CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 14 marzo 2018, n. 6284
Tributi – Contenzioso tributario – Procedimento – Appello del Fisco – Questioni ed eccezioni non accolte in primo grado, e non specificamente proposte in appello – Effetti – Rinuncia – Esclusione – Indisponibilità della pretesa tributaria
Rilevato che
Z.L. ha impugnato, con due motivi, la sentenza n. 61/27/2010, depositata dalla CTR della Lombardia il 29.04.2010;
Il contenzioso traeva origine dalla notifica dell’avviso di accertamento n. 855012400077, relativo all’anno d’imposta 2000, per Irpef, Irap e contributi previdenziali, avverso il quale la contribuente adiva la CTP di Lodi. Al ricorso – che contestava il difetto di motivazione, nonché, nel merito, l’infondatezza dell’accertamento per mancato assolvimento dell’onere probatorio, o in subordine l’adeguamento del valore della plusvalenza accertata al valore dichiarato – la costituita Agenzia eccepiva l’inammissibilità dell’atto introduttivo perché tardivo e nel merito la sua infondatezza, in subordine il riconoscimento della plusvalenza per la parte non contestata.
Con sentenza del 31 marzo 2008 il ricorso era accolto dal giudice di primo grado sull’assunto della nullità della notifica dell’avviso di accertamento. La Commissione Regionale invece, adita dalla soccombente Agenzia, accoglieva l’appello, ritenendo sanati i vizi della notifica dell’atto impositivo, comunque tempestivo il ricorso della contribuente, infondati però i relativi motivi di merito; concludeva dunque per la correttezza dell’accertamento con conseguente rigetto del ricorso introduttivo.
Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 346 c.p.c., 18, co. 2, lett. d, e 53, del d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, co. 1 n. 4 c.p.c., per aver pronunciato il giudice ultrapetita;
Con il secondo motivo, formulato in via subordinata, denuncia l’omessa o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 5 c.p.c., perché la CTR non ha puntualmente esaminato le ragioni delle censure mosse all’accertamento.
Si è costituita l’Agenzia con controricorso, eccependo l’improcedibilità, l’inammissibilità e nel merito l’infondatezza del ricorso; ha inoltre spiegato ricorso incidentale con due motivi, per violazione dell’art. 8, co. 4, della I. n. 890 del 1982, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., e per insufficiente motivazione, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., entrambi con riguardo alla ritualità della notifica dell’avviso di accertamento e alla conseguente intempestività del ricorso originario.
Considerato che
preliminarmente deve rigettarsi l’eccepita improcedibilità del ricorso per mancata richiesta, da parte della ricorrente, di trasmissione del fascicolo d’ufficio del giudice a quo, perché il suo esame non è necessario alla soluzione delle questioni prospettate con l’impugnazione (sul punto cfr. Cass., Sez. 5., sent. n. 7621 del 2017; Sez. U., sent. 20504 del 2006).
Esaminando i motivi del ricorso principale, il primo di essi è infondato.
La contribuente lamenta che, a fronte di un appello limitato dalla Amministrazione alla sola declaratoria di inammissibilità del ricorso originario per intempestività -per regolare notifica dell’atto impositivo-, e senza specificare o ribadire conclusioni sul merito, la sentenza della commissione tributaria regionale doveva solo decidere sulle questioni relative alla notifica dell’avviso di accertamento, senza esaminare il merito del ricorso introduttivo della contribuente. In sostanza la Z. invoca la violazione dell’art. 346 c.p.c., poiché l’omessa riproposizione in appello da parte della Agenzia della domanda di rigetto nel merito del ricorso della contribuente avrebbe precluso ogni esame della controversia, con definitiva caducazione dell’avviso di accertamento.
Il motivo, suggestivo, è privo di pregio per le ragioni di cui appresso.
