Con la sentenza n. 17959 del 24 luglio 2013 la Corte di Cassazione ha stabilito che spetta all’Ufficio provare che il contribuente ha utilizzato ” fatture inesistenti”. I Giudici della Suprema Corte hanno affermato che “Gli elementi che l’Ufficio propone come prove certe e dirette ─ circa l’effettuazione di una operazione inesistente, ed ai fini del recupero dell’IVA detratta dal contribuente ─ dovranno dimostrare, con oggettività, la contabilizzazione di “fatture inesistenti”.
Pertanto l’Amministrazione finanziaria dovrà provare l’inesistenza delle fatture, al fine di contestare la illegittimita’ della detrazione IVA da parte del contribuente, e cio’ avviene quando l’ufficio fornisce elementi che dimostrino in modo certo e diretto che l’operazione commerciale in contestazione non e’ mai stata posta in essere.
La vicenda ha riguardato una società che aveva presentata istanza di rimborso per l’IVA relativa al periodo di imposta 2004. La predetta istanza veniva rigettata dall’Amministrazione Finanziaria che, dopo aver chiesto chiarimenti sulle fatture portate in detrazione, emetteva anche quattro avvisi di accertamento con cui veniva determinata una maggiore imposta.
In sostanza l’Amministrazione, a causa del mancato trasferimento dei beni acquistati dalla società, rimasti nel magazzino in comune della società cedente e di quella cessionaria – le quali avevano lostesso amministratore – considerava le fatture false, ovvero relative ad operazioni inesistenti.
La società impugnava il provvedimento innanzi la competente Commissione Tributaria Provinciale i cui giudici accoglievano il ricorso del contribuente.
Avverso la decisione dei giudici di prime cure l’Agenzia delle Entrate propone ricorso alla Commissione Tributaria Regionale che riformava completamente la sentenza di prime cure, dando piena legittimità all’accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate, per IVA detratta indebitamente e relativa a fatture inesistenti. Essi ritenevano, in particolare, che, in tema di rettifica delle dichiarazioni ai fini IVA, l’Amministrazione, malgrado la regolarità formale della contabilità, ben poteva accertare l’infedeltà delle dichiarazioni medesime anche attraverso il ricorso a presunzioni semplici. Doveva, poi, essere il contribuente a fornire la prova contraria.
Nel caso di specie, vi erano parecchi indizi chiari, precisi e concordanti che facevano presumere la falsità dell’operazione e, di conseguenza, delle fatture. Dunque, la sentenza di primo grado doveva essere riformata perché, a fronte degli elementi offerti dall’Ufficio in ordine alla fittizietà delle operazioni, la società contribuente non aveva fornito alcuna prova contraria, nessun elemento che potesse smentire l’assunto del fisco circa la falsità delle fatture.
La società contribuente ricorreva, dunque, in Cassazione avverso la sentenza della CTR, sostenendo, in estrema sintesi, che l’onere della prova non grava sul contribuente ma sull’Amministrazione finanziaria. È quest’ultima, infatti, che – qualora voglia disconoscere il diritto alla detrazione IVA – è tenuta a provare la fittizietà delle operazioni fatturate.
I giudici della Cassazione a cui aveva ricorso il contribuente, hanno preliminarmente precisato che il diritto alla detraibilità dell’IVA ─ sulle fatture ricevute ─ non sorge per la mera corresponsione dell’imposta da parte del soggetto passivo, necessitando che a monte vi sia anche un’operazione effettiva.
I giudici di legittimità, al fine di offrire alcune linee di indirizzo sul tema dell’onere probatorio in ipotesi di operazioni per fatture inesistenti, chiariscono che non compete al contribuente provare che l’operazione sia effettiva, avendo egli, quale unico dovere, la tenuta delle scritture e dei documenti contabili, i cui dati sono esposti nella dichiarazione fiscale. Per cui sarà onere dell’ufficio dover fornire elementi oggettivi che dimostrino in modo certo e diretto che l’operazione commerciale, oggetto della fattura, in realtà non è mai stata posta in essere. Tale prova potrà essere raggiunta anche in presenza di presunzioni semplici: sarà poi il giudice di merito ad attribuire rilevanza a tali presunzioni, anche in via esclusiva, ai fini della formazione del proprio convincimento.
Dovrà valutare singolarmente e complessivamente tutti gli elementi dando atto in motivazione dei risultati del proprio giudizio.
Pertanto, il giudice dovrà valutare, solo qualora ritenga gli elementi forniti dall’Amministrazione dotati di gravità, precisione e concordanza, la prova contraria fornita dal contribuente. Infatti, una volta che l’Agenzia abbia fornito oggettivi elementi di prova, anche indiziari, circa l’inesistenza dell’operazione o l’inattendibilità della fattura addotta dal contribuente a base della richiesta di detrazione, sarà poi il contribuente medesimo a dover offrire la prova circa la verità ed inerenza dell’operazione medesima.
La sentenza fornisce un’interpretazione positiva per il contribuente, inserendosi in una linea giurisprudenziale conforme a quella dei giudici europei.
Qualora l’Amministrazione contesti la fittizietà dell’operazione, non è onere del contribuente fornire la prova dell’effettiva esistenza dell’operazione, ma deve essere il fisco a provare la fittizietà delle operazioni fatturate.
Si ricorda che la Corte di Giustizia dell’Unione Europea in due recenti pronunce (sentenza 21 giugno 2012, causa C-80/11, causa C-142/11 – cfr. “”; sentenza del 31 gennaio 2013, C-643/11 – cfr. B.Biancaniello, “”) ha affermato come non spetta al contribuente provare che l’operazione è effettiva, ma spetta all’Amministrazione, che adduce la falsità del documento e quindi l’esistenza di un maggior imponibile, provare che l’operazione commerciale, oggetto della fattura, in realtà non è mai stata posta in essere.
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