CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 13 novembre 2017, n. 26766
Lavoratori addetti alle pulizie degli uffici – Natura subordinata del rapporto – Accertamento – Contratto di collaborazione autonoma – Dichiarazioni rese dai lavoratori nell’istruttoria dinanzi agli ispettori – Considerazione della volontà espressa dalle parti nei contratti scritti – Indici sintomatici della subordinazione sussistenti – Presunzione di conformità della natura del rapporto alla qualificazione giuridica adoperata dalle parti stesse – Non sussiste
Rilevato
che l’Azienda Consorzio T. T. s.p.a. proponeva opposizione ad alcune cartelle esattoriali con le quali l’Inps e l’Inail avevano chiesto il pagamento dei contributi relativi a tre lavoratrici addette alle pulizie degli uffici, considerate in sede ispettiva subordinate ma occupate con contratto di collaborazione autonoma;
che accolta la domanda, proposto appello dall’Inps e dall’Inail, la Corte d’appello di Venezia (sentenza 4.11.2011) accoglieva le impugnazioni, ravvisando i requisiti della subordinazione, sulla base delle dichiarazioni rese dalle lavoratrici nell’istruttoria e dinanzi agli ispettori;
che propone ricorso la predetta Azienda con tre motivi, illustrati da memoria;
che l’Inps e l’Inail resistono con controricorso;
Considerato
che col primo motivo, dedotto per violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 2094, 2697 cod. civ., 115 c.p.c., oltre che per vizio di motivazione, la ricorrente contesta l’affermazione della Corte territoriale secondo la quale nella fattispecie erano intercorsi rapporti di lavoro subordinato con le lavoratrici M., S. e B., assumendo che le circostanze istruttorie smentivano tale conclusione; invero, era mancata la considerazione della volontà espressa dalle parti nei contratti scritti, nonostante che la stessa avesse trovato riscontro nel comportamento delle medesime contraenti, rivelatosi coerente alla suddetta volontà, per cui ciò consentiva di qualificare i contratti in questione come di natura autonoma;
che col secondo motivo, proposto per violazione e falsa applicazione degli artt. 2094, 2086, 2104, comma 2°, cod. civ., 115 e 116 c.p.c., nonché per vizio di motivazione, la ricorrente lamenta che la Corte di merito avrebbe ignorato i requisiti caratterizzanti la subordinazione ed avrebbe richiamato in maniera generica e parziale le dichiarazioni rilasciate dalle lavoratrici, sia all’Inps che nel processo, oltre che dai testi, mentre un’accurata disamina delle stesse avrebbe consentito di accertare che nella fattispecie non si erano concretizzati rapporti di lavoro subordinato;
che col terzo motivo, formulato per violazione e falsa applicazione degli artt. 2094 cod. civ., 409 n. 3 c.p.c. e 50 del D.P.R. n. 917/1986, nonché per vizio di motivazione, la ricorrente contesta la decisione della Corte d’appello di far ricorso agli indici sussidiari sintomatici della subordinazione dal momento che era risultata in modo inequivocabile la natura autonoma dei rapporti, oltre che l’insussistenza dei tratti tipici della subordinazione; che i tre motivi, che per ragioni di connessione possono esaminarsi congiuntamente, sono infondati;
che, invero, le doglianze sono strutturate in guisa tale da concretizzarsi in una mera contrapposizione valutativa del materiale probatorio adeguatamente scrutinato dalla Corte territoriale, la quale ha motivato in maniera congrua ed esente da vizi di ordine logico – giuridico il proprio convincimento sulla riscontrata sussistenza degli indici rivelatori della subordinazione con riferimento ai rapporti di lavoro posti a base della richiesta di pagamento dei contributi e dei premi assicurativi; che, in effetti, la Corte di merito ha chiaramente posto in evidenza che l’appellata non aveva contestato lo svolgimento, dal lunedì al sabato per due ore al giorno, delle mansioni di addette alla pulizia da parte delle suddette lavoratrici e che dall’istruttoria espletata era emerso che queste ultime avevano reso prestazioni tipiche del lavoro subordinato, al punto che gli indici sintomatici della subordinazione erano tutti sussistenti; che, dunque, era stato provato che le prestazioni erano state rese quotidianamente in modo continuativo nel tempo, che l’orario era stato prestabilito in conformità con l’esigenza di raccordo con quello di chiusura degli uffici, che il compenso era fisso con cadenza mensile, che lo stesso era stato corrisposto anche durante l’assenza per ferie e malattia, che erano stati utilizzati i principali e più importanti strumenti di lavoro di proprietà del Consorzio, che era mancata un’organizzazione imprenditoriale in capo alle lavoratrici, le quali non godevano di altre fonti di reddito; che con riferimento allo svolgimento di prestazioni lavorative semplici e ripetitive si è avuto modo di affermare (Cass. sez. lav. n. 9251 del 19.4.2010) che “nel caso in cui la prestazione dedotta in contratto sia estremamente elementare, ripetitiva e predeterminata nelle sue modalità di esecuzione e, allo scopo della qualificazione del rapporto di lavoro come autonomo o subordinato, il criterio rappresentato dall’assoggettamento del prestatore all’esercizio del potere direttivo, organizzativo e disciplinare non risulti, in quel particolare contesto, significativo, occorre, a detti fini, far ricorso a criteri distintivi sussidiari, quali la continuità e la durata del rapporto, le modalità di erogazione del compenso, la regolamentazione dell’orario di lavoro, la presenza di una pur minima organizzazione imprenditoriale (anche con riferimento al soggetto tenuto alla fornitura degli strumenti occorrenti) e la sussistenza di un effettivo potere di autorganizzazione in capo al prestatore, desunto anche dalla eventuale concomitanza di altri rapporti di lavoro;
che la stessa Corte di merito ha, altresì, rilevato che non è consentito privilegiare la volontà delle parti non quale si è manifestata nel concreto svolgimento del rapporto, ma come configurata nelle originarie pattuizioni contrattuali, pretendendosi di trarne una presunzione di conformità della natura del rapporto alla qualificazione giuridica adoperata dalle parti stesse;
che in effetti la qualificazione del rapporto compiuta dalle parti nella iniziale stipulazione del contratto non è determinante, stante la idoneità, nei rapporti di durata, del comportamento delle parti ad esprimere sia una diversa effettiva volontà contrattuale, sia una nuova diversa volontà (v. in tal senso Cass. sez. lav. n. 1420/2002, n. 9900/2003, n. 224/2001); che, pertanto, il ricorso va rigettato;
che le spese di lite seguono la soccombenza della ricorrente e vanno liquidate come da dispositivo in favore di ciascun controricorrente;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese nei confronti di ognuno dei due istituti nella misura di € 2700,00, di cui € 2500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
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