redazione.
Tanto chiarito, si è vero che, in generale, il sindacato del giudice non può essere dilatato sino al punto di valutare il merito della scelta operata dall’imprenditore – che come ritenuto da condivisibile orientamento giurisprudenziale, nel caso di trasferimento di un lavoratore ad un’altra sede, “non deve necessariamente presentare i caratteri dell’inevitabilità, essendo sufficiente che il trasferimento concreti una delle possibili scelte, tutte ragionevoli, che il datore di lavoro può adottare sul piano tecnico, organizzativo e produttivo” (v. Cass. 5099/2011; (Cass. 9921/2009) -, nel caso in esame, la specifica situazione della ricorrente (lavoratrice madre di una bambina in condizioni di handicap grave) non solo rende possibile, ma impone un sindacato penetrante sulla scelta datoriale, stante il chiaro divieto, sancito dall’art. 33, comma 5, L. 104/1992, di trasferire “il lavoratore dipendente, che assista persona con handicap in situazione di gravità, … parente … entro il secondo grado”, “senza il suo consenso ad altra sede”.
La ricorrente, in quanto lavoratrice madre di una bambina in situazione di handicap grave, ha quindi diritto di rimanere presso la sede romana, più di tutti gli altri 31 giornalisti ad essa assegnati.
La resistente, per contrastare la pretesa attorea di restare a Roma (e poi di lavorare effettivamente presso la relativa redazione), avrebbe dovuto dimostrare non tanto o comunque non soltanto che tale redazione è satura, per essere coperti tutti i posti ivi previsti, ma anche che i lavoratori ivi addetti hanno tutti una specifica professionalità, che la ricorrente viceversa non possiede, coerente con l’attività redazionale ivi disimpegnata e, soprattutto, si trovano tutti in una situazione di inamovibilità da tale sede, in forza di precise disposizioni di legge o di contrattazione collettiva.
In difetto dell’allegazione di tali ulteriori circostanze, deve escludersi che la resistente abbia assolto all’onere probatorio su di lei incombente dell’impossibilità di utilizzare la ricorrente presso la redazione romana.
Per quanto sin qui osservato la condotta posta in essere dalla datrice di lavoro non può che essere ritenuta illegittima, in quanto contraria tanto al divieto di trasferimento del lavoratore di cui all’art. 33, comma 5, L. 104/1992, quanto al divieto di mantenerlo privo di mansioni presso la sede di assegnazione.
Ciò chiarito, appaiono, in ogni caso, condivisibili anche le ulteriori argomentazioni difensive sviluppate dalla Consigliera di Parità della Città Metropolitana di (…) in sede di atto di intervento adesivo, secondo cui la situazione di oggettiva marginalizzazione cui è stata ridotta da tempo la ricorrente e il pervicace rifiuto opposto dalla resistente alla collocazione della predetta presso la redazione romana si sono tradotti in un trattamento, oltre che lesivo, oggettivamente discriminatorio.
Avendo, infatti, l’azienda riservato alla ricorrente, giova ribadirlo, madre di una bambina affetta da patologia implicante una situazione di handicap grave, un trattamento identico a quello riservato ad altri lavoratori che non si trovavano in detta condizione (con la proposta di una trasferta o meglio, per quanto innanzi detto, di un trasferimento a Milano, laddove la mancata completa soppressione della redazione romana avrebbe imposto il suo mantenimento presso tale sede), ha infatti posto in essere una discriminazione, sia pure indiretta, ai sensi dell’art. 25, comma 2, del Codice delle Pari Opportunità di cui al D. Lgs. 198/2006. Sicché la scelta datoriale di collocare la ricorrente in aspettativa retribuita, lungi dal costituire un benevolo trattamento di favore, appare ulteriormente significativa della volontà di estromettere la lavoratrice dal contesto lavorativo, pur nella consapevolezza delle sue condizioni familiari disagiate e quindi meritevoli di appropriata tutela.
Per quanto sin qui osservato, non può che concludersi per la configurabilità del fumus boni iuris, rispetto alla richiesta di immediata e concreta riadibizione al lavoro della ricorrente presso la redazione romana.
In relazione poi all’ulteriore requisito del periculum in mora, è appena il caso di rilevare che la perdurante privazione della possibilità di prestare la propria attività lavorativa arreca alla ricorrente un danno alla professionalità, alla personalità morale e all’immagine, oltre che un pregiudizio all’integrità psicofisica, come documento dalla certificazione del Dipartimento di Salute Mentale della ASL RM del 3.11.2019 (v. doc. 7 della produzione attorea) e dalla relazione medico legale della Dott.ssa (…) del 26.10.2019 (v. doc. 8).
In conclusione, deve accogliersi il ricorso e ordinarsi alla (…) Srl di disporre l’immediata e concreta riadibizione della ricorrente al lavoro presso la redazione romana.
Le spese di lite seguono la soccombenza. Avuto riguardo alle legittimità dell’intervento ad adiuvandum spiegato dalla Consigliera di Parità, in quanto pienamente coerente con le prerogative del predetto organo (v. art. 36 del Codice delle Pari Opportunità), va posto a carico della resistente soccombente anche il rimborso delle spese processuali sostenute dalla predetta interveniente, essendo a tal fine irrilevante valutare la decisività o meno della sua presenza ai fini dell’esito favorevole della lite per l’adiuvata (v. Cass. 11670/2018).
P.Q.M.
Ordina a (…) s.r.l. di disporre l’immediata e concreta riadibizione della ricorrente al lavoro presso la redazione romana;
condanna la società resistente a rifondere alla ricorrente e all’interveniente le spese di lite, che si liquida in euro 2.000,00 in favore di ciascuna, oltre rimborso forfetario spese generali, IVA e CPA.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 23 agosto 2019, n. 21670 - Il divieto di trasferimento del lavoratore che assiste con continuità un familiare disabile convivente, di cui all'art. 33, comma 5, della I. n. 104 del 1992, nel testo modificato dall'art. 24,…
- CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 44654 depositata il 24 novembre 2022 - La condotta del lavoratore può ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo ove sia tale da…
- CORTE di CASSAZIONE, sezione penale, Sentenza n. 21149 depositata il 18 maggio 2023 - La condotta del lavoratore può ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo ove sia tale da…
- CORTE di CASSAZIONE - Sentenza n. 23986 depositata il 5 giugno 2023 - La condotta del lavoratore può ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo ove sia tale da attivarne uno…
- Corte di Cassazione, sentenza n. 26204 depositata l' 8 settembre 2023 - Il sistema di prelievo fiscale mediante ritenuta diretta a titolo d’imposta non può in nessun modo considerarsi un beneficio o un regime agevolativo, trattandosi soltanto di una…
- CORTE di CASSAZIONE - Sentenza n. 10422 depositata il 19 aprile 2023 - In tema di accertamento analitico-induttivo ex art. 39 comma 1 lett. d) del D.P.R. n. 600 del 1973, ai fini della determinazione del reddito di impresa per omessa contabilizzazione…
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- ISA 2024 le cause di esclusione per l’anno 2
La legge istitutiva degli Indici Sintetici di Affidabilità fiscale (ISA) ha una…
- Il diritto riconosciuto dall’uso aziendale n
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 10120 depositat…
- L’indennità sostitutiva di ferie non godute
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 9009 depositata…
- Il giudice tributario è tenuto a valutare la corre
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 5894 deposi…
- Il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 10267 depositat…