CORTE DI CASSAZIONE sentenza n. 1542 del 27 gennaio 2016
LAVORO – INPGI – RAPPORTO DI LAVORO SUBORDINATO – CONFIGURABILITA’ – PROVA – POTERE GERARCHICO E DISCIPLINARE DEL DATORE DI LAVORO
Il mero conferimento dell’incarico di direttore responsabile di un periodico, ai sensi dell’art. 3 legge 8 febbraio 1948 n. 47, con la relativa indicazione del nominativo nel periodico stesso, non comporta di per sé l’instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato, essendo a tale fine necessario che in capo alla persona chiamata ad assolvere questa funzione di carattere pubblicistico si cumulino altri e diversi compiti di svolgimento dell’attività giornalistica, ed in particolare la funzione direttoriale esercitata in regime di subordinazione, da dimostrare provando l’inserimento del lavoratore nell’organizzazione editoriale, con la conseguenza che, in tale seconda ipotesi, anche il direttore responsabile dello stampato resta assoggettato, come avviene nel normale rapporto di lavoro subordinato, al potere gerarchico e disciplinare del datore di lavoro.
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Svolgimento del processo
Con la sentenza n. 9542 del 2010, la Corte d’appello di Roma confermava la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva annullato il decreto che ingiungeva a T. s.r.l. di pagare all’Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani “G. A.” (da qui: I.N.P.G.I.) la somma di € 117.303,00 per contributi e sanzioni, relativi ai rapporti di lavoro intercorsi con i giornalisti G. C., A. D’E., E. P. e C. V..
La Corte territoriale, per quel che qui interessa, argomentava che il quadro probatorio acquisito escludeva che i rapporti di lavoro giornalistici esaminati fossero inquadrabili nello schema del rapporto di lavoro subordinato. La presenza di più rapporti di collaborazione in contemporanea e la possibilità concreta di rifiutare un servizio costituivano infatti elementi della prestazione incompatibili con il modello subordinato, anche se modulato in modo più attenuato, trattandosi di lavoro giornalistico. Con riguardo alla D’E., era risultato che la stessa fosse anche direttrice di testata, mentre il C. lo era stato in passato; il C. come gli altri non aveva orari rigidi, poteva assentarsi per più giorni e in tal caso preavvertiva, così facendosi sostituire da un dipendente.
L’INPGI ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza, affidato a cinque motivi illustrati anche con memoria ex art. 378 c.p.c.; ha resistito con controricorso T. s.r.l.
Motivi della decisione
1. Sintesi dei motivi di ricorso
1.1. Con il primo motivo di ricorso l’INPGI lamenta, in relazione all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia.
In particolare deduce che, pur concernendo la causa la posizione di quattro giornalisti (P., V., C. e D’E.) relativamente alla posizione della giornalista D’E. la decisione non sarebbe sorretta da alcuna, neppure sintetica, motivazione.
1.2. Con il secondo motivo, denuncia la nullità della sentenza per violazione degli artt. 112 e 115 cod. proc. civ.
Afferma che la Corte d’appello avrebbe omesso di pronunciarsi sull’eccezione proposta avverso il capo della sentenza di primo grado che, in merito alla prestazione della D’E., ne aveva ritenuto l’esenzione contributiva in quanto resa a titolo gratuito dal socio di società di capitali, ed ignorato fatti non controversi (lo svolgimento, da parte della D’E., delle mansioni proprie del direttore) rigettando la domanda sulla base di eccezioni non proposte dalle parti.
1.3. Con il terzo motivo, denuncia la violazione e falsa applicazione di norme di legge e di contratto collettivo nazionale di lavoro: art. 2094 cod. civ., artt. 2 e 8 CNLG (D.p.r. n.153/1961); artt. 1362, 1363, 1369 cod. civ.
Sostiene che, in applicazione dell’art. 2094 cod. civ., così come integrato dall’art. 2 del CNLG, la Corte territoriale avrebbe dovuto verificare se nei rapporti sottoposti al suo esame fossero ravvisabili i requisiti della continuità della prestazione, del vincolo di dipendenza e della responsabilità di un servizio, mentre aveva omesso qualunque indagine al riguardo. Evidenzia che la Corte territoriale ha escluso la subordinazione sulla base di un elemento (la contemporanea presenza di collaborazioni con altri editori) che, invece, dalla costante giurisprudenza e dall’art. 8 del CNLG è stato ritenuto compatibile con la natura subordinata del rapporto.
1.4. Con il quarto motivo, denuncia l’omesso esame di un punto decisivo della controversia.
Sostiene che la Corte territoriale avrebbe omesso di considerare che due giornalisti, P. e V., erano responsabili ciascuno di una rubrica fissa settimanale, pubblicata regolarmente per oltre un anno intero e che da tale circostanza sarebbe stata desumibile la sussistenza per entrambi dell’obbligo di rimanere a disposizione dell’editore almeno tra una puntata e l’altra della rubrica, con l’impegno di entrambi di garantire il testo della rubrica e che quindi il rapporto era sussumibile nella subordinazione, almeno nella forma della collaborazione fissa ex art. 2 CNLG.
