Corte di Cassazione. sezione lavoro, ordinanza n. 2446 depositata il 25 gennaio 2024
cessazione della materia del contendere – dipendenti non appartenente alle organizzazioni sindacali firmatarie del verbale di conciliazione
RILEVATO CHE
1. la Corte d’Appello di Napoli, con sentenza n. 3874/2020, dichiarava cessata la materia del contendere relativamente alla domanda proposta da Rosario Festa e Immacolata Orfano nei confronti della s.p.a. Clinic Center, volta a conseguire la condanna al pagamento della cd. indennità di vacanza contrattuale relativa al contratto collettivo Case di Cura Private, per il periodo 1/1/2006- 31/8/2010, così riformando la sentenza del Tribunale n. 1821/2017 che aveva respinto detta domanda; in particolare, la Corte di Napoli rilevava che era intervenuto verbale di conciliazione sindacale in data 8/4/2019, depositato in atti, con riconoscimento del diritto rivendicato;
2. avverso la predetta sentenza i lavoratori propongono ricorso per cassazione con unico articolato motivo, illustrato da memoria; non si è costituita la società intimata; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza;
CONSIDERATO CHE
1. i ricorrenti deducono (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione e falsa applicazione degli artt. 100 c.p.c., 39 Cost., 1371 e 1372 c.c., 8 legge n. 148/2011, e dell’Accordo interconfederale 10/1/2014, parte I e parte III in relazione anche agli artt. 1362 ss. c.c.; sostengono l’erroneità della sentenza gravata nel ritenere che il verbale abbia determinato la cessazione della materia del contendere, poiché si trattava di accordo, stipulato tra alcune OO.SS. e l’associazione datoriale AIOP Campania non munito di efficacia erga omnes, né esigibile nei confronti dei lavoratori ricorrenti, iscritti ad organizzazione sindacale dei lavoratori (diversa da quelle firmatarie dell’accordo) che espressamente non aveva inteso sottoscrivere tale accordo, pur avendo partecipato alle trattative, in assenza di consultazione preventiva tra tutti i dipendenti, nonché peggiorativo in termini economici rispetto alla quantificazione rivendicata in sede giudiziale, con conseguente efficacia limitata alle parti stipulanti e ai lavoratori dalle stesse rappresentati;
2. il ricorso è fondato;
3. la Corte territoriale, dopo avere ricostruito la nozione di cessazione della materia del contendere in conformità con la consolidata giurisprudenza di legittimità, ne ha fatto, tuttavia, applicazione in una fattispecie concreta non inquadrabile nella suddetta nozione;
4. invero, la pronuncia di cessazione della materia del contendere costituisce, nel rito contenzioso ordinario davanti al giudice civile (privo, al riguardo, di qualsivoglia, espressa previsione normativa, a differenza del rito amministrativo e di quello tributario), una fattispecie di estinzione del processo, creata dalla prassi giurisprudenziale e contenuta in una sentenza dichiarativa della impossibilità di procedere alla definizione del giudizio, per il venir meno dell’interesse delle parti alla naturale conclusione del giudizio stesso, tutte le volte in cui non risulti possibile una declaratoria di rinuncia agli atti o di rinuncia alla pretesa sostanziale; ne consegue l’inidoneità della sentenza di cessazione della materia del contendere ad acquistare efficacia di giudicato sostanziale sulla pretesa fatta valere, potendo la suddetta sentenza acquisire tale efficacia di giudicato sul solo aspetto del venir meno dell’interesse alla prosecuzione del processo, sempreché la relativa pronuncia non sia impugnata con i mezzi propri del grado in cui risulta emessa; quale fattispecie di estinzione del processo nel rito contenzioso davanti al giudice civile, essa deve essere dichiarata dal giudice anche d’ufficio, e si verifica quando sopravvenga una situazione che elimini la ragione del contendere delle parti, facendo venir meno l’interesse ad agire e a contraddire, da accertare avendo riguardo all’azione proposta e alle difese svolte dal convenuto (cfr., tra le molte, Cass. n. 9332/2001, n. 3122/2003, n. 4714/2006, n. 12887/2009, n. 24147/2017, n. 4167/2020);
5. nel caso in esame non risultano elementi abdicativi della pretesa da parte dei ricorrenti o di riconoscimento della stessa o di accordo tra le parti, sicché la pronuncia di cessazione della materia del contendere, adottata, nella pronuncia impugnata, in accoglimento dell’appello, risulta incongrua in rapporto alla fattispecie concreta;
6. come illustrato nel ricorso, si è trattato di sottoscrizione di verbale di conciliazione tra parti collettive e non tra le parti del giudizio, e da parte di sindacati diversi da quello di appartenenza dei ricorrenti, che, invece, aveva adottato una posizione espressamente di disaccordo;
7. pertanto, a monte della fondatezza o meno della pretesa (sulla quale si è formata una giurisprudenza anche di legittimità nota a parte ricorrente, come da memoria in atti), la pronuncia estintiva risulta priva dei suoi presupposti processuali e non corrispondente al contenuto dell’appello rispetto al quale si auto-qualifica come di accoglimento; né è applicabile il disposto di cui all’art. 384, comma 4, c.p.c., in difetto di dispositivo coerente con l’accoglimento o il rigetto della domanda o con gli effettivi sviluppi processuali;
8. la sentenza impugnata deve pertanto essere cassata, con rinvio alla Corte d’Appello di Napoli in diversa composizione, per valutare la domanda nel merito, nonché per provvedere sulle spese del presente giudizio;
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Napoli in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.
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