CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 13 gennaio 2017, n. 743
Tributi – Tasse automobilistiche – Omesso versamento – Notifica avviso di accertamento – Interruzione dei termini di prescrizione – Decorrenza ulteriore termine di prescrizione triennale
Svolgimento del processo
La controversia riguarda l’impugnazione di una cartella di pagamento per omesso versamento della tassa automobilistica per l’anno 2000, in relazione alle vetture di proprietà del contribuente. Il ricorrente eccepiva l’intervenuta prescrizione del diritto alla pretesa tributaria.
La CTP rigettava il ricorso e la CTR rigettava l’appello della parte contribuente, confermando la sentenza di primo grado, con particolare riferimento al mancato spirare dei termini di prescrizione del tributo.
Avverso quest’ultima pronuncia, la parte intimata ha proposto ricorso davanti a questa Corte di Cassazione, sulla base di tre motivi, mentre, la Regione Lazio ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione
Il Collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente di data 14.9.2016, la redazione della motivazione in forma semplificata.
Con il primo motivo di ricorso, la parte contribuente ha denunciato il vizio di omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 primo comma n. 5 c.p.c., in quanto i giudici d’appello avrebbero condiviso acriticamente le motivazioni formulate dai giudici di primo grado senza esprimere, facendo proprie le argomentazioni spese nella sentenza appellata, le ragioni della conferma della pronuncia, in relazione ai motivi d’impugnazione proposti.
Il motivo è, da una parte, inammissibile, ai sensi dell’art. 360 primo comma n. 5 c.p.c., novellato, dall’altra inaccoglibile, ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c.
È, infatti, insegnamento di questa Corte, quello secondo cui “La riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto ¡’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass. sez. un. n. 8053/14, 7983/14). Nel caso di specie, la motivazione non è omessa e neppure apparente, in quanto richiama un precedente giurisprudenziale di cui ritiene di far applicazione alla fattispecie in esame, riportandosi alle valutazioni espresse dal giudice di primo grado.
Il motivo è, altresì, inaccoglibile, ex art. 348 ter c.p.c., applicabile alla presente vicenda processuale, in quanto la sentenza impugnata è stata depositata dopo l’entrata in vigore dell’art. 54 del D.L. n. 83 del 2012, convertito nella legge n. 134 del 2012.
È infatti, insegnamento di questa Corte, che “Le disposizioni sul ricorso per cassazione, di cui all’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, circa il vizio denunciabile ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. ed i limiti d’impugnazione della “doppia conforme” ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 348-ter cod. proc. civ., si applicano anche al ricorso avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale, atteso che il giudizio di legittimità in materia tributaria, alla luce dell’art. 62 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, non ha connotazioni di specialità. Ne consegue che l’art. 54, comma 3-bis, del d.l. n. 83 del 2012, quando stabilisce che “le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano al processo tributario di cui al d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546″, si riferisce esclusivamente alle disposizioni sull’appello, limitandosi a preservare la specialità del giudizio tributario di merito” (Cass. sez. un. n. 8053/14). In particolare, è stata ritenuta manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111, settimo comma, Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 348 ter, primo e penultimo comma, cod. proc. civ., anche in riferimento all’esclusione della ricorribilità in cassazione, ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., del provvedimento di primo grado allorché l’inammissibilità sia fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione impugnata, atteso che, un secondo grado di giudizio di merito dinanzi al giudice ordinario non è oggetto di garanzia costituzionale ed inoltre, la definizione semplificata del giudizio di appello e la limitazione del controllo di legittimità, in caso di “doppia conforme” in fatto, non solo non impediscono, né limitano l’esercizio del diritto di difesa, ma contribuiscono a garantirne l’effettività (Cass. n. 26097/14).
Più nello specifico, “Nell’ipotesi di “doppia conforme” prevista dal quinto comma dell’art. 348 ter cod. proc. civ., il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse” (Cass. n. 5528/14).
Nella presente vicenda, invece, l’appello è stato rigettato basandosi sulle stesse ragioni di fatto, poste a base della decisione in primo grado, né il ricorrente ha saputo dimostrare il contrario.