1.5. Con il quinto motivo, denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2094 e 2095 cod. civ., degli artt. 6,7,11 CNLG reso efficace “erga omnes” con d. P.R. 16 gennaio 1961, n. 153. Sostiene che la Corte territoriale avrebbe errato nell’ applicazione delle norme indicate, avendo escluso, con riferimento alla posizione del giornalista C., direttore responsabile della testata, la natura subordinata del rapporto, basandosi su caratteristiche del rapporto (come l’assenza di vincoli rigidi di orario e la collaborazione di giornalisti sottordinati) non incompatibili con la subordinazione, soprattutto a livello dirigenziale ed omettendo di verificare se egli effettivamente svolgesse compiti di direzione e controllo dell’attività redazionale e del contenuto del notiziario propri della sua qualifica.
II. Esame delle censure
2.1. Sul primo motivo di ricorso, si rileva che la sentenza della Corte territoriale, nel motivare la conferma della sentenza di primo grado, ha richiamato la testimonianza del teste F., che aveva dichiarato che tutti i lavoratori in questione non avevano orari rigidi e capitava che si assentassero per più giorni, in quanto avevano in corso altre collaborazioni; ne consegue che ha adempiuto all’obbligo di motivazione anche con riferimento alla posizione della D’E.
2.2. Il secondo motivo non è poi conferente con la motivazione della Corte territoriale, che ha rigettato l’impugnazione non all’esito dell’esame di eccezioni non proposte dalle parti, ma per la mancata prova, da parte dell’INPGI, del fatto costitutivo della pretesa contributiva, non essendo stata dimostrata la natura subordinata del rapporto tra la D’E. e T..
2.3. Sul terzo motivo di ricorso, occorre ribadire, richiamando da ultimo Cass. n. 22785 del 7.10.2013, che in materia di attività giornalistica, la qualificazione del rapporto di lavoro intercorso tra le parti come autonomo o subordinato deve considerare che, in tale ambito, il carattere della subordinazione risulta attenuato per la creatività e la particolare autonomia qualificanti la prestazione lavorativa, nonché per la natura prettamente intellettuale della attività stessa, con la conseguenza che, ai fini della individuazione del vincolo, rileva specificamente l’inserimento continuativo ed organico delle prestazioni nell’organizzazione di impresa. Nel giudizio di cassazione, inoltre, è sindacabile solo la determinazione dei criteri generali ed astratti da applicare al caso concreto, mentre costituisce accertamento di fatto incensurabile in tale sede ove congruamente motivata- la relativa valutazione.
Nella specie, la Corte d’appello ha fatto corretta applicazione di tali premesse e, con valutazione di merito che resiste al controllo di legittimità, dopo aver richiamato la deposizione del teste F. anche nella parte in cui aveva escluso che i giornalisti partecipassero alle riunioni di redazione, non avendo neppure una postazione fissa, un computer e una scrivania, ha aggiunto che il teste P. aveva dichiarato di avere collaborazioni con altre testate e che per tale ragione gli era accaduto di dover rifiutare qualche servizio a T. e che il teste V. aveva confermato di collaborare anche con altri giornali. La sentenza impugnata ha, dunque, escluso l’inserimento organico e continuativo delle prestazioni di tali lavoratori nell’organizzazione dell’ impresa, ritenendola incompatibile con la possibilità di rifiutare il servizio, evidentemente determinata dalla pluralità delle collaborazioni coltivate dai giornalisti.
2.4. Sul quarto motivo di ricorso, si osserva che l’inquadramento presupposto dall’NPGI nel ricorso per decreto ingiuntivo è quello dei redattori ordinari – ex art. 1 e non del collaboratore fisso ex art. 2 del contratto collettivo nazionale e che alla retribuzione dei redattori ordinari sono correlate anche le sanzioni civili quantificate nel ricorso per decreto ingiuntivo al Tribunale di Roma. Il vizio di motivazione denunciato è – dunque – funzionale all’accreditamento di un inquadramento che esula dal thema decidendum così come definito nel giudizio di merito.
2.5. Il quinto motivo non è fondato, dovendosi dare continuità alla soluzione adottata da Cass. n. 11596 del 4.9.2000, secondo cui il mero conferimento dell’incarico di direttore responsabile di un periodico, ai sensi dell’art. 3 legge 8 febbraio 1948 n. 47, con la relativa indicazione del nominativo nel periodico stesso, non comporta di per sé l’instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato, essendo a tale fine necessario che in capo alla persona chiamata ad assolvere questa funzione di carattere pubblicistico si cumulino altri e diversi compiti di svolgimento dell’attività giornalistica, ed in particolare la funzione direttoriale esercitata in regime di subordinazione, da dimostrare provando l’inserimento del lavoratore nell’organizzazione editoriale, con la conseguenza che, in tale seconda ipotesi, anche il direttore responsabile dello stampato resta assoggettato, come avviene nel normale rapporto di lavoro subordinato, al potere gerarchico e disciplinare del datore di lavoro.
3. Segue il rigetto del ricorso e la condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna l’INPGI al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in € 4.500,00 per compensi professionali, oltre ad € 100,00 per esborsi ed accessori di legge.
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