La Corte di Cassazione con la sentenza n. 18541 del 02 agosto 2013 intervenendo in tema di interessi ultralegali ha affermato il principio secondo cui, una volta che sia stata contestata, per mancanza dei requisiti di legge, la pattuizione degli interessi ultralegali, la banca è tenuta a produrre gli estratti conto a partire dall’apertura del conto, anche oltre il decennio, non potendosi confondere l’onere di conservazione della documentazione contabile con quello di prova del proprio credito.
Gli Ermellini, nella sentenza in esame, hanno richiamato l’orientamento fatto proprio dalle stesse Sezioni Unite (sentenza n. 21095 del 2004), i giudici ricordano come la contestazione relativa all’illegittima capitalizzazione degli interessi determini la necessità di verificare fin dall’inizio del rapporto, e nei limiti dell’applicabilità della prescrizione, ove eccepita, l’esistenza e l’applicazione della previsione negoziale invalida. Infatti per i giudici di legittimità la banca deve “a fornire la prova integrale del proprio credito, non potendo sottrarsi a tale onere, nel giudizio a cognizione piena, quando le contestazioni del debitore riguardano l’intera durata del rapporto”.
Diversamente, la produzione degli estratti conto relativi ad una frazione temporale unilateralmente individuata dalla banca nella fase più recente di operatività del rapporto, deve ritenersi radicalmente inidonea ad assolvere all’onus probandi posto a carico della stessa.
La Corte Suprema in riferimento alla norma di cui all’art. 2220 cod. civ., il cui contenuto prevede che le scritture contabili devono essere conservate per dieci anni dall’ultima registrazione, la Corte evidenzia come questa costituisca uno strumento di tutela per i terzi estranei all’attività imprenditoriale volto a garantire l’accesso, la conoscibilità e la trasparenza delle attività d’impresa.
Così definita la ratio legis dell’art. 2220 cod. civ., la previsione di un così ampio lasso temporale di operatività dell’obbligo di conservazione dei documenti contabili, non può essere interpretata come una limitazione legale dell’onus probandi posto a carico di chi è tenuto, conformemente ai creditori non imprenditori, a fornire la prova integrale del proprio credito, non potendo sottrarsi a tale onere, nel giudizio a cognizione piena, quando le contestazioni del debitore riguardano l’intera durata del rapporto.
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