Con il secondo e terzo motivo di censura, che possono essere esaminati congiuntamente, in quanto strettamente connessi, il ricorrente denuncia il vizio di violazione e falsa applicazione di legge, in particolare degli artt. 5 comma 51 del D.L. n. 953/82 e 37 del D.L. n. 269/03, nonché degli artt. 2943 e 2944 c.c., in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., in quanto, in violazione delle norme di cui alla rubrica, i giudici d’appello, riferendosi ai giudici di primo grado, avrebbero ritenuto che il termine di prescrizione del tributo doveva iniziare a decorrere dall’1.1.2006, confondendo, ad avviso del ricorrente il termine di “scadenza” (che è quello cui farebbe riferimento l’art. 37 D.L. n. 369, cit.) con quello di “decorrenza” (o termine inziale), per cui la CTR avrebbe errato nel computare il triennio a far data dal 1.1.2006 e nel considerare la prescrizione interrotta, per effetto della notifica della cartella avvenuta in data 18.5.2007; inoltre, ad avviso del ricorrente, la CTR avrebbe ritenuto l’iscrizione a ruolo atto idoneo ad interrompere la prescrizione.
Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza, in quanto il ricorrente non ha riportato in ricorso, né indicato né allegato, ex artt. 366 primo comma n. 6 c.p.c. e 369 secondo comma n. 4 c.p.c., la documentazione afferente al merito dell’oggetto del giudizio, indispensabile perché il giudice di legittimità possa comprendere gli esatti termini temporali del merito della controversia, rispetto ai quali, invece, il mero inquadramento giuridico con l’indicazione delle norme violate non consente valutare la fondatezza della doglianza. E’, infatti, insegnamento di questa Corte, quello secondo cui “Il ricorrente per cassazione che intenda dolersi dell’omessa o erronea valutazione di un documento da parte del giudice di merito, ha, ai sensi dell’art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ., il duplice onere, imposto a pena di inammissibilità del ricorso, di indicare esattamente nell’atto introduttivo in quale fase processuale ed in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione, e di evidenziarne il contenuto, trascrivendolo o riassumendolo nei suoi esatti termini, al fine di consentire al giudice di legittimità di valutare la fondatezza del motivo, senza dover procedere all’esame dei fascicoli d’ufficio o di parte (Cass. n. 26174/14, sez. un. 28547/08, sez. un. 23019/07, sez. un. ord. n. 7161/10).
Nel caso di specie, non è stata riprodotta la relata di notifica del prodromico avviso d’accertamento, che sarebbe avvenuta in data 13.9.2004 (v. p. 2 del controricorso), e che avrebbe potuto beneficiare della proroga, ex art. 37 D.L. 269, cit. fino al 31.12.2005, ai fini dell’interruzione della prescrizione, nonché la relata di notifica della cartella impugnata, che sarebbe avvenuta in data 18.5.2007 (p. 8 del ricorso e p. 5 del controricorso), quindi, secondo il ricorrente, oltre i termini di prescrizione del credito tributario. Inoltre, non risulta che i giudici d’appello abbiano inteso attribuire all’iscrizione a ruolo del tributo una efficacia interruttiva della prescrizione che è, invece, riferita alla notifica della cartella.
Nel merito la censura sarebbe, comunque, infondata, in quanto l’avviso d’accertamento, secondo la scansione temporale riferita dal controricorrente, ha interrotto la prescrizione triennale del credito alla data del 13.9.2004 (per la proroga dei termini di cui all’art. 37 del D.L. n. 269, cit.), mentre la cartella, secondo quanto riferito dal ricorrente, essendo avvenuta in data 18.5.2007, avrebbe rispettato il successivo termine triennale di prescrizione che si stava maturando dopo l’interruzione della prima scadenza.
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la parte intimata a pagare alla Regione Lazio in persona del Presidente in carica, le spese del presente giudizio di legittimità, che liquida nell’importo di € 1.000,00, oltre accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 – bis dello stesso articolo 13.
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