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14 Ottobre, 2012
Alla luce della riforma fornero quali effetti potrebbero produrre a livello economico le nuove disposizioni in materia di contratto a termine?Le nuove regole in merito a questa tipologia contrattuali sono da giudicarsi positivamente?
Da un punto di vista economico, l’impatto più significativo delle nuove disposizioni sul contratto a termine è certamente individuabile nel significativo aumento del costo contributivo, previsto al duplice scopo di finanziare la nuova indennità di disoccupazione (Aspi) e scoraggiare l’utilizzo di contratti con una durata determinata. La legge n. 92 del 2012 introduce, infatti, con decorrenza da gennaio 2013, una nuova aliquota contributiva aggiuntiva, pari all’1,4% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali, a carico del datore di lavoro per tutti i lavoratori non a tempo indeterminato, con la sola eccezione dei lavoratori a termine assunti per sostituire lavoratori assenti e dei lavoratori stagionali. Le novità introdotte dalla riforma Fornero in materia di contratto a tempo determinato perseguono lo scopo dichiarato di contrastare gli abusi dei contratti a termine e, contemporaneamente, orientare il mercato del lavoro verso l’utilizzo del lavoro subordinato a tempo indeterminato. Tuttavia tale approccio appare eccessivamente rigido e punitivo rispetto ad una tipologia contrattuale che certamente non può qualificarsi particolarmente precaria o poco garantista. Il contratto a tempo determinato, infatti, già prima della riforma del lavoro, era inserito in un complesso di regole stringenti, ritenute effettivamente attuative dei principi enunciati in materia dalla direttiva comunitaria 99/70/Ce; il citato complesso di regole prevedeva infatti un limite di durata complessiva del rapporto, limiti quantitativi previsti dalla contrattazione collettiva e un limite sostanziale consistente nell’obbligo di indicare la causale e facoltà per il giudice di sindacare la validità del termine. Un sistema di controllo rigido, dunque, che offriva un’ampia tutela al lavoratore. La validità della precedente disciplina è peraltro confermata dalla riforma Fornero che, da un lato, sceglie di mantenere in vita le regole previgenti e, dall’altro, non ritenendole sufficienti, sceglie di inasprirle ulteriormente. Le nuove regole appesantiscono la gestione del rapporto a termine (si pensi all’obbligo di comunicazione preventiva al Centro per l’impiego in caso di prosecuzione di fatto del rapporto) e favoriscono la turnazione continua del personale (a causa dell’allungamento del periodo minimo che deve intercorrere tra un contratto a termine e l’altro). Tali misure, in definitiva, non tengono in alcuna considerazione il fabbisogno di flessibilità espresso dal mondo del lavoro e rischiano di scoraggiare l’impiego di una forma contrattuale che, fino ad oggi, rappresentava il miglior compromesso tra esigenze di flessibilità e tutela dei diritti del lavoratore.
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FAQs – lavoro
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