COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE per la Liguria sez. 2 sentenza n. 591 depositata il 14 aprile 2017
La Commissione tributaria provinciale di Genova, con sentenza n. 255 del 25-28.11.2013, accoglieva i ricorsi riuniti di C. M. avverso gli avvisi di accertamento dell’Agenzia delle Entrate, Direzione provinciale di Genova, nn. TL3053107170/2012 e TL3013107259/2012, emessi in relazione ad I.R.P.E.F., e addizionali, dovuta per i periodi di imposta 2007 e 2008, con i quali era stato rideterminato, in via sintetica, il reddito del contribuente.
Identicamente la Commissione tributaria provinciale decideva, con sentenza n. 254 del 25-28.11.2013, per i ricorsi riuniti di A.G. (coniuge di C.M.) avverso gli avvisi di accertamento dell’Agenzia delle Entrate, Direzione provinciale di Genova, nn. TL3053107266/2012 e TL3013107271/2012, emessi, in via sintetica, sempre per I.R.P.E.F. e addizionali, per i medesimi periodi di imposta.
La Commissione tributaria provinciale riteneva inesistente la notificazione degli avvisi di accertamento, avvenuta ex art 140 c.p.c., per difetto della formalità costitutiva dell’affissione dell’avviso alla porta del destinatario, stante l’ambiguità della relata di notifica, che non permetteva di comprendere se la suddetta formalità fosse stata espletata o meno.
Proponeva due distinti appelli l’Agenzia delle Entrate, affermando pretestuosità dell’eccezione di inesistenza della notificazione, la cui regolarità risultava da relazione del messo comunale facente fede sino a querela di falso. In ogni caso, secondo l’appellante Agenzia, non poteva parlarsi di inesistenza della notificazione , vizio ricorrente solo nel caso di effettuazione in modo completamente diverso dallo schema procedimentale, o verso persona o in luogo del tutto estranei al destinatario. La tempestiva impugnazione dell’atto, preceduta da istanza di adesione, testimoniava, poi, che la notificazione era giunta a buon fine.
Costituendosi, i contribuenti rilevavano, in primis, l’inammissibilità degli appelli, con i quali non erano state riproposte, se non per relationem, le domande ed eccezioni svolte in primo grado. Ribadivano, poi, le eccezioni già svolte in primo grado, comprese quelle assorbite dalla pronuncia in rito. In particolare, rilevavano la non conformità degli avvisi di accertamento impugnati allo schema “impoesattivo” introdotto dall’art. 29 d.l. 78/2010; il difetto di indicazione del responsabile del procedimento complesso così introdotto; il difetto di intimazione ad adempiere; l’illegittimità ed indeterminatezza dell’aggio nella misura del 9%; l’illegittimità del mero riferimento a provvedimenti del Direttore dell’Agenzia delle Entrate non allegati agli avvisi notificati; il difetto di contraddittorio preaccertativo; l’infondatezza, nel merito, della pretesa di recupero, stanti i rilievi mossi dai contribuenti; il difetto di prova dei presupposti fattuali dell’accertamento sintetico posto in essere.
All’udienza di discussione del 28.3.2017, questa Commissione tributaria regionale, stante l’evidente connessione (1), riuniva gli appelli dell’Agenzia delle Entrate.
Qualora la sentenza impugnata, nel definire il giudizio, abbia deciso esclusivamente una questione preliminare di rito, sebbene l’appellante possa limitarsi a riproporre, ai sensi dell’art. 346 cod. proc. civ., la domanda non esaminata, non è tuttavia sufficiente, ad evitare la declaratoria di inammissibilità dell’appello, un generico richiamo al precedente giudizio di primo grado, privo di ogni rinvio alle difese ed ai contenuti della domanda di merito posta al giudice di primo grado (2).
Nel caso di specie, peraltro, il suddetto principio va adattato alla specificità del procedimento tributario, nel quale l’Agenzia delle Entrate è necessariamente convenuta, avendo l’atto impugnato natura di provocatio ad opponendum e, non vi sono, quindi, domande sulle quali l’Agenzia – resistente al ricorso, soccombente in primo grado e poi appellante – debba insistere in secondo grado.
Infatti, nel processo tributario, l’art. 56 d.lgs. 31.12.1992, n. 546, nel prevedere che le questioni e le eccezioni non accolte in primo grado, e non specificamente riproposte in appello, si intendono rinunciate, fa riferimento, come il corrispondente art. 346 cod. proc. civ , all’appellato, e non all’appellante (3).
La relazione di notificazione, visto l’impiego della disgiuntiva “o”, non permette di comprendere se la formalità di cui si lamenta l’omissione, prevista dall’art. 140 c.p.c., sia stata materialmente eseguita mediante affissione alla porta del destinatario dell’avviso di deposito dell’atto stesso nella cassetta postale di quest’ultimo. Peraltro, è certo che, nell’uno o nell’altro modo, la formalità dell’affissione è stata eseguita. Semplicemente non è chiaro se sia avvenuta mediante affissione alla porta o mediante immissione in cassetta.
