La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con la sentenza n. 27712 depositata il giorno 11 dicembre 2013 intervenendo in materia Le sanzioni per la dichiarazione infedele si pagano anche quando l’errore è stato del commercialista. Affidare gli adempimenti fiscali a un tecnico o a un CAF non esonera il titolare del rapporto tributario da un controllo sul loro operato.
La vicenda ha riguardato una società costituita da due dottori commercialisti che inviava, su incarico di vari clienti, telematica alcune dichiarazioni nelle quali erano esposti crediti IVA, che in seguito a verifiche fiscali erano risultati inesistenti. A seguito di tali riscontri l’Agenzia delle Entrate notificava ai contribuenti e ai professionisti avvisi di accertamento con cui si applicava le sanzioni per infedele dichiarazione, dando comunque atto che i crediti erano stati rinunciati o non utilizzati.
I contribuenti, clienti dei professionisti, avverso gli atti impositivi avevano proposto ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale i cui giudici disponevano una riduzione, in conseguenza dell’ammissione degli errori fatta dai professionisti, della sanzione senza addebito d’imposta. L’Amministrazione Finanziaria impugnava la decisione dei giudici di prime cure inanzi alla Commissione Tributaria Regionale lamentando che i giudici della CTP non avevano valutato la tesi di un accordo fraudolento tra clienti e commercialisti. Il gravame è stato accolto dalla CTR ritenendo fondato il ricorso dell’Ufficio, ponendo anche l’accento sulla culpa in eligendo e in vigilando dei contribuenti.
Per la cassazione della sentenza dei giudici di seconde cure i contribuenti proponevano ricorso, basato su tre motivi di censura, alla Corte Suprema.
Gli Ermellini respingono il ricorso dei ricorrenti confermando la sentenza impugnata. I giudici di legittimità hanno precisato che gli obblighi tributari relativi alla presentazione della dichiarazione dei redditi e alla tenuta delle scritture non possono considerarsi assolti da parte del contribuente con il mero affidamento delle relative incombenze a un professionista, richiedendosi anche un’attività di controllo e di vigilanza sulla loro effettiva esecuzione, nel concreto superabile soltanto a fronte di un comportamento fraudolento del professionista, finalizzato a mascherare il proprio inadempimento all’incarico ricevuto.
I giudici del Palazzaccio hanno anche affermato che l’obbligo della sottoscrizione della dichiarazione – per coloro che la presentano telematicamente – riguarda una dichiarazione che gli stessi soggetti sono tenuti a conservare e non il modello trasmesso in via telematica, trattandosi appunto della copia del modello conservata dal contribuente; sicché ne è sicura la provenienza dallo stesso, mentre può esserne verificata in qualsiasi momento la sua conformità al modello telematicamente trasmesso. La modalità di trasmissione per via telematica della dichiarazione fiscale per il tramite di centri di assistenza o professionisti abilitati comporta una presunzione di identità tra i dati risultanti all’esito della trasmissione all’anagrafe tributaria e i dati presenti nel modello cartaceo sottoscritto dal contribuente, perché la via telematica costituisce una modalità di invio della dichiarazione. Ne deriva che, ove sia eccepita una discordanza di dati in sede di gravame avverso la cartella di pagamento, non è l’Amministrazione Finanziaria a dover fornire la prova della conformità,ma il contribuente a dover dimostrare la difformità, ai sensi dell’art. 2697, comma 2, cod. civ., trattandosi di deduzione dell’inefficacia del fatto costitutivo della pretesa tributaria azionata, ed essendo egli onerato, in base all’ordinaria diligenza, di conservare una copia del modulo cartaceo anche oltre il termine di cui all’articolo 43 D.P.R. 600/73.
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