CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 01 agosto 2018, n. 20391
Demansionamento – Risarcimento del danno – Somme da ricnoscere fino al collocamento in pensione – Quantificazione
Rilevato
che con sentenza n. 8675 in data 31 ottobre – 14 novembre 2012 la Corte di Appello di ROMA, in parziale riforma della pronuncia impugnata in via principale dalla convenuta T. S.p.a. condannava detta società, convenuta in primo grado dall’attore G.F.M., al pagamento, in favore di quest’ultimo, della minore somma di 75mila euro, oltre accessori dalla data della gravata decisione, a titolo di risarcimento del danno da demansionamento subito durante il periodo successivo all’agosto dell’anno 2000 (sino al collocamento in pensione avvenuto il primo giugno 2009, escluso tuttavia il periodi di assenze per malattia dal settembre 2004 sino al maggio dell’anno successivo; rigettava, invece, per intero il gravame interposto in via incidetale da G.F.M., volto ad ottenere l’integrale accoglimento delle pretese risarcitorie da egli azionate, invece riconosciute soltanto in parte dal primo giudicante, che per il resto aveva liquidato in via equitativa la somma di complessivi 126.384,14 euro;
che avverso la suddetta pronuncia d’appello ha proposto ricorso per cassazione il G., come da atto in data 19 luglio 2013, affidato a due motivi, volto all’annullamento della decisione, limitatamente alle parti in cui non risultavano per intero accolte le domande di esso attore;
che, invece, T. S.p.a. ha resistito al ricorso avversario mediante controricorso, nonché a sua volta proponendo ricorso in via incidentale come da atto notificato il nove agosto 2013, affidato a due motivi, al fine di veder accolte per intero le ragioni già sollevate con il suddetto appello principale, però soltanto in parte accolte dalla Corte territoriale;
che, successivamente, è stato depositato verbale di conciliazione in giudiziale (Tribunale Di Roma giudice del lavoro dr. P. – r.g. 18560-15) datato sei ottobre 2016, con il quale il G. e la società T. hanno completamente definito la vertenza ivi pendente, nonché quella di cui al giudizio qui pendente (avente ad oggetto dequalificazione asseritamente subita dall’attore G. da settembre 2000 al marzo 2001, con conseguente condanna al risarcimento de danno nei confronti della società, che aveva quindi proposto ricorso incidentale avverso la sentenza di appello, cfr. in particolare la premessa di cui alla lettera c) ed i successivi punti 3 e 5, ancorché con le evidenti imprecisioni ivi palesemente ravvisabili per evidenti errori materiali, rispetto alle risultanze degli atti di questo giudizio di legittimità), stabilendosi ivi tra, tra l’altro, che la società avrebbe corrisposto la somma onnicomprensiva di 4000,00 euro quale contributo spese di lite, oltre i.v.a. e c.p.a., mentre quelle ulteriori sarebbero state per intero compensate, segnatamente quelle del giudizio in cassazione, giusta l’ultimo punto, sub. 8, del medesimo verbale di conciliazione (n. 2735/16 – cronologico n. 101991/06.10.16);
Considerato
pertanto (cfr., tra le altre, Cass. lav. n. 16341 del 13/07/2009) che la produzione, nel corso del giudizio di cassazione, del verbale di conciliazione tra le parti dimostra che è venuto meno l’interesse del ricorrente all’impugnazione, con la conseguenza che il ricorso deve ritenersi inammissibile per sopravvenuta cessazione della la materia del contendere, dovendosi valutare la sussistenza dell’interesse ad agire, e quindi anche ad impugnare, avuto riguardo non solo al momento in cui è proposta l’azione o l’impugnazione, ma anche a quello della decisione; che non risulta inoltre alcun effettivo interesse ad impugnare da parte di P.I. nemmeno nei confronti della intimata A. S.p.a. (contumace in entrambi i gradi del giudizio di merito, secondo quanto sul punto indicato nel medesimo ricorso de quo);
che parimenti va ritenuto quanto all’anzidetto ricorso incidentale, laddove dal complessivo verbale di conciliazione ben si comprende come entrambe le parti abbia inteso definire mediante conciliazione tutte le cause tra loro pendenti nonché prevenire transattivamente ogni possibile ulteriore contenzioso derivante a qualsiasi titolo dal pregresso rapporti di lavoro intercorso tra le medesime;
che, dunque, anche nella specie deve essere pronunciata la declaratoria di cessazione della materia del contendere, dovendosi inoltre prendere atto di quanto le parti hanno già direttamente provveduto mediante apposita pattuizione in tema di spese in sede di conciliazione (v. l’art. 92, u.co., c.p.c.: <<Se le parti si sono conciliate, le spese si intendono compensate, salvo che le parti stesse abbiano diversamente convenuto nel processo verbale di conciliazione>>), di guisa che nessun ulteriore provvedimento va disposto;
che, altresì, nella specie, alla stregua pure dell’anzidetta declaratoria, non opera la normativa in tema di raddoppio del contributo unificato, allorquando l’impugnazione venga disattesa perché interamente infondata nel merito, ovvero inammissibile o improcedibile (per motivi di rito, diversi dal venir meno dell’interesse ad agire o ad impugnare);
P.Q.M.
Dichiara cessata la materia del contendere.
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