Orbene, il primo modo (affissione alla porta) è quello espressamente previsto dall’art. 140 c.p.c. Il secondo modo (immissione in cassetta), invece, è previsto non dall’art. 140 c.p.c., bensì dall’art. 8 comma 2 L. 20.11.1982 n. 890, in relazione alla notificazione a mezzo del servizio postale, e con riferimento non all’avviso di deposito dell’atto notificando presso la Casa comunale, di cui all’art. 140 c.p.c. (procedura della quale stiamo parlando), bensì alla raccomandata informativa del tentativo di notificazione a mezzo posta e del deposito del piego presso l’ufficio postale (di cui alla I. 890/1982).
Se ne deduce che la formalità di affissione, non essendo certo che sia stata eseguita nell’unico modo previsto dall’art. 140 c.p.c. (affissione visibile sulla porta del destinatario), non può essere considerata perfezionata, con conseguente invalidità del procedimento notificatorio.
Tale omissione provoca non l’inesistenza, ma la nullità del procedimento notificatorio (4).
Nullità sanata dalla tempestiva proposizione del ricorso avverso gli avvisi invalidamente notificati (5).
Peraltro, affinché tale sanatoria operi, occorre che la presentazione del ricorso avvenga entro il termine di decadenza della pretesa impositiva dell’Erario (nel caso, ex art. 43 comma 1 D.P.R. 29.9.1973, n. 600, nel testo vigente ratione temporis, entro il 31.12.2012 per il periodo di imposta 2007 ed entro il 31.12.2013 per il periodo di imposta 2008) (6).
Risalendo la proposizione del ricorso al 28.6.2013 (7), la sanatoria si è prodotta con esclusivo riferimento all’avviso concernente il periodo di imposta 2008, per il quale, a tale data, il potere accertativo dell’Ufficio non si era ancora perento.
Va quindi confermata la sentenza impugnata, con esclusivo riferimento all’avviso di accertamento relativo al periodo di imposta 2007, vista la decadenza dal potere accertativo dell’Amministrazione finanziaria dovuta alla menzionata nullità della notificazione.
Vanno ora esaminate le eccezioni gradatamente poste a fondamento del ricorso e ribadite in questo grado dal contribuente appellato (ovviamente, con riferimento al solo periodo di imposta 2008, per il quale la notificazione dell’avviso di accertamento gode della sanatoria sopra descritta, non impedita da alcuna decadenza, intervenuta prima dell’effetto sanante).
Il contenuto dell’avviso di accertamento impugnato non è conforme a quanto previsto dall’art. 29 comma 1 lett. a) dl. 31.5.2010 n. 78, convertito con modificazioni dalla I. 30.7.2010 n. 122, in quanto non contiene l’avvertimento della esecuzione forzata in caso di inadempimento.
Non si ravvisa nullità alcuna in tale omissione, in assenza di specifica disposizione di legge in tal senso. In ogni caso il vizio trattandosi di omissioni informative concernenti la fase esecutiva successiva al mancato adempimento delle obbligazioni determinate dall’avviso di accertamento e non certo la fase accertativa, rispetto alla quale l’avvertimento della futura esecuzione forzata rappresenta un posterius non potrebbe che colpire, eventualmente, la fase esecutiva.
Si consideri che l’omissione, nell’atto di precetto di cui all’art. 480 c.p., dell’avvertimento che, in difetto di adempimento, si procederà ad esecuzione forzata non è causa di nullità alcuna, essendo funzione propria e connaturata all’atto di precetto quella di avvisare il debitore dell’intenzione del creditore di procedere all’escussione, per il caso di inadempimento (8), e non essendo comminata da alcuna disposizione di legge la sanzione della nullità per una simile omissione.
L’indicazione del responsabile del procedimento non è prevista da alcuna disposizione contenuta nel D.L. 78/2010. Del resto, l’art. 36 comma 4-ter D.L. 31.12.2007 n. 248, convertito con modificazioni dalla L. 28.2.2008 n. 31, prevede che il nominativo del responsabile del procedimento debba essere riportato solo sulla cartella di pagamento e non anche sull’atto oggi impugnato.
Né sussiste un generalizzato obbligo, sanzionato a pena di nullità, di indicazione del responsabile del procedimento in ogni atto dell’Amministrazione finanziaria (9). L’eventuale nullità discendente da tale omissione colpirebbe, pertanto, la sola fase esattiva e non anche quella accertativa, in oggi in discussione.