Innanzitutto l’Amministrazione evidenzia di aver riproposto le sue conclusioni di merito con l’atto d’appello. La lettura del suddetto atto, ciò che in ragione del denunciato error in procedendo è nei poteri del giudice di legittimità, conferma l’assunto della controricorrente, la quale proprio nella parte finale dell’atto difensivo, come premessa alla formulazione conclusiva dello specifico motivo d’appello, enunciava che «per le ragioni fin qui esposte, richiamando e riconfermando integralmente tutti i motivi di resistenza già esplicitati in primo grado, respinta ogni avversa e/o contraria eccezione…» (pag. 7 dell’atto d’appello).
Ebbene, è principio ribadito dalla giurisprudenza di legittimità che in tema di contenzioso tributario l’art. 56 del d.lgs. n. 546 del 1992, nel prevedere che le questioni e le eccezioni non accolte in primo grado, e non specificamente proposte in appello, si intendono rinunciate, fa riferimento – come il corrispondente art. 346 c.p.c. – all’appellato, e non all’appellante, sicché, avuto riguardo al carattere impugnatorio del giudizio, alla qualità di attore in senso sostanziale del Fisco ed all’indisponibilità della sua pretesa, cui non può rinunciare se non nei limiti di esercizio della autotutela, qualora l’Amministrazione sia rimasta soccombente in primo grado per profili preliminari di legittimità formale dell’atto, non può desumersi la rinuncia a far valere la pretesa tributaria dalla circostanza che l’appello proposto abbia per oggetto solo la suddetta statuizione (Cass., Sez. 6-5, sent. n. 10906 del 2016; Sez. 5, sent. 13695 del 2009; cfr. anche sent. n. 8332 del 2016).
Dunque nel caso che ci occupa il giudice d’appello, dopo aver superato la questione preliminare, che aveva definito il giudizio di primo grado, doveva necessariamente decidere sulla pretesa tributaria. La sua decisione pertanto non era affatto subordinata ad una specifica domanda della Agenzia. Al contrario, l’esame nel merito delle ragioni già introdotte con il ricorso originario dipendeva dalla loro riproposizione da parte dell’appellata; per conseguenza, non emergendo nella difesa della Z. se, dove e quando, con il proprio atto di costituzione nel giudizio d’appello, avesse riproposto le questioni ed eccezioni del proprio ricorso, ella e non l’Amministrazione era incorsa nella decadenza dalla domanda ex art. 56 del d.P.R. n. 546 del 1992 (in coerenza con l’art. 346 c.p.c.). Al giudice di appello pertanto non restava altro che decidere sulla pretesa tributaria, rigettando il ricorso originario. Il giudice d’appello anzi, senza entrare, come invece ha fatto, nel merito della controversia, doveva limitarsi a constatare la rinuncia della contribuente alla domanda, confermando di conseguenza l’accertamento (per un caso sostanzialmente analogo cfr. Cass., Sez. 5, sent. n. 18559 del 2010).
Le osservazioni appena compiute consentono di concludere per il rigetto anche del secondo motivo di ricorso, con il quale, in via subordinata, è denunciata l’omessa o insufficiente motivazione della sentenza d’appello in ordine al fondamento dell’avviso di accertamento.
A parte il tentativo di investire la Corte di legittimità di un giudizio sul merito della vicenda, e pur volendo marginalizzare i profili di autosufficienza dell’atto introduttivo in ordine a questo secondo motivo, manca nel presente ricorso ogni riscontro della riproposizione in sede d’appello delle questioni poste dalla contribuente nel ricorso originario, che di conseguenza, ai sensi dell’art. 56 cit., dovevano intendersi già rinunciate nel giudizio spiegato dinanzi alla commissione regionale.
L’esito del giudizio sui motivi di ricorso della contribuente assorbono i motivi spiegati dalla Amministrazione nel ricorso incidentale.
Considerato che
Il ricorso va pertanto rigettato e alla soccombenza della contribuente segue la sua condanna alle spese processuali nei confronti della costituita Agenzia, nella misura specificata in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale, assorbiti i motivi di quello incidentale, e condanna Z.L. alla rifusione in favore della Agenzia delle Entrate delle spese processuali, che liquida nella misura di € 2.200,00, oltre spese prenotate a debito.
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