L’art. 29 d.l. 78/2010 citato non impone la precisa quantificazione degli interessi dovuti, il cui ammontare è determinato dalla norma stessa. Ovviamente l’aggio richiesto sarà dovuto solo in caso di inizio dell’attività esecutiva vera e propria ed ogni vizio relativo alla precisa determinazione degli interessi potrà essere fatto valere in quella sede.
La mancata allegazione all’avviso di accertamento dei Provvedimenti del Direttore dell’Agenzia delle Entrate 14.2.2007 e 11.2.2009 non è chiaro quale nullità comporti, visto che parte ricorrente e oggi appellata non deduce alcun pregiudizio dalla mancata conoscenza di tali atti. La semplice mancata allegazione di un documento all’atto impugnato, infatti, non può costituire, di per sé soltanto, motivo di nullità se non viene dedotto uno specifico pregiudizio al contraddittorio e alla conoscenza degli elementi posti a base della pretesa tributaria (10).
L’obbligo di instaurazione del contraddittorio endoprocedimentale, per gli accertamenti di tipo sintetico, vige solo a decorrere dal periodo di imposta 2009, estraneo alla presente controversia (11).
Si può quindi giungere all’esame del merito della pretesa impositiva per l’anno 2008.
Va premesso che la determinazione effettuata con metodo sintetico, sulla base degli indici previsti dai decreti ministeriali del 10 settembre e 19 novembre 1992, riguardanti il c.d. redditometro, dispensa l’Amministrazione da qualunque ulteriore prova rispetto all’esistenza dei fattori-indice della capacità contributiva, sicché è legittimo l’accertamento fondato su essi, restando a carico del contribuente, posto nella condizione di difendersi dalla contestazione dell’esistenza di quei fattori, l’onere di dimostrare che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (12).
I contribuenti contestano l’accertamento sintetico operato, sotto molteplici aspetti.
L’adozione del coefficiente moltiplicatore 4 è stata contestata dal contribuente sotto il profilo della irragionevolezza. Esso porterebbe, tenendo conto di un rateo di mutuo annuale pari ad ? 33.389,30, ad un reddito accertato pari ad ? 133.557,20.
La Commissione tributaria regionale, in proposito, osserva che la contestazione dei contribuenti attiene al periodo di imposta 2007, mentre qui si discute ormai del solo periodo di imposta 2008, in relazione al quale nulla viene controdedotto.
Non sarebbe stata provata la titolarità o la disponibilità delle autovetture in capo al contribuente. In realtà il nucleo familiare del contribuente avrebbe a disposizione solo una Peugeot 107, acquistata con le agevolazioni previste per i casi di disabilità (dalla quale è affetta la figlia dei contribuenti). La Mercedes 320, poi, sarebbe di proprietà di una S.r.l., mentre la Porsche è stata rottamata nel 2009, state la sua vetustà.
L’appartamento nella disponibilità del contribuente è stato pensato per sopperire ai bisogni della figlia invalida.
La collaboratrice familiare è imposta dalla presenza della figlia invalida.
Al tenore di vita del nucleo hanno contribuito e contribuiscono i genitori e i suoceri del contribuente.
La Commissione tributaria regionale osserva che le doglianze dei contribuenti facenti leva sulla difficile situazione della figlia minore invalida non possono influire sulla presente controversia. Dove si discute sull’esistenza di entrate in misura maggiore di quella dichiarata al Fisco, non certo sulla necessità di sopportare costi aggiuntivi per la presenza di un soggetto che necessità di onerosa assistenza. Necessità che, fra l’altro, ben può essere fatta valere davanti all’Erario mediante la deducibilità delle eventuali spese mediche che si rendessero necessarie.
Le affermazioni circa contribuzioni esterne al ménage familiare sono rimaste indimostrate. Quanto alla titolarità delle autovetture si osserva che rileva la mera disponibilità di beni sintomatici di un reddito maggiore di quello dichiarato, al di là delle loro formale intestazione (13).
Restano le doglianze relative alle sanzioni irrogate, per le quali i contribuenti denunciano l’assenza di motivazione idonea, tale non essendo la mera ripetizione delle formule legislative.
In realtà, per quanto sintetica, una motivazione è stata fornita dall’Agenzia delle entrate, con riferimento alla gravità del danno erariale ed ai precedenti dei contribuenti.
La concreta quantificazione delle sanzioni, in sede esecutiva, non potrà non tenere conto di quanti previsto dal D.Lgs. 24.9.2015, n. 158.
La particolarità della controversa suggerisce la compensazione integrale delle spese.
La Commissione tributaria regionale per la Liguria
rigetta l’appello, con riferimento agli avvisi di accertamento relativi al periodo di imposta 2007.
Accoglie l’appello, con riferimento agli avvisi di accertamento relativi al periodo di imposta 2008, confermandone la validità.
Compensa interamente le spese dei due gradi di giudizio.
Genova, 28 marzo 2017
NOTE